Anass Hanafi, 25 anni, torinese con genitori marocchini, prossimo alla laurea in Giurisprudenza, vicepresidente di NILI, il Network Italiano dei Leader per l’inclusione, guarda all’integrazione pensando a Camillo Benso conte di Cavour: «Stiamo organizzando per marzo a Roma il terzo workshop di NILI. Vorremmo farlo il 17 marzo, anniversario dell’Unità d’Italia. Il nostro progetto è quello di formare nuovi leader che si occupino di inclusione. Vogliamo costruire un network di giovani di tutte le nazionalità e di tutte le origini, che vogliano far crescere l’Italia. Ma a dirla tutta io mi sento un afroeuropeo».

Un progetto patriottico…

«Sono nato a Torino. Dal 2011 ho anche la cittadinanza come i miei genitori che arrivarono qui, il Paese più facile da raggiungere, perché in Marocco non c’erano le stesse possibilità. Mio padre è laureato in Chimica e in Fisica. Sono italiano, sono nato qui, il mio futuro è qui. Voglio poter trasmettere il mio knowledge, la mia conoscenza per far crescere questo Paese».

Come molti della sua età ha già studi importanti alle spalle: ha studiato all’Università di Friburgo in Svizzera, ha frequentato la scuola di Politica fondata da Enrico Letta a Roma, si sta per laureare in Giurisprudenza…

«Dopo la laurea vorrei diventare avvocato in Diritto Internazionale. Mi piacerebbe specializzarmi in Diritto Spaziale. Come specializzazione in realtà non esiste. Ci sono una ventina di consulenti in tutti il mondo. Si occupano delle aziende aerospaziali, dei problemi legati ai satelliti… È una mia grande passione da anni».

Qual è il suo rapporto con le origini della sua famiglia?

«Nel 2016 sono stato in Marocco per quasi 2 mesi, non durante le ferie, alla ricerca delle mie radici. Volevo conoscere una parte della mia identità. Sono stato nella zona di origine dei miei nonni. Mio nonno era stato un professore universitario in Francia, ma poi aveva voluto ritornare in Marocco. Poi nella zona Sud del Paese da dove vengono i miei genitori».

Il suo futuro dove lo immagina?

Se guardassi alle mie passioni direi su Marte o sulla Luna. Chissà che non inizino presto i viaggi aerospaziali. Me lo immagino in Italia, a fornire alle nuove generazioni il mio knowledge, le mie conoscenze frutto di tutto quello che sono. Per far crescere l’Italia l’unico modello possibile è il “win win” come lo definiscono gli inglesi. Bisogna vincere tutti.

Nella quotidianità casalinga cosa è rimasto delle sue origini?

«A casa parliamo italiano, arabo, francese. Alcuni verbi italiani li abbiamo arabizzati, altri in arabo li abbiamo italianizzati. È una nuova lingua comprensibile solo in famiglia o al massimo dalla comunità. È una cosa che fanno anche gli italiani che risiedono all’estero».

Mai avuto problemi in Italia, con le sue origini?

«Al massimo qualche dispetto a cui nemmeno bado. L’Italia è un Paese molto accogliente perché è un Paese Mediterraneo, dove si mescolano molte culture».

Tante culture, tante nazionalità, per questo avete fondato il NILI…

«È un’idea di 2 anni fa. C’è bisogno in Italia di una nuova generazione che sia consapevole e inserita. Persone che magari in origine parlano lingue diverse ma che sappiano dare quel respiro internazionale che spetta a questo Paese. Noi crediamo nei valori fondanti di questo Paese. Ci sono cose che nemmeno gli italiani sanno. Parlo dello spazio, la mia passione. Magari tutti sanno che ci sono 2 astronauti italiani. Nessuno sa però che l’Italia è una delle eccellenze mondiali nella produzione di componentistica aerospaziale».

Dopo Torino e Firenze, il prossimo workshop a Roma…

Sì nei giorni dell’anniversario dell’Unità d’Italia. Vogliamo fare workshop sul public speaking, sul community organizer. Siamo cittadini italiani, grati che questo Paese abbia accolto i nostri genitori. Ma vogliamo anche sognare.

Intanto tra i giovanissimi molti cercano di nascondere le proprie origini sperando di essere più accettati.

«Io guardo ai rapper che stanno raccontando la realtà com’è veramente, più della politica. Penso a Ghali che in Cara Italia non fa che rimarcare le sue origini: “Quando mi dicono vai a casa, io sono già qua”. Quando sono tornato da quel viaggio fatto 3 anni fa in Marocco ho capito che sono un afroeuropeo, credo nell’Europa e nel futuro dell’Africa».