È la storia che si ripete da sempre nelle nuove generazioni. Rinnegare le proprie radici pensando di essere meglio accettati. Come se integrazione fosse la negazione delle proprie origini, e non l’arricchimento della propria cultura con una cultura nuova, che dà origini a un melting pot che rende tutti gli uomini diversi e allo stesso tempo uguali. Basato su esperienza dirette personali, questo Saluterò di nuovo il sole, pubblicato dall’editore NN, trova l’americano di origini iraniane Khashayar J. Khabushani, immerso nella scrittura per raccontare un conflitto interiore tra il sé stesso di oggi cresciuto nella cultura occidentale e le origini di una famiglia che arriva dall’altra parte del mondo. Khashayar J. Khabushani infila pure il dito nella piaga dei gap generazionali, degli scontri familiari tra i giovani che non si riconoscono più nella cultura dei padri e i loro genitori. Uno scontro, lo sappiamo bene anche in Italia, che nelle sue peggiori degenerazioni ha riempito pure le pagine di cronaca nera. Khashayar J. Khabushani è nato in California nel 1992 e ha trascorso l’infanzia in Iran prima di tornare negli Stati Uniti. Saluterò di nuovo il sole è il suo romanzo d’esordio. K ha nove anni e vive a Los Angeles con i genitori iraniani e i due fratelli maggiori, Shawn e Justin. Desidera solo diventare un vero american boy, con un nome facile da pronunciare e i vestiti giusti, mentre suo padre, Baba, non ha un lavoro, sperpera il denaro che la moglie porta a casa e accusa i figli di rinnegare il Paese d’origine, un Paese che loro non conoscono. Nonostante i limiti imposti da Baba, K è un figlio obbediente, eppure si sente sbagliato: vorrebbe essere forte e sicuro come Shawn e Justin, ma quando scopre di provare dei sentimenti per il suo amico Johnny non riesce a confidarsi nemmeno con loro. Finché un giorno tutto precipita: Baba rapisce i figli e li porta in Iran, e il viaggio è un’esperienza sconvolgente di cui K subisce le drammatiche conseguenze. Tornati a casa, K e i suoi fratelli crescono lontano dal padre in un’America che dopo l’11 settembre è sempre meno accogliente, e imparano cosa significa diventare uomini seguendo le proprie aspirazioni. Saluterò di nuovo il sole è un romanzo di padri, figli e fratelli al cospetto di debolezze, modelli e desideri. Fabio Poletti

Khashayar J. Khabushani
Saluterò di nuovo il sole
traduzione di Laura Gazzarrini
2024 NN
pagine 224 euro 18

Per gentile concessione dell’autore Khashayar J. Khabushani e dell’editore NN pubblichiamo un estratto dal libro Saluterò di nuovo il sole

Maman è rimasta. È stato Baba ad andarsene, e questa volta per tutta la settimana, così il venerdì, invece di andare in moschea dopo la scuola con i miei fratelli, sono potuto stare con Johnny.
Con una camera che li aspettava al Caesars Palace, la madre di Johnny e il suo fidanzato ci hanno chiesto una mano per caricare in macchina bottiglie di vino e champagne mentre loro si occupavano delle valigie. La madre ha stampato un bacio sulla guancia di Johnny, e ne ha dato uno anche a me, poi ha allungato a Johnny quaranta dollari per il fine settimana, per mangiare, o per fare quello che voleva.
È passato da casa nostra ieri sera, ha giocato a Super Mario con Justin fino a quasi mezzanotte, io e Shawn facevamo da spettatori. Non volevo che se ne andasse, era così bello avere Johnny in camera nostra tutto per noi. Non mi è pesato cedergli il turno per giocare, mi è bastato stare nel mio letto a guardare.
E prima di andare a dormire ho messo i pantaloncini, la maglietta e addirittura le scarpe in fondo al materasso, per potermi preparare subito appena sveglio. Johnny ha promesso che questa volta si sveglierà presto, mi ha dato appuntamento fuori dal condominio alle otto in punto. Non ha detto perché, e io non ho chiesto.
Ma devo ancora aspettare un’ora, è troppo presto per andare a bussargli alla porta e comunque ho promesso che non lo avrei disturbato prima che fosse pronto. Mi allontano dall’edificio, penso che se andassi alla moschea magari troverei un grande thermos di tè sul tavolo e datteri avanzati, lasciati lì dai musulmani devoti che vanno alla preghiera del fajr e finiscono il namāz proprio nel momento in cui il sole inizia a farsi strada in cielo.
Le tre corsie su ogni lato di Sherman Way sono quasi vuote, le poche persone in macchina possono accelerare e sterzare per le ampie carreggiate deserte, coi finestrini abbassati e la musica a tutto volume, per svegliare se stessi e l’intero vicinato. Attraverso il lungo divisorio centrale, passo fra le palme piantate per chilometri e chilometri, ne approfitto per pulirmi le Fila sporche sull’erba bagnata.
Entro nel parcheggio e vedo l’imam in piedi sulla soglia della moschea, indossa la sua veste da preghiera grigio chiaro e tiene un Corano in mano, temo che mi chiederà di sedermi insieme a lui e gli altri a leggere e recitare i passaggi della sūra. Invece di entrare faccio il giro dell’edificio per perdere un po’ di tempo.
Sul retro c’è una stanza annessa alla moschea, e da una finestrella riesco a vedere un letto grande come il mio, per una sola persona. Sarà dove vive l’imam, penso, anche se mi dispiace un po’ per lui. Tutta la vita passata in questo vecchio edificio e ci deve pure dormire… non desidera niente di più? Perché Baba ci ha detto, quando ci ha raccontato della sua vita a New York, che l’unica maniera per conoscere davvero Dio è vedere il mondo, incontrare persone diverse da noi.
Siamo seduti da Denny’s su un divanetto rosso scuro, vicino a una finestra da cui filtra la luce del sole che illumina il piano lucido del tavolo. Gli occhi di Johnny si stanno ancora abituando al giorno, la faccia assonnata, ordina un caffè alla cameriera.
«Come sapevi che volevo venire qui?» gli chiedo, prendo un sorso d’acqua ghiacciata.
«Non ci credo che i tuoi non ti ci hanno mai portato» dice, versandosi quintali di zucchero nel caffè. Mi avvicina il piattino con le confezioni di panna, mi dice di mettercene quanta ne voglio. «Mia mamma lo beve nero ma fa schifo, cazzo». Fa una smorfia disgustata.
Apro due confezioni di panna e le verso nella sua tazza, osservo il caffè diventare marrone chiaro mentre Johnny lo gira col cucchiaino. Mi dice di mettercene un’altra. Prende un sorso, scuote la testa. «Un’altra e poi basta» dice. Lo inizia a risucchiare facendo un gran rumore, chiude gli occhi e lascia che il caffè gli riempia la bocca. «Delizioso» sussurra, la faccia gli si è già illuminata un po’. Mi passa la tazza e sento l’odore dolciastro del caffè color caramello, ancora prima di provarlo so già che lo adorerò.
Johnny mette i soldi che gli ha dato Cynthia sotto un barattolo appiccicoso di sciroppo sul bordo del tavolo, due banconote da venti dollari, come a ricordarci che abbiamo abbastanza soldi per ordinare quello che ci pare.
«Non ti devono durare per tutto il fine settimana?» gli chiedo.
«Non fa niente» risponde. «È la tua prima volta, dobbiamo fare le cose per bene».
Sfoglio il menu con differenti tipi di omelette e pancake, foto di frittelle di patate croccanti e uova strapazzate spumose, gli chiedo: «È buono?» indicando delle strisce di pancetta scintillante.
«Un momento» dice. «Hai già assaggiato il bacon di sicuro».
Quando la cameriera torna al nostro tavolo Johnny non ha neanche un momento di esitazione. Ordina due Grand Slam, chiede le uova all’occhio di bue, la cameriera doman- da se vogliamo bacon o salsiccia, allora Johnny si ferma, mi guarda.
«Tutti e due» dico.
«Tutti e due, per favore» ripete Johnny alla cameriera. «Ve li porto subito». Sorride, si riprende i menu.
Penso a quello che dovrò dire stasera, quando chiederò perdono a Dio per aver mangiato maiale anche se so che è ḥarām.
Guardo oltre Johnny e per tutto il ristorante, voglio essere sicuro che nessuno della moschea sia qui per fermarmi prima che abbia almeno la possibilità di provarlo. «È buonissimo» dice Johnny. «Ti piacerà da impazzire».
Deve aver ragione, perché praticamente tutti al Denny’s ne hanno una porzione nel piatto. E visto il buon profumo di maiale sfrigolante che riempie il locale non mi rimangono molti dubbi.

© Khashayar J. Khabushani, 2023
© 2024 Enne Enne Editore, Milano