Con il fallimento dell’accordo con la Tunisia e micro-risultati a livello europeo, la premier ci prova con l’Albania. Giorgia Meloni e il suo omologo Edi Rama, hanno sottoscritto a Palazzo Chigi un protocollo d’intesa che prevede – tra le altre cose – anche la la realizzazione di due centri per il rimpatrio che potranno ospitare fino a 3mila migranti irregolari. L’idea di esternalizzare la gestione dei profughi in territorio albanese mette in gioco il rispetto di diritti umani fondamentali, sanciti dalla nostra Costituzione e dal diritto internazionale, nonché i nostri rapporti con l’Unione europea, di cui l’Albania non fa parte. Nel frattempo,  frastornati dai continui attacchi al complesso di norme che riguardano l’immigrazione, operatori legali e società civile ma soprattutto cittadine straniere e cittadini stranieri, si sentono accerchiati da un perimetro che si stringe sempre di più, cancella diritti fondamentali e limita le facoltà di scelta.

Dall’inizio dell’anno il Governo Meloni – tramite decretazione d’urgenza – ha modificato profondamente le norme riguardanti le istanze di protezione internazionale, in particolare quelle presentate da coloro che provengono dai cosiddetti “Paesi sicuri”. È infatti stata introdotta una forma di trattazione accelerata di 15 giorni che sta destando enormi preoccupazioni sia per gli attori giuridici in campo sia per gli stessi funzionari che se ne devono occupare.

Durante la trattazione accelerata della domanda, dando quasi per scontato che sia inammissibile o strumentale, viene disposto il loro trattenimento nei Cpr: si trattano come cittadini di serie B le persone solitamente vulnerabili che sono appena approdate in Italia dopo essere scese da un barcone

Norme più restrittive rispetto alle precedenti in vigore hanno effetti devastanti anche sulla prima accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (specie se ultra 16enni, con misure preoccupanti che accertano l’età) e comportano la possibilità di trattenere nei Cpr i migranti fino a 18 mesi, pur sapendo che non vi sono né le condizioni strutturali per gestire i centri né evidenze dell’efficacia di questa misura.

La cauzione impossibile

Per non essere trattenuti nei centri per il rimpatrio o negli hotspot, è stata introdotta, con grande clamore, la richiesta di una cauzione impossibile,  rivolta a determinate categorie di stranieri (quelli provenienti dai Paesi sicuri) ed è stata infine annunciata l’apertura di nuovi Cpr che nessuna regione vuole sul proprio territorio.

Le tempestive risposte dei giudici di Catania e Firenze sulla cauzione da 4.938€  dimostrano solo quanto il clamore delle proposte inserite a muso duro dal Governo si tramuti spesso in misure inapplicabili perché illegittime e, in fin dei conti, antieconomiche per la nostra società e per le casse dello Stato

Il Governo sembra aver chiuso il cerchio sui migranti emanando un nuovo decreto che determina le quote degli ingressi regolari di lavoratori stranieri di qui a tre anni e dichiarando il suo impegno a rendere finalmente effettiva espulsione dei cittadini stranieri non desiderati perché irregolari.

Alcuni dati sui rimpatri forzati e i loro costi

Sui rimpatri forzati, ovvero quelle operazioni aeree o terresti che definiamo “espulsioni forzate” e che vengono gestite con enormi costi effettivi dalle nostre autorità di pubblica sicurezza o da Frontex, è bene ribadire alcuni dati per sfatarne il mito, riportando il confronto su un piano rispettoso delle regole dettate dall’Unione Europea nonché dei principi della CEDU e del diritto internazionale.

Secondo quanto è stato comunicato dal Garante italiano dei diritti delle persone privare delle libertà già nel 2021, solo il 49,7% dei migranti trattenuti nei CPR è stato effettivamente rimpatriato. Un dato che conferma la tendenza degli anni precedenti (48,7% nel 2019 e 50,88% nel 2020) e dovrebbe far riflettere sui declami dell’attuale Presidente del Consiglio.

Dal 2018 al 2020 sono stati spesi circa 27,4 milioni di euro per il rimpatrio forzato (con e senza scorta) di 16mila stranieri privi di un regolare permesso di soggiorno. Il costo medio per ogni trasferimento ha subito un’impennata nel 2020, quando sono stati sborsati 8,3 milioni di euro per rimpatriare 3351 persone: in media 2500 euro a viaggio. È quanto emerge dai numeri forniti dal Garante dei diritti delle persone private della libertà personale e dalla delibera numero 10 del 2022 della Corte dei conti, che per la prima volta dà una stima della spesa sostenuta per riportare i migranti nei loro Paesi d’origine.

Il fallimento del progetto migratorio

Gli stranieri che salgono su questi voli, spesso ammanettati con fascette di velcro, vedono in poche ore sgretolarsi il proprio progetto migratorio, senza poter salutare amici o parenti, senza un congruo e dignitoso preavviso e senza essere attentamente informati su ciò che li attende. Questo dopo aver trascorso settimane o mesi in un centro per il rimpatrio fatiscente e senza alcun tipo di sostegno psicologico o sociale.

Giornalisti, scrittori, giuristi, medici, nonché le stesse autorità che possono avere accesso a questi luoghi di detenzione amministrativa hanno prodotto una quantità importante di reportage, relazioni, raccomandazioni nonché vere e proprie denunce. La Corte europea di Strasburgo ha più volte condannato l’Italia per i trattamenti disumani e degradanti riservati a queste persone, soprattutto a fronte delle morti nei Cpr.

Se l’obiettivo è quello di rimpatriare la persona perché non può regolarizzare la sua posizione amministrativa di soggiorno in Italia, è fondamentale consentirgli di comprendere le ragioni per cui il suo progetto migratorio sta per terminare o non può nemmeno iniziare. La risposta è quella di finanziare progetti basati sul case management e finanziare equipe multidisciplinari che assistano i migranti affiancati di mediatori linguistico culturali per garantire assistenza medica, psicologica e assistenza sociale. Questa consapevolezza e l’adozione di condizioni e misure che garantiscano un trattamento dignitoso può ridurre l’incidenza di nuovi tentativi di ingresso irregolare ma anche il rischio di possibili radicalizzazioni.

Il ruolo della Fortezza Europa

La Fortezza Europa ed i suoi stati membri vantano storicamente una lunga tradizione di  accoglienza e migrazioni. Ognuno di questi Paesi ha il dovere di mettere in campo risorse economiche che finanzino progetti che possano aiutare il lavoro di personale specializzato e formato ad accompagnare le persone straniere al rimpatrio nel Paesi di origine. La misura dell’espulsione forzata dovrebbe essere l’ultima da attivare e in caso di estrema necessità, quando non vi siano alternative alla regolarizzazione del cittadino straniero e solo una volta verificato che il Paese di origine sia effettivamente sicuro ed in grado di accogliere dignitosamente il migrante.

Bisogna ripensare ai canali di ingresso regolare nei Paesi europei, magari confrontandosi su best practicies ed esperienze di successo, prevedere un’alternativa al trattenimento nei cpr e anche dei meccanismi di graduale regolarizzazione di chi è già qui. Misure pensate in un’ottica di reale governo delle migrazioni e di rispetto della dignità umana, non di restringimento dei diritti.