Questa settimana vi propongo un disincantato editoriale di Pier Vito Antoniazzi, presidente della nostra associazione Nuove Radici, su come sia degenerata la polarizzazione del dibattito sulla guerra in Medio Oriente e di conseguenza come si sia impoverito, se non annichilito, ogni confronto. E di come siamo arrivati a evitare il “dibattito”, ricorrendo a una rassegnata rimozione per evitare lo scontro di idee preconcette, tesi precostituite, incapacità di addentrarsi nella selva oscura della politica.
Andiamo solo apparentemente fuori tema perché alla base della convivenza in una società multiculturale c’è un pensiero politico che deve restare aperto a tutte le contaminazioni.
Ci racconta Pier Vito Antoniazzi
Approfitto del ponte e faccio un po’ di turismo in compagnia. Arriviamo in una splendida città e un amico del gruppo prova ad accennare un discorso: “Certo che a Gaza succedono cose orribili…” a cui con tempismo perfetto risponde una compagna di viaggio: “Dove è che andiamo a farci un aperitivo?” Risata per sdrammatizzare e abbandono del tema “politico”.
D’accordo, Palestina e Israele sono argomenti divisivi. Direi quasi respingenti. Perché se solo provi a fare dei distinguo o ragionamenti complessi, vieni assalito come fossi un nemico del popolo. Come se si trattasse di un estenuante litigio sul derby
Credo sia un segno dei tempi e della distanza che aumenta ogni giorno di più dalla politica. Non c’è un ethos condiviso che ci spinga a cercare di capire. Non ci interessano le ragioni degli altri. Ma non interessa nemmeno cercare di convincere qualcuno e portarlo dalla tua parte (a meno di essere uno studente di un campus universitario, ma quella è un’altra storia).
Perché alla fine non c’è più una “parte” di cui sei convinto. Non c’è una ideologia, una fede, persino i valori sono riparati in un angolo privato. Se chi muove il mondo globale sono le forze economiche e quelle tecnologiche, cosa conto io e la mia piccola presenza individuale che non fa certo la differenza? Se non posso scegliere nemmeno chi votare, a cosa serve impegnarsi in politica? Se le liste sono bloccate e decise da pochi “oligarchi”, la nostra opinione non conta. Certo, alle elezioni europee il sistema è proporzionale e ci sono le preferenze, ma sono votazioni che suscitano poco interesse perché Bruxelles appare sempre lontana, più di quanto lo sia realmente.
Perciò l’unico dibattito è quello orchestrato dai media con gli interlocutori che scelgono loro (sempre gli stessi). Come posso esprimere un mio pensiero? Non esiste più o quasi un ambito collettivo in cui costruire e condividere progetti e idee di società. Le sezioni di partito (dove ancora esistono) sembrano le isole su cui qualche giapponese non si è accorto che la guerra è finita e continua ad alzare le vecchie bandiere. Solo sotto elezioni si riaprono per divenire comitato elettorale di qualcuno in carriera.
Anche da questa frustrazione nasce l’enorme crescita dell’astensionismo elettorale. E nel tentativo di recuperare viene buono pure il motto coniato da Montanelli “Votiamo turandoci il naso”. Un tempo valeva per la Democrazia cristiana di cui si parlava male ma poi la si votava per paura dei comunisti. E viene buona anche per il Pd se leggiamo l’intervista di Massimo Cacciari al Corriere della Sera in cui afferma “Voto il Pd per inerzia…”.
La sinistra punta sul vecchio refrain: votate noi per fermare fascisti, populisti e sovranisti (e magari pure il generale Vannacci). La destra ha una imperatrice che alza lo stendardo della vittoria, quasi a cercare un trionfo alla antica Roma, contando sul vento che sempre spira tra gli italiani, ben definito da Ennio Flaiano: “Correre in aiuto ai vincitori”
Ma il paradosso che trovo più emblematico è che le leader dei due schieramenti siano due donne. Ci si aspetterebbe da una donna una politica diversa, meno retorica, meno perentoria, più attenta alla cura della relazione, un potere seduttivo, convincente. Una politica concreta, pratica, che produce contenuti innovativi. Invece abbiamo delle “donne guerriere” che alzano gli stendardi per richiamare le truppe, con molti argomenti simbolici (e potrebbe essere suggestivo se non fosse che sono soprattutto simboli del passato), pochi o nessuno contenuti innovativi e collegati al ruolo importante che l’Europa può e deve svolgere.
Torna alla mente la ballata giovanile di Rainer Maria Rilke, il Canto d’amore e di morte dell’alfiere Christoph Rilke, “Non essere sempre soldato. Non sempre afferrare da nemico ogni cosa”. Esibizioni muscolari, forse suggerite dagli staff, duelli rusticani ma con l’ansia delle ferite del gradimento televisivo e dei sondaggi. Insomma, una certa noia, nonostante tanto fumo e clamore.
E poi ci lamentiamo che bar e dehors siano sempre pieni.
P.S. Consiglio per la campagna elettorale: meno comizi e più aperitivi!