Porti chiusi, porti aperti. Il dibattito sulle migrazioni in Europa, ma pure nel resto del mondo, alla fine si riduce al concetto di accoglienza o meno. Aiutiamoli a casa loro, è solo un paravento, di chi non sa e nemmeno vuole sapere dove sia quella casa. Enzo Lombardo, docente di Sociologia delle relazioni etniche e Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università degli Studi Roma Tre, in questo libro Africa edito da Meltemi, ribalta il concetto eurocentrico legato ai flussi migratori e invita a guardare all’Africa e alle cause dello spostamento delle persone. I numeri, si sa, sono impressionanti e in continua crescita. Alle origini delle migrazioni ci sono la globalizzazione, che vuole manodopera a basso costo ovunque, le guerre che da sempre dilaniano il Continente, prima quelle Coloniali oggi quelle commerciali, per il controllo delle materie prime di cui è non solo ricca ma soesso l’Africa ne detiene il monopolio. Negli ultimi decenni si affacciano però altri motivi. I cambiamenti climatici che portano carestie e mancanza d’acqua. Da ultimi la pandemia per il Covid-19, impossibile da affrontare dai fragili sistemi sanitari di molti Paesi africani, e l’invasione delle locuste, che si è abbattuta come un flagello in molti Paesi centrafricani, con una forza che non si vedeva da settant’anni. Fabio Poletti
Enzo Lombardo
Africa
(Neo)colonialismo, ambiente e migrazioni
2020 Meltemi
pagine 232 euro 18

Per gentile concessione dell’autore Enzo Lombardo e dell’editore Meltemi pubblichiamo un estratto del libro Africa.

Il fenomeno migrazione può essere studiato su diversa scala: da un punto di vista locale, regionale, nazionale, internazionale, mondiale. Le migrazioni interessano infatti le città, le zone industriali, ma anche quelle costiere e agricole, determinando diverse politiche nei vari stati coinvolti. Nell’ambito più propriamente geografico, si può affermare in linea generale che “la mobilità incide su un sistema complesso popolazione/territorio, articolato in due sottosistemi, la popolazione con la sua architettura demografica ed etnico – culturale, fatta di produttori, di consumatori, di residenti, da una parte, e dall’altra il territorio, con una base fisica e una struttura continuamente costruita e decostruita, teatro di azioni e reazioni, di relazioni dirette e indirette”.
La migrazione può essere misurata attraverso i flussi (flows), numero degli arrivi e delle partenze, si prendono anche in considerazione i paesi di provenienza e d’arrivo, il grado d’istruzione, l’età, il sesso. Altro strumento di misurazione è la quantità o collettività (stock), cioè l’insieme di coloro che vivono, per lungo tempo, in una determinata regione o stato diverso da quello d’origine. È necessario suddividere i migranti tra titolari di permesso, di carta di soggiorno e irregolari. L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha definito come “migrante internazionale” una persona che risiede al di fuori del proprio paese per un periodo minimo di un anno. Nel 2005, seguendo questa definizione, l’ONU stimava in una cifra attorno ai 200 milioni, tra il 1980 e il 2000 la presenza di immigrati nei paesi sviluppati è passata da 48 milioni a 110 milioni (di cui 60 milioni in Europa), in quelli in via di sviluppo da 52 a 65 milioni. Nel 2017 i migranti internazionali sono stati 247 milioni. Il 55% di questi è rappresentato da migranti intracontinentali, di cui quasi la metà sono in Asia, circa un quarto del totale.
Anche se la direttiva principale è quella che porta i flussi dal sud al nord del mondo, le migrazioni extra-continentali hanno acquisito ormai una dimensione globale: le società che li accolgono debbono misurarsi con l’aumento dell’eterogeneità linguistica, etnica, culturale e religiosa. Inoltre, la distinzione tra paesi d’origine, di transito e di destinazione è diventata sempre più sfumata: quasi ogni paese oggi ricopre tutti e tre i ruoli. Tale fenomeno è particolarmente visibile nel Mediterraneo. “Circa cinquant’anni fa – ha scritto Koser – la situazione era abbastanza semplice. Tutti gli stati del bacino del Mediterraneo – sia del Nord Africa sia del Sud Europa – erano paesi di origine dei migranti che si recavano a lavorare principalmente nel Nord Europa. In vent’anni l’Europa meridionale si è trasformata da regione di emigrazione a regione di immigrazione; i nordafricani sono giunti per lavorare nelle economie in crescita del Sud Europa e allo stesso tempo una quota sempre minore di europei ha intrapreso migrazioni verso l’Europa settentrionale. Il Nord Africa si sta trasformando da regione di origine a regione di transito e di destinazione. Sempre più immigrati dall’Africa sub sahariana giungono in Libia, Marocco e Tunisia. Alcuni si fermano, spesso bloccati con forme di detenzione o schiavitù, altri attraversano il Mediterraneo per raggiungere l’Europa meridionale, in genere clandestinamente; e anche in questo caso alcuni si fermano, altri cercano di proseguire verso Nord”.
Uno studio di Castles e Miller ha individuato, oltre alla globalizzazione e all’accelerazione, altre due tendenze generali delle migrazioni contemporanee: la differenziazione e la femminilizzazione. I paesi di destinazione comprendono un ventaglio ampio fra le tipologie di immigrati: ci sono quelli che hanno trovato un lavoro temporaneo, altri con contratti a lungo termine, ci sono rifugiati politici, lavoratori qualificati, familiari ricongiunti. Questa differenziazione implica una maggiore complessità della regolazione politica del fenomeno, si pensi per esempio alla mancanza di politiche di controllo dei lavoratori stagionali nel meridione. La migrazione è ormai un fenomeno anche femminile, meno visibile nelle sue prime fasi. Prima gli immigrati erano soprattutto uomini di giovane età, ora in parecchie nazioni, compresa l’Italia, le donne sono più numerose: vi giungono spesso precedendo l’arrivo di figli e mariti. Secondo le statistiche ONU, le donne ormai hanno raggiunto il 50% dei migranti. La loro presenza è particolarmente richiesta in alcuni settori, quali i servizi, la sanità, l’intrattenimento, la collaborazione domestica. In altri casi le donne cercano di raggiungere i loro mariti già emigrati all’estero.
Tra le conseguenze negative da registrare ci sono matrimoni combinati con cittadini stranieri e il terribile traffico di donne nell’industria del sesso. Nel 2014 l’International Labour Office ha valutato in 150 miliardi di dollari i profitti annuali da tutti i tipi di traffico di esseri umani. Lo sfruttamento del lavoro forzato ha interessato 14,2 milioni di persone, mentre lo sfruttamento sessuale ha riguardato 4,5 milioni di persone. Originariamente sono state le donne asiatiche (in particolare Filippine e Thailandia) ad essere avviate più o meno forzatamente al mercato del sesso, poi il collasso dell’Unione Sovie- tica ha comportato quello che è stato definito “il commercio delle Natasha”. L’Italia è interessata anche dalla tratta delle nigeriane che ha in Castel Volturno (provincia di Caserta) il suo centro. Reclutate in Nigeria dalle cosiddette “madame”, le ragazze migranti sono costrette a prostituirsi per ripianare i debiti contratti per partire, cadendo così nella trappola del racket. L’organizzazione criminale le distribuisce in tutta Italia.
Nel nostro paese, secondo una stima dell’Istat, al gennaio 2009, gli stranieri residenti erano quasi quattro milioni, ad essi si aggiungevano il 16% di immigrati senza residenza. I clandestini raggiungevano l’1,2% della popolazione italiana, un valore non eccessivo se confrontato con gli Stati Uniti, dove i clandestini raggiungono il 4%. Nel 2007 le prime tre regioni italiane per presenza di stranieri erano Lombardia, Veneto e Lazio con il 47% del totale.
Il flusso dell’emigrazione dall’Italia tra fine ‘800 e l’inizio della prima guerra mondiale è stato molto maggiore degli arrivi negli ultimi venti anni. Tra il 1907 e il 1914 sono partite più di 600 mila persone, tra il ’56 e il ’65 circa 360 mila. Le destinazioni erano soprattutto il Sud e il Nord America, in misura minore l’Australia. Erano nazioni ben più industrializzate e che comunque, offrivano più occasioni rispetto al meridione o ad alcune zone del centro come l’Abruzzo. La partenza degli italiani alleggeriva la pressione della miseria, specie nei periodi di crisi economica. Negli ultimi due decenni, l’Italia è stata luogo di destinazione e di transito dei migranti, ma anche di partenze. Si parla spesso di “fuga di cervelli”, problema rilevante dovuto alla scarsità, rispetto al numero dei laureati specializzati, dei posti di ricerca e di lavoro tecnologicamente avanzato. Dopo la crisi del 2008, però, da alcuni paesi mediterranei europei, come Grecia, Spagna e Italia si sono verificate, con flussi annuali rilevanti, nuove emigrazioni: si tratta soprattutto di giovani in cerca di lavoro e di migliori prospettive.

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