Una fregaturaUn buon primo passo. Una sòlaUna svolta storica

A commentare il mini-vertice di Malta, nelle ultime ore, è stata la politica. E la ragione è ovvia, spiega in una intervista approfondita a NuoveRadici Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli Studi giuridici sull’immigrazione (Asgi): questo potrebbe essere un accordo politico, ancora tutto da definire. Volendo riassumere le ultime ore, sull’isola si sono raccolti per poche ore i ministri dell’Interno di Italia, Malta, Francia e Germania (oltre alla Finlandia, che detiene la presidenza di turno al Consiglio dell’Unione Europea). Tema dell’incontro, un piano per modificare la gestione dei migranti che arrivano in Europa dopo essere stati soccorsi in mare. L’accordo è stato raggiunto, il testo manca (dovrà essere discusso durante il Consiglio europeo dei prossimi 7-8 ottobre) ma una bozza, per l’appunto, è già ampiamente circolata e commentata. 

«Ed è questo il punto. I contenuti non sono affatto chiari. L’accordo dovrà essere discusso a livello di Consiglio. E non è detto che tutto vada come preventivato da chi era a Malta, nei giorni scorsi». 

Ci spieghi meglio. Cosa non le torna?

«Iniziamo a chiarire cosa sicuramente questo accordo non può essere: non può essere un programma di ricollocazione obbligatoria, come quello adottato dal Consiglio Europeo nel settembre 2015 a favore di Italia e Grecia, accordo che all’epoca non funzionò perché la ricollocazione fu limitata ad alcune nazionalità e la partecipazione dei Paesi Europei fu difficoltosa e fredda. Addirittura Slovacchia e Ungheria impugnarono l’accordo di fronte alla corte di Giustizia europea, che però rigettò il loro ricorso».

Ma se c’è un precedente, la strada non è già segnata?

«Al contrario. La decisione presa nel 2015 si fondava sul principio di solidarietà di cui all’art.80 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, ma soprattutto sull’art. 78 paragrafo 3 nel quale si prevede che “Qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati”. E qui non siamo in alcuna situazione di emergenza. Anzi. Se guardiamo i dati 2018 e 2019, l’Italia è ben sotto una ipotetica quota di redistribuzione di richiedenti asilo».

In che senso? Invece di deviarli su altri Stati, saremo chiamati ad accogliere di più?

«Se guardiamo ai dati relativi alle domande di asilo presentate nei diversi Paesi UE e applichiamo i parametri di PIL e popolazione, scopriremo che in una ipotetica redistribuzione non solo gli asilanti attualmente in Italia non dovrebbero essere ricollocati altrove, ma anzi, ne dovrebbero persino essere trasferito verso l’Italia da Paesi che hanno un rapporto rifugiati Pil e popolazione ben più alto. Ed è esattamente questo che il dibattito politico italiano occulta: non c’è nessuna emergenza». 

La sola la Grecia è il paese verso il quale ci sarebbero probabilmente  dei dati fattuali per giustificare la riattivazione di un meccanismo di ricollocazione. 

Tuttavia la Grecia è stata la grande assente, a Malta.

«Se si volesse attuare un accordo basato sull’articolo 78 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, il piano di ricollocamento riguarderebbe solo la Grecia. Se portiamo all’attenzione del Consiglio un piano come quello abbozzato a Malta, ripeto, l’Italia sarebbe senza dubbio esclusa dalla redistribuzione. Le alternative, semmai sono altre».  

Quali alternative vede?

«Individuare un gruppo di Paesi il più ampio  possibile che decidano autonomamente di farsi carico di una parte delle domande d’asilo presentate all’Italia, non in virtù di una condizione di emergenza, ma di una scelta politica che il regolamento Dublino III all’art. 17 consente di fare pur non essendo Paesi di primo ingresso». 

Insomma, un accordo tra volenterosi?

«Precisamente. Ed essendo un accordo tra volenterosi, utilizzerebbe come base legale la clausola discrezionale prevista dall’attuale accordo di Dublino, accordo volontario che, come tale potrebbe essere imposto a nessuno. La differenza con l’accordo sulla redistribuzione del 2015 è radicale». 

Quindi? Tanto fumo e poco arrosto?

«Vuol sapere se secondo me un accordo come si è prefigurato a Malta sia inutile? No, darei un giudizio moderatamente positivo, ma ad alcune condizioni. Se l’obiettivo è veramente quello di sperimentare un anticipo di riforma del regolamento di Dublino in un gruppo di stati volenterosi è necessario che si raggiunga un certo numero di aderenti, puntando a coinvolgere quegli Stati che hanno dato segnali di disponibilità come Portogallo, Lussemburgo, Svizzera, Belgio, Olanda e in genere i paesi scandinavi. Solo in questo modo si anticiperebbe la riforma e si isolerebbe chi non la vuole (cioè il Gruppo di Visegrad, e non solo). Ma a quel punto la ripartizione deve essere fatta con criteri giuridici, quindi chiari ed equi, applicati a tutti. Quindi anche, anzi in primo luogo alla Grecia».

Tra l’altro, sono i criteri stabiliti nel testo di riforma di Dublino III approvati nella scorsa legislatura dal Parlamento Europeo che diversi Stati, in primis l’Italia, non hanno sostenuto in sede di Consiglio, facendo naufragare la riforma.

Ci ricorda quali sono questi principi?

«Ho già menzionato il criterio della ripartizione basata su un coefficiente variabile che tiene conto del Pil e della popolazione. Poi, non si deve dimenticare l’altro fondamentale pilastro della riforma che fu votata dal Parlamento Europeo, ovvero l’introduzione del principio dei cosiddetti “legami significativi” del richiedente.

Cosa sono questi “legami significativi”?

«In base a questo principio il richiedente che ha un legame significativo con un dato Paese dell’Unione viene trasferito in quel Paese per l’esame della domanda di asilo. Il legame significativo è la presenza di un familiare (a parte il coniuge e il figlio minore già previsto dalla legislazione attuale) come ad esempio un figlio maggiorenne, un parente in grado di contribuire al sostentamento, o la conoscenza del Paese in questione derivante da precedenti soggiorni per lavoro e studio o ancora una sponsorizzazione. E sa perché il Parlamento Europeo capì, anche su nostra sollecitazione, che si trattava di un cambio di approccio fondamentale?»

Mi dica.

«Perché stiamo parlando di persone che hanno una vita di relazioni e un progetto migratorio, non solo di numeri e di “quote”.  L’attuale regolamento è crudele ed è irragionevole perché impone alle persone comportamenti che nessuno di noi accetterebbe di rispettare come ad esempio di vivere lontano dalla propria rete famigliare».

L’insegnamento generale che ricaviamo dal gigantesco fallimento del Regolamento Dublino III è semplice e profondo: quando la legge è troppo rigida e si basa su un impianto irragionevole, fallisce. La buona norma non deve negare i processi sociali, ma li deve regolare accompagnandoli. 

Facciamo un passo indietro. Lei sta dicendo che Malta ruota intorno ad una volontà di generosità verso l’Italia. Perché ora?

«Cerco di essere più chiaro. Siamo di fronte ad uno spartiacque. O quello che nasce da Malta è un accordo puramente politico, nato per sostenere temporaneamente il fragile attuale governo italiano, e non ha nulla a che fare con la riforma di Dublino – e ricordo che non c’è per l’Italia una reale situazione di emergenza in atto…»

Oppure…

«Oppure con questo accordo si sostiene lo stesso l’Italia con una decisione politica, quindi per così dire a prescindere dalle proprie responsabilità, iniziando a modificare la narrazione tossica messa in dall’estrema destra, ma si iniziano a fare vivere veramente gli elementi che preludano alla futura generale riforma del Regolamento Dublino III. I due approcci sono molte diversi. I segnali, al momento, ci parlano di un accordo con poca spinta al cambiamento». 

Di quali segnali parla?

«Che il vero obiettivo dell’accordo sia solo il sostegno diplomatico e politico al nuovo governo italiano è reso palese dalla proposta, tutta propagandistica, della rotazione dei porti di sbarco – proposta che definirei una incredibile sciocchezza. A Malta erano quattro nazioni e la Germania non ha porti sul Mediterraneo. Nel caso di adesione cosa sceglieranno, Amburgo? La rotazione significa una sola cosa: la Francia – e solo in misura minima, perché i porti francesi sono a giorni di navigazione dalla zona di operazioni di salvataggio. Ma volendo lasciar perdere il lato comico, pare che si siano dimenticati i regolamenti internazionali relativi al soccorso in mare».

Se un uomo viene salvato a un naufragio e lo salvo nel mezzo del Mediterraneo, difficilmente lo porterò ad Amburgo, distante altri 15 giorni di navigazione. Questo intende? 

«Il problema è che il porto sicuro deve essere individuato, secondo le norme internazionali vigenti, perché garantisca il soccorso nel minor tempo possibile. Certo, se due stati, per così dire, se la giocano a breve distanza, è un conto, ma 15 giorni di mare non è certo quanto previsto dalle convenzioni sul soccorso in mare. Il soccorso deve comportare il minor disagio possibile per le persone e la minor deviazione rispetto alla traiettoria razionale».

A Malta si è deciso dei soli migranti soccorsi in mare dalle organizzazioni non governative e dai mezzi militari, non chi arriva autonomamente.

«E la maggior parte degli sbarchi avviene per via autonoma. Se parlassimo di un vero tentativo di anticipare la riforma di Dublino, questo aspetto non avrebbe dovuto essere neppure menzionato. Una legge deve rispettare principi di equità ed imparzialità, un richiedente asilo è una persona che va protetta, indipendentemente dal fatto che sia stato salvato da nave militare, di una ngo, per conto proprio o con gli uffici di un trafficante».

Questa distinzione è una scelta politico-discrezionale che ha un profilo etico assolutamente non condivisibile. Se vogliamo attuare una proposta credibile, che porti reali risultati e spenga la propaganda populistica, non è questa la strada.

Parlando di profili etici: la ministra dell’interno italiana Luciana Lamorgese ha confermato l’accordo tra Italia e Libia. Cosa ne pensa?

«Sul piano giuridico, il tentativo di accordo raggiunto a Malta e i vigenti accordi Italia-Libia sono piani diversi cui vanno date valutazioni distinte. E se sull’accordo di Malta mi riservo di vedere quale direzione prenderà, sulla questione libica il mio giudizio è netto: sul piano etico, giuridico e politico, è inaccettabile continuare su questa strada. Nonostante le prove fornite non solo da agenzie internazionali e da inchieste giornalistiche internazionali, ma persino accertate nelle sedi giudiziarie italiane, che ci hanno detto esattamente cosa avviene nei centri libici, continuiamo, con i fondi dei cittadini italiani ed europei a sostenere un presunto apparato statale fatto da forze armate e di polizia quasi mai distinguibili da milizie e trafficanti affinché gestiscano i migranti. E ripeto, nonostante le prove schiaccianti…»

…La sento senza parole. 

«Le parole ci sono. La Storia ci chiederà conto di questi crimini contro l’umanità».