Comincia in Togo nel 2016 la sperimentazione nata per un’intuizione di Sergio Tamborini, Ceo della Ratti, la storica azienda tessile comasca, per cercare un varco nel mercato africano, ma soprattutto- ed è questa la novità-in quello della diaspora africana in Italia e in Europa. «Si tratta di una nicchia di mercato per noi che ora vale 500mila euro, ma ha molte potenzialità anche perché le seconde e successive generazioni di origine africana sentono la necessità di tornare alle origini», ci spiega Tamborini nella sede della sua azienda, dove in un immenso open space c’è uno spazio dedicato alla collezione dei tessuti Wax disegnati anche da Gisela Ntsama: neolaureata originaria del Camerun arrivata in Italia per studiare fashion e design all’Accademia delle Belle Arti di Bologna. All’evento Milano Unica e Première Vision della fashion week 2020, la Ratti ha definito così la propria collezione di tessuti Wax: una serie di tessuti, 100% cotone made in Italy che rimarca la necessità nel mercato della moda di amalgamare le culture e dimostrare che nonostante esiste una condivisione di valori e tradizioni.

Ratti: innovazione e cambiamento

Dietro questo progetto c’è anche il desiderio di aprire le porte della moda italiana ad altre culture perché come ha dichiarato Tamborini «Il futuro passa dall’innovazione, ma non sono passi né facili né immediati. Sicuramente una riflessione è necessaria. Serve attenzione rispetto ai mondi che cambiano». Ed è per questo che lui è convinto di questa sperimentazione che punta anche su diversi talenti che ha portato in azienda. «I tessuti stampati tipici delle donne africane, intendo dire quelli più pregiati, non vengono prodotti localmente ma in Svizzera, in Austria e in Olanda. È una produzione di nicchia, ancora non girano tanti soldi, ma nonostante mille difficoltà l’economia dell’Africa sta crescendo e quello sarà un mercato del futuro, che le imprese italiane della moda, finora, hanno poco esplorato», aggiunge.

Certo, business is business, ma Tamborini ha scelto un sales manager che viene anche lui dal Camerun e ha studiato al Politecnico di Torino: Blaise Pagui. È lui che ha fatto da ponte per cercare un dialogo con le figure leggendarie Nana Benz

Italian Wax

Racconta Blaise Pagui «In Togo sono dodici famiglie a controllare il mercato delle stoffe Wax e non sempre sono coordinate. Quindi non è stato affatto semplice». Ora, per portare avanti la produzione del Wax made in Italy, la Ratti conta su un canale locale, soprattutto un “rampollo” delle Nana Benz, un marchio registrato con questo nome e una società di comunicazione ghanese. «Al primo container che abbiamo mandato in Africa, pensavano che i nostri concorrenti lo avrebbero buttato in mare», scherza ma non troppo Tamborini. «Il mercato africano ha molte potenzialità, ma non è trasparente come il nostro. I dazi variano, non sai mai quanto a lungo un tuo container possa stare in porto. Inoltre noi puntiamo a una quota di mercato di alta qualità e bisogna fare i conti con la competizione cinese che produce a basso costo. Per questo motivo abbiamo deciso di puntare anche verso la diaspora europea con capacità di spesa e sensibile alle proprie origini».

L’Italian Wax di Ratti è il risultato di creatività, immagini e tecniche che si rifanno ad un passato recente che fa del tessuto uno dei suoi capisaldi oltre che simbolo di appartenenza. La cifra stilistica della collezione è quella di una fusione di stili, colori e spunti appartenenti a culture oltre il Mediterraneo. Ma dietro questa descrizione c’è un’interpretazione della contemporaneità e una visione che il Ceo della Ratti ha avuto già alla fine degli anni 90, quando al funerale di suo padre partecipò una famiglia africana che indossava abiti tradizionali.

Moda, inclusione e diversity

Certo, dopo la pandemia, molte cose cambieranno. Il mondo si è allargato di nuovo, tantissimi luoghi sono diventati irraggiungibili e il problema del reperimento delle materie prime è un tema ancora più annoso. La Ratti partecipa infatti anche a un progetto delle Nazioni Unite per la produzione della seta in Tunisia che rappresenta un passo in avanti per il reperimento delle materie prime. E soprattutto l’azienda comasca è stata sponsor tecnico di Afro Fashion Week Milano che da diversi anni porta designer e stilisti africani sulle passerelle di Milano. Nell’edizione 2020 vuole richiamare l’attenzione sull’assenza di diversity nella moda italiana con un gruppo di designer neri che si chiama Black Lives Matter in Italian Fashion. Un tema poco affrontato in Italia, anche se recentemente il Time ha dedicato la copertina Edward Enninful, direttore di Vogue UK con il titolo: “Fashioning change” per sottolineare la necessità di un cambio di passo. Sergio Tamborini lo ha capito, sa che si tratta di una sfida, di una sperimentazione come la definisce lui, ma con grandi potenzialità.

E senza dimenticare il mercato africano, ritiene significativo rivolgersi a quella che viene definita per comodità diaspora africana, ma in realtà si estende a tutte le nuove generazioni con origini africane nate e cresciute in Italia, in Europa, in America con lo sguardo sempre più rivolto alle proprie origini sia per ragioni di opportunità sia per recuperare le proprie radici. E anche il mondo della moda ne deve tener conto.