Fare i conti con le proprie radici familiari richiede impegno. Specie se tua madre, imprenditrice, primo ufficiale donna nella marina Usa, è persona assai ingombrante, E fa niente se tu sei Maya Angelou, madre a 17 anni, poi poeta, scrittrice, ballerina, attivista a fianco di Martin Luther King. Per venire a capo di questo legame di sangue, di amore e fatica, Maya Angelou ha scritto migliaia di pagine, divise in sette romanzi. Uno si chiama Lei che mi ha liberata ed è stata pubblicata dalla casa editrice Le Plurali. Maya Angelou, nata Marguerite Annie Johnson a Saint Louis nel 1928 e morta a Winston-Salem dieci anni fa, è stata un’icona dei diritti degli afroamericani. Nell’arco di mezzo secolo ha pubblicato un’autobiografia divisa in sette parti, tre libri di saggistica e numerose raccolte di poesia, oltre a libri per bambini, drammi teatrali, sceneggiature e programmi televisivi. Ha ricevuto decine di premi e più di cinquanta lauree honoris causa. Nel 1993 Maya Angelou ha declamato la sua poesia On the Pulse of Morning alla cerimonia di insediamento alla presidenza di Bill Clinton, risultando il primo poeta a recitare un proprio testo all’inaugurazione presidenziale. Le opere più importanti di Maya Angelou sono state etichettate come romanzi autobiografici, ma molti critici le considerano delle vere e proprie autobiografie. Maya Angelou ha compiuto un deliberato tentativo di opporsi alla struttura tipica dell’autobiografia, attraverso una messa in discussione, una rielaborazione e un accrescimento di questo genere letterario. I suoi libri sono incentrati su temi come il razzismo, l’identità, la famiglia e i viaggi. In questo memoir, per la prima volta tradotto in Italia, Maya Angelou, racconta la sua vita attraverso la lente del suo rapporto con la madre, Vivian Baxter. Se Maya conduce una vita che sembrano cento vite, ragazza madre a 17 anni, cuoca, ballerina, intellettuale e attivista per i diritti civili con Martin Luther King, la madre non è da meno. Cresciuta in un contesto violento, donna fuori dagli schemi, proprietaria di un casinò, Vivian è stata anche la prima donna nera ufficiale della Marina mercantile. Il racconto, che inizia con la ferita dell’abbandono di Maya alle cure della nonna, si evolve per raccontare una relazione tra madre e figlia basata su sorellanza, perdono e rispetto reciproco. Sullo sfondo, gli Stati Uniti del Ku klux klan, del proibizionismo e delle lotte per i diritti civili degli afroamericani. Alla fine un romanzo sull’amore. Perché, come scrive Maya Angelou: «L’amore guarisce. Guarisce e libera. Uso la parola amore, non nell’accezione romantica, ma piuttosto come una condizione così forte che può bastare a mantenere le stelle nella loro posizione celeste e a far scorrere regolare il sangue nelle nostre vene». Fabio Poletti

Maya Angelou
Lei che mi ha liberata
traduzione di Beatrice Gnassi
2023 Le Plurali
pagine 164 euro 18

Per gentile concessione dell’editore Le Plurali pubblichiamo un estratto dal libro Lei che mi ha liberata

Io avevo quasi quattordici anni e avevo vissuto con mia mamma e il mio patrigno per alcuni mesi. Lei capì che non mentivo con facilità. Non perché fossi molto virtuosa, ma perché ero semplicemente troppo orgoglio- sa per essere scoperta a dire una bugia ed essere obbligata a scusarmi. Neanche Lady mentiva, ma mi spiegò che di fatto era perché era troppo perfida per mentire. Ammirava la mia decisione di dire la verità a tutti i costi. Mi diede una chiave dell’armadio dei soldi, dove teneva migliaia di dollari e casse di liquore. Era al tempo della seconda guerra mondiale e il whiskey non era solo raro e costoso, ma razionato. Per cui teneva sempre gli alcolici in un armadio chiuso a chiave insieme ai soldi. Una mattina, ero seduta in cucina con la mamma e cinque o sei donne che lavoravano nel suo casinò per le scommesse.
Mamma disse a tutta la compagnia: «Del liquore sta uscendo dal mio armadio e solo papa Ford e Maya hanno le chiavi, oltre alle due che abbiamo io e papà Clidell».
Mi guardò e mi disse: «Per cui, mia cara, hai bevuto il whiskey?». E io: «No, non l’ho fatto».
«Bene», affermò e poi continuò a parlare con noncuranza. Ma quando feci per alzarmi disse: «Ok cara, va tutto bene, vai pure. Ti credo. Hai detto che non ne sai niente del whiskey».
Io dissi: «Aspetta, non ho detto che non ne so niente, ho detto che non l’ho bevuto».
«Oh, siediti», e io mi sedetti. «E allora?».
«Ne ho portato un po’ alla sala cinematografica del New Fillmore Theatre di domenica».
«Che cosa intendi?».
«Ho versato un po’ di liquore in un barattolo di vetro e l’ho portato alla sala cinematografica di domenica».
«Che cosa ne hai fatto?».
Dissi: «L’ho dato ai bambini. Volevo farmeli amici». «Hai portato il mio liquore fuori da casa mia, l’hai
portato al cinema e l’hai dato a dei minorenni? Capisci quanto sia stupido? Hai idea di quanti soldi questo mi costi e hai pensato che posso andare in prigione per questo?».
Mi stava mettendo in imbarazzo di fronte alle donne.
Dissi: «Per favore, Lady, non farne un dramma. Ci sono solo sedici bicchierini in una bottiglia e costano un dollaro e venticinque a bicchiere».
Si allungò oltre il tavolo e cercò di darmi uno schiaffo, ma le sue braccia erano troppo corte. Se ci fosse riuscita sarebbe stata una delle tre volte nella mia vita in cui mi ha picchiato. Mi alzai. Non potevo credere che mi avrebbe schiaffeggiato di fronte a quelle donne.
«Tu, hai capito quanto sia stupido?».
Borbottai e salii in camera. Sedetti sul letto e pensai: “Cosa devo fare ora?”. Ero nel torto. Avevo rubato il suo whiskey ed ero stata messa in imbarazzo di fronte a persone solo poco più grandi di me. Aspettai che mamma salisse, ma non venne.
Quando Bailey tornò a casa, lo chiamai nella mia stanza e gli raccontai cosa avevo detto e cosa avevo fatto. Bailey, il mio compagno, mio fratello, il mio cuore, il mio paradiso, disse: «Sei una cretina». Mi fece scoppiare a piangere. «Ti rendi conto che è contro la legge e che costa alla mamma tutti questi soldi, e che può andare in carcere per il fatto che tu hai portato del liquore a dei minorenni? È una cosa davvero stupida». E se ne andò.
Così a quel punto piansi davvero. Quando mi calmai, decisi che era tempo di scusarmi con Vivian Baxter.
Mi ripresi e aspettai di sentire quando tutte le altre persone se ne erano andate. Bussai alla porta della sua camera e lei fece: «Entra».
Entrai e dissi: «Voglio parlare con te». Era fredda come un iceberg.
«Sì?».
«Ho sbagliato e ti chiedo perdono e non farò mai più niente del genere. Non ho acceso il cervello e ti chiedo scusa». Si ammorbidì come un cubetto di ghiaccio in una padella sul fuoco ardente.
«Accetto le tue scuse».
Mi abbracciò e non credo che menzionammo più il fatto. L’avevo quasi dimenticato ma voglio condividerlo qui perché ci sono casi in cui nessuno ha ragione e, a volte in famiglia e coi bambini, nessuno riesce ad ammettere che non c’è un giusto e forse neanche uno sbagliato. Ma in questo caso io avevo torto e apprezzo Vivian Baxter per essere stata abbastanza generosa da accettare le mie scuse.

© 2023 Le Plurali Editrice
testo originale
Mom & me & mom
© 2013 Maya Angelou