Dall’1 aprile si potrà vedere su Amazon Prime Video Sweet Country, western vincitore del Gran premio della giuria della Mostra del Cinema Venezia nel 2017, già definito dai media locali una pietra miliare del cinema indigeno australiano. L’autore aborigeno Warwich Thorntorn ha firmato regia e fotografia di questa pellicola che racconta il razzismo e la violenza colonialista attraverso le dinamiche di un genere cinematografico classico, incorniciate in un’estetica monumentale.

La giornata contro il razzismo

La notizia arriva giusto nella settimana dell’azione contro il razzismo organizzata da Unar (l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) che da qualche anno si tiene in occasione della giornata internazionale contro le discriminazioni razziali del 21 marzo. Con la campagna di sensibilizzazione dal claim #keepracismout, Sweet Country condivide tematiche e spunti di riflessione, essendo tratto da una vicenda realmente accaduta all’inizio del Novecento nella regione montuosa Tjoritja a nord di Alice Springs, i cui fatti storici sono stati riportati in passato prevalentemente dalla voce dei colonizzatori senza tenere conto del punto di vista degli indigeni. Thorntorn, originario del gruppo aborigeno Kaytej, ha dichiarato al giornale australiano Artist Profile:

Sono un’artista indigeno, potrei fare a meno dell’arte e diventare elettricista o idraulico ma non posso e non voglio eliminare la mia identità indigena

La storia

Al centro della film, sono proprio la questione identitaria e la sopraffazione del popolo indigeno su cui si è basata la nascita del Paese. Il protagonista Sam è un guardiano di bestiame aborigeno spinto a uccidere il proprietario terriero bianco Harry dall’esasperazione delle angherie subite. Ma, non essendo la legittima difesa prevista dalla legge dell’epoca, Sam è costretto a scappare insieme alla moglie per sfuggire al sergente Fletcher. Nella sua narrazione Thornton fa ricorso a elementi tipici del western come i paesaggi sconfinati, le lande desolate, la frontiera, lo sfruttamento ingiustificato di un popolo intero. «Ho voluto utilizzare un genere accessibile come il western, perché il pubblico potesse entrare nella storia e venirne affascinato, in modo da comprendere i problemi che un popolo occupato si trova ad affrontare. Con questo approccio immersivo, ho voluto abbattere i confini culturali per unirci» ha dichiarato.

Una visione che tende alla parabola del riscatto attraverso la contrapposizione poetica delle immagini e delle tradizioni alla brutalità del razzismo e della colonizzazione

L’utilizzo di numerosi flashback e flashforward (che anticipano il futuro), richiamano il tradizionale tempo del sogno della cultura aborigena, quello raccontato anche dallo scrittore Bruce Chatwin, per fare riferimento a un autore non australiano che si è ampiamente occupato dell’argomento. Un tempo che somiglia più a una dimensione dell’anima, dove sfumano le coordinate spazio-temporali e coesistono passato, presente e futuro. «Fortunatamente i nostri antenati hanno tramandato le informazioni» ha detto in un’intervista David Trentner, uno dei due sceneggiatori del film insieme a Steven McGregor. Il passato gioca un ruolo essenziale in questo film perché attraverso le vicende personali e le battaglie della quotidianità, mette in scena la storia di un popolo. «Le stesse battaglie che dobbiamo affrontare anche oggi» ha aggiunto Trentner.