I primi coloni portoghesi arrivarono nel Seicento. Poi giunsero i francesi, attratti dalle montagne d’avorio strappate agli elefanti per questo decimati in pochi anni. Da qui il nome del Paese Côte d’Ivoire, che nei documenti ufficiali rimane declinato in francese e mai tradotto, per esplicita richiesta dei diplomatici ivoriani all’Onu. Nel 1893 i francesi si annessero il Paese come colonia. Una dominazione durata fino al 1958, qando con un referendum la Costa d’Avorio ottenne l’indipendenza, ratificata due anni dopo da Parigi. Ma la riconquistata autonomia dopo secoli di dominazioni europee lasciò il Paese nelle mani di una casta avvezza più alla corruzione che alla crescita economica. Dei problemi lasciati dalla colonizzazione parla questo seminale romanzo di Ahmadou Kourouma, I soli delle indipendenze, pubblicato dalle edizioni e/o. Ahmadou Kourouma, nato nel 1927 e scomparso nel 2003, è una delle maggiori figure letterarie della Costa d’Avorio, uno dei massimi esponenti del romanzo africano in lingua francese. Le Edizioni E/O hanno pubblicato Aspettando il voto delle bestie selvagge e Allah non è mica obbligato, vincitore del premio Grinzane Cavour 2003.
In questo romanzo, attraverso gli occhi del principe malinké Fama, Ahmadou Kourouma narra una storia di colonizzazione e di indipendenza e dei suoi effetti imprevedibili e illusori. Alla fine ne esce una profonda riflessione su quanto l’imperialismo coloniale abbia influito anche dopo l’indipendenza dell’Africa occidentale, nella politica, ma soprattutto nelle coscienze. Questo primo romanzo di Ahmadou Kourouma, pubblicato nel 1968, narra la decadenza del principe malinké Fama Dumbuya, “nato nell’oro, il cibo, l’onore e le donne” e ridotto a vivere di espedienti, sullo sfondo di una Costa d’Avorio che ha da poco conquistato l’indipendenza dalla Francia. Il titolo allude proprio a quei regimi nati dalle lotte per l’indipendenza, che per la loro assoluta e comune negatività sembrano a Fama meritevoli soltanto di un generico plurale. Regimi dai confini aleatori tracciati dai colonizzatori, frontiere intollerabili da sopportare per chi sente di appartenere a una cultura antica, radicata in ben più ampi territori. Nella virulenta descrizione di Kourouma viene messa alla berlina sia la borghesia arrivista e ingorda, che ha preso in mano il destino del paese, sia i capi tradizionali corrotti e servili. Questo romanzo divenne un modello per generazioni di lettori e di scrittori africani e rivelò subito un autore eccezionale, una voce sarcastica e amara, ma anche traboccante di vitalità. Fabio Poletti

Ahmadou Kourouma
I soli delle indipendenze
traduzione di Monica Amari
2023 e/o
pagine 192 euro 18

Per gentile concessione dell’editore e/o pubblichiamo un estratto dal libro I soli delle indipendenze

In strada Fama cominciò a sbuffare, a imprecare, a maledire; la collera non si spegne in un tizzone di brace. Si impose di aspettare quel figlio di un cane di Bamba per convincere tutti quei bastardi degenerati che su questa terra viveva ancora un uomo virile, un uomo d’onore, uno al quale non si potevano mettere impunemente le mani addosso.
La strada, una delle più affollate del quartiere nero della capitale, brulicava di gente. A destra, dalla parte del mare, le nuvole spingevano e avvicinavano l’orizzonte alle case. A sinistra, le cime dei grattacieli del quartiere dei Bianchi provocavano altre nuvole che si ammassavano e gonfiavano una parte del cielo. Ancora un temporale! Il ponte gettava la propria campata su una laguna rossastra di terra trasportata in quel luogo dalle piogge della settimana; e il sole, già incalzato dai lembi di nuvole dell’ovest, aveva smesso di splendere sul quartiere nero, per concentrarsi sui bianchi edifici della città bianca. Dannazione! Bastardi! Il nero è dannazione! Gli edifici, i ponti, le strade di laggiù, costruiti tutti da dita nere, erano abitati e appartenevano ai Bianchi. Le Indipendenze non potevano farci nulla! Ovunque, sotto tutti i soli, e sopra tutti i suoli, ai Neri vanno gli avanzi: i Bianchi tagliano e mangiano la carne e il grasso. Non significava essere dannati quel penare nell’ombra per gli altri, quello scavare come un pangolino gigante delle tane per gli altri? Erano dunque rivoltanti, tanto erano dannati, tutti quei Neri che risalivano e discendevano per la strada. E dunque era un vile dannato, uno schifoso dannato, quel bastardo di Bamba, che aveva alzato le mani su Fama. E perché, allora, aspettare su un marciapiede un dannato? Quando un demente si mette ad agitare un sonaglio, sarà sempre un altro demente a mettersi a ballare, non certo un discendente dei dumbuya.
Fama si impose di continuare e attraversò la strada. Mancava poco all’ora della quarta preghiera, il tempo di camminare velocemente e di arrivare alla moschea. Evitò due taxi, girò a destra, costeggiò un isolato, sbucò sul marciapiede destro del corso centrale e si mescolò alla folla che fluiva verso il mercato. Lì, tra i tetti, apparivano cieli diversi: quello tormentato dai venti che strappavano le nuvole per lanciarle sul sole, già coperto e offuscato, quello indaco, basso, carico, che saliva dal mare avanzando verso le case e gli alberi inquieti e tremolanti. Il temporale si stava avvicinando. Città sporca e viscida di pioggia! Marcia di pioggia. Ah, nostalgia della terra natia di Fama! Quel cielo profondo e lontano, quel terreno arido ma solido, quei giorni sempre asciutti. Oh! Horodugu! Come mancavi tu, a quella città, e come le mancava anche tutto ciò che aveva consentito a Fama di vivere un’infanzia felice, da principe (il sole, l’onore e l’oro), quando, all’alba, gli schiavi palafrenieri presentavano il cavallo restio per la cavalcata mattutina, quando, alla seconda preghiera, i griot e le griotte can- tavano l’eternità e la potenza dei dumbuya e dopo i marabutti recitavano e spiegavano il Corano, insegnando la pietà e l’elemosina. Chi mai poteva immaginarsi, a quel tempo, di dover imparare a correre da un sacrificio all’altro per mendicare?
I ricordi dell’infanzia, del sole, delle giornate, dell’harmattan, delle mattine e degli odori dello Horodugu lavarono l’offesa, facendo svanire la collera. Bisognava mantenere il controllo di sé stessi. Allah ha fabbricato una vita simile a un tessuto a strisce di diversi colori: una striscia del colore della felicità e della gioia, una striscia del colore della miseria e della malattia, una striscia del colore dell’offesa e del disonore. D’altronde, esaminiamo per bene le cose: Fama poteva pretendere di aver avuto ragione su tutti i fronti? Il sangue non era rimasto freddo e la lingua era andata troppo svelta. Insomma, un musulmano e figlio di un capo conserva il sangue freddo e sa pazientare, perché, a voler compiere tutto a gran velocità, si ri- schia di seppellire i vivi, e la rapidità della lingua ci fa prendere per una brutta strada, da cui l’agilità del passo non riesce a farci uscire.
Adesso, tra le strade e le foglie, nascevano i venti che chiamano la pioggia. Quello spicchio di cielo dove poco prima correvano e si ammassavano le nuvole era gonfio da scoppiare, mentre veniva stretto e scosso da rapidi bagliori. Fama sbucò sulla piazza del mercato, dietro la moschea dei senegalesi. Il mercato era stato smontato ma, nonostante il vento, continuavano a persistere gli odori. Gli odori di tutti i grandi mercati d’Africa: Dakar, Bamako, Bobo, Buaké; tutti i grandi mercati che Fama aveva frequentato come commerciante di prim’ordine. Quella vita di commerciante di prim’ordine era ormai solo un ricordo, perché ogni traffico era finito con la partenza dei colonizzatori. E dei rimorsi! Fama si struggeva nei rimorsi per aver tanto combattuto e detestato i francesi, un po’ come quel filo d’erba che si lamentava perché l’eriodendro si prendeva tutto il sole, ma appena l’eriodendro era stato segato, lui aveva avuto tutto il sole per sé, ma anche il grande vento che l’aveva spezzato. Ma, certo, Fama non poteva nemmeno essere giudicato un colonialista! Perché lui aveva visto la colonizzazione, aveva conosciuto i comandanti francesi, che significavano molte cose, molte sofferenze: lavori forzati, cantieri di tagliaboschi, strade, ponti, tasse su tasse e requisizioni dietro requisizioni, di quelle che qualsiasi conquistatore opera prima o poi, senza scordare il frustino del guardiano e del governatore e altre torture. Fabio Poletti

Titolo originale: Les soleils des Indépendances
© Copyright 1970 by Éditions du Seuil
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