Quanti sono gli imprenditori e le imprenditrici con origini diverse in Italia? A Milano e Provincia le imprese con un titolare straniero sono oltre il 33% del totale con picchi oltre il 40% in certe zone della città metropolitana.

È questo il dato fornito in anteprima dalla ricerca “Dal mondo alla città- strategie di successo degli imprenditori artigiani di origine straniera” al Forum dell’Economia Urbana 2024 in occasione della giornata dedicata all’imprenditoria straniera presso il Luiss Hub di Milano, condotta da Unione Artigiani della Provincia di Milano e Monza Brianza in collaborazione con Cna Milano.

Presenti la Assessora allo Sviluppo economico e Lavoro del Comune di Milano, Alessia Cappello, e rappresentanti del Corpo Consolare di Milano e Provincia, di ISMU, del Progetto Formaper e della Camera del Lavoro.

Alcuni dati

I dati che emergono dalla ricerca sono molto dettagliati e suddivisi per settori di attività e Paesi di provenienza: in alcuni casi confermano quello che abbiamo sotto gli occhi ovvero la predominanza di imprese edili che operano nel settore delle costruzioni e dei servizi di pulizia. Ma sono moltissimi i settori dove gli stranieri hanno conquistato una fetta di mercato: il tessile, l’alimentare, i servizi di cura alla persona, i trasporti, ma anche ITC ed elettronica.

Se è ancora bassa la percentuale dell’imprenditoria straniera al femminile, nella città di Milano si registra un piccolo aumento rispetto all’area Metropolitana (17 % invece che 15%). Oltre alla presentazione della ricerca, la giornata ha previsto una serie di panel in cui i nuovi imprenditori e le nuove imprenditrici si sono raccontati e hanno dato testimonianza della loro straordinaria resilienza, perché bisogna davvero essere tenaci, coraggiosi e incredibilmente determinati per fare impresa in Italia.

Fare impresa per un cittadino o una cittadina stranieri in Italia vuol dire molto di più che per chi ha il passaporto italiano in mano

Dai proventi dell’attività lavorativa dipende infatti la possibilità di mantenere la regolarità del soggiorno per tutti i cittadini stranieri con un permesso di soggiorno non permanente. Riuscire a guadagnare l’importo sufficiente a garantire il proprio sostentamento e quello dei familiari secondo i parametri della questura può essere sfidante e -in tempi di crisi- mandare all’aria un intero progetto migratorio.

Ma, guardando oltre coloro che sono arrivati con una valigia e poco più in Italia, è necessario leggere il fenomeno in un’ottica contemporanea e orientata al futuro. Le richieste di investimenti in Italia con operazioni finanziare importanti o per realizzare progetti imprenditoriali artistici, legati alla moda e al design, fino alle numerose start up innovative, sono in aumento ma faticano ad avere le giuste risposte dal Governo.

La lenta risposta legislativa

Basti pensare al decreto attuativo della legge L. 25 del 28 marzo 2022 che ha previsto l’introduzione nel Testo Unico per l’Immigrazione del visto per i nomadi digitali. A 2 anni dall’emanazione della legge, questa opportunità per tanti professionisti stranieri che vivono in giro per il mondo lavorando da remoto ed utilizzando le nuove tecnologie è semplicemente lettera morta.

Per non parlare della modifica alle procedura di ingresso previste per le aziende con sede in Italia che vogliono assumere un manager straniero o del personale altamente specializzato per sviluppare settori dell’azienda grazie alle eccellenze offerte dal lavoro globalizzato, la cosiddetta Carta Blu Europea.

Questa procedura, introdotta con una direttiva europea nel 2009, particolarmente interessante per le aziende con sede in Italia e in Europa, dovrebbe consentire di far arrivare in tempi teoricamente brevi, personale straniero altamente specializzato fuori dalle quote dei Flussi di ingresso programmati dal Governo.

Le direttive UE

La direttiva è stata recentemente abrogata e sostituita dalla Direttiva UE 2021/1883 che i Paesi dell’Unione dovevano recepire entro il 18 novembre 2023. In Italia il decreto (D. Lgs. 152/2023) di recepimento della direttiva entra appunto in vigore con raro “tempismo”, il 17 novembre 2023.

L’UE si è accorta da un pezzo che il meccanismo non era ben oliato e, vista la scarsità di ingressi effettivamente realizzati e il numero le domande inviate con successo tramite questo canale ben inferiore alle previsioni, si è decisa a metterci mano rendendo gli strumenti più aderenti ai bisogni delle aziende

Le norme introdotte infatti semplificano le procedure e soprattutto provano a snellire i passaggi burocratici sottesi alle vidimazioni consolari, obbligatorie nel precedente regime.

La direttiva punta infatti ad ampliare la platea dei candidati da inserire in ruoli strategici e in settori di interesse per lo sviluppo delle più disparate attività, valorizzandone l’esperienza sul campo e quella curriculare. Tutto questo non sembra essere stato recepito dalla nostre prefetture che viaggiano a velocità ridottissima su ogni fronte, considerata la cronica insufficienza di personale addetto alla gestione delle istanze.

Storia del signor Dogan che non può fare impresa in Italia

Quindi se guardare al futuro incerto diventa deprimente, fare i conti con la realtà è quasi peggio: potrebbe raccontarvelo il signor Dogan, cittadino turco, imprenditore di 47 anni, felicemente residente nella sua Istanbul e per nulla intenzionato a trasferirsi a vivere stabilmente in Italia.

Il signor Dogan esporta frutta secca dalla Turchia. Ha una società regolarmente registrata presso la Camera di Commercio di Milano e ha affittato, con regolare contratto, due capannoni nell’hinterland di Milano per immagazzinare la sua merce. Non vuole vivere in Italia, ma fare impresa senza intoppi.

Quando ci incontriamo mi racconta che, dopo interminabili attese oltre i 6 mesi per ricevere un appuntamento per il rinnovo del suo visto di affari per l’Italia, si è rivolto al Consolato spagnolo di Istanbul ed ha ottenuto in due settimane un visto valido per due anni per poter viaggiare in Europa (con i limiti del visto breve) e poter seguire i suoi affari, partecipare alle fiere campionare ed incontrare partner commerciali.

Con amarezza mi racconta che non è mai riuscito ad aprire un conto in banca in Italia: continuano a chiedergli la carta di identità italiana ed il permesso di soggiorno che lui può avere solo se trasferisse la residenza in Italia. Ovviamente non dovrebbe essere così, ma il signor Dogan non ha tempo da perdere e andrà a fare impresa altrove.

La mancanza di personale qualificato

Abbiamo già dato conto delle molte difficoltà burocratiche che incontrano i cittadini extra Ue che desiderano sviluppare progetti di impresa nel nostro Paese e di fronte a dati di crescita così dinamica, non possiamo non ricordare ai decisori che serve un maggiore numero di personale dedicato a questo specifico settore che abbia le competenze e gli strumenti per gestire al meglio un fenomeno determinante per la crescita del nostro Paese sotto molti punti di vista. Semplicemente perché valorizzare le imprese straniere dovrebbe essere un’opportunità strategica e non un problema che non si sa gestire.