«Mi lasci chiarire un punto. La solidarietà, il soccorso in mare, non sono e non saranno mai un reato». Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli Studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), non vuole solo essere chiaro sulla questione del decreto sicurezza bis. Vuole spiegare a NuoveRadici.World perché chiunque sostenga che da oggi il soccorso è un reato, sta facendo un grosso errore. Giuridico, prima di tutto. «Quelle portate avanti da questo governo sono mere battaglie fatte per modificare il senso comune e i valori su cui si fonda la società. Ma, almeno in Europa, i sovranisti non potranno far prevalere il loro odio e le loro politiche sui paletti di libertà e giustizia previsti dall’Unione Europea. Quindi cosa possono fare? Stravolgono la realtà. Se un cittadino si dirà convinto che soccorrere una persona in mare, da oggi, in Italia, sia reato, allora avranno vinto».

Quello che è successo nella giornata di lunedì è ormai noto. Il senato ha approvato in via definitiva il decreto sicurezza bis, la riforma su soccorso in mare e su ordine pubblico fortemente voluta dal ministro dell’Interno Matteo Salvini che, su Twitter, ha commentato: «Grazie agli italiani e alla Beata Vergine». Il ministro ringrazia con tanto calore per un decreto che si compone di 18 articoli. di cui il primo stabilisce che il ministro dell’Interno «può limitare o vietare l’ingresso il transito o la sosta di navi nel mare territoriale» per ragioni di ordine e sicurezza, nello specifico quando suppone che sia stato violato il testo unico sull’immigrazione, con il reato di «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina». L’articolo 2 prevede una sanzione (da 150mila euro a un milione di euro) per il comandante della nave «in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane». C’è poi una sanzione aggiuntiva, il sequestro della nave, nonché l’arresto in flagranza per il comandante che compie il «delitto di resistenza o violenza contro nave da guerra, in base all’art. 1100 del codice della navigazione». Con l’articolo 4 vengono stanziati 500mila euro per il 2019, un milione di euro per il 2020 e un milione e mezzo per il 2021 per il contrasto al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e operazioni di polizia sotto copertura. Più fondi anche per il rimpatrio degli irregolari: 2 milioni di euro per il 2019.

Partiamo dal primo articolo, che si rifà alla convenzione di Montego Bay che all’art. 19 considera come «pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero il passaggio di una nave straniera se, nel mare territoriale, la nave è impegnata, tra le altre, in un’attività di carico o scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti».

Ci spiega questo primo articolo?

«L’ingresso e il passaggio di una nave nelle acque territoriali di per sé è inoffensivo salvo avvenga in violazione delle norme di quello Stato sull’immigrazione. E qui sta il problema di questo decreto: qual è la violazione di cui parliamo? Chi decide? A chi spetta l’accertamento dei fatti?».

L’ipotesi è già nella mente di tutti, in realtà. Immaginiamo un’altra Sea Watch, o qualcosa di simile. Immaginiamo il ripetersi di una situazione ben nota, con un esito ben diverso.

«Se il governo emana un decreto che inibisce l’ingresso di una specifica nave nelle acque territoriali deve farlo su una base legale (altrimenti è arbitrio politico) ovvero deve indicare quali sono i possibili elementi di reato nella condotta del capitano della nave a cui si impedisce l’ingresso».

L’ingresso in acque territoriali italiane di una nave che abbia salvato dei naufraghi in alto mare non può certo considerarsi “offensivo” in quanto, al contrario consiste nell’adempimento di un dovere giuridico (la salvaguardia della vita in mare e la conclusione del soccorso in un porto sicuro) che le convenzioni internazionale impongono sia agli Stati nazionali sia ai comandanti delle navi.

Sì, ma nel frattempo la nostra ipotesi prosegue con un capitano arrestato, una nave sequestrata, una sanzione ai soccorritori…

«Dobbiamo sempre ricordare che sia il diritto interno sia quello internazionale considerano il soccorso non solo legittimo, ma anche obbligatorio. Non a caso esiste il reato penale di omissione di soccorso mentre, nonostante l’enfasi di questi giorni e nonostante quanto desidera il signor Salvini, non esiste (né può esistere in un ordinamento democratico) nessun reato di soccorso».

Esiste il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

«Certamente, come previsto dall’art. 12 del Testo Unico Immigrazione. È però ben difficile, anzi direi arduo ipotizzare che si possa configurare un reato di favoreggiamento per chi effettua il soccorso, ne dà immediata notizia alle autorità, alle quali fornisce tutte le informazioni su ciò che sta facendo, chiede di concludere le operazioni in un porto sicuro e invece di ricevere collaborazione dalle autorità (sottoposte agli stessi obblighi giuridici) si vede opporre un divieto di accesso».

Ci spieghi meglio.

«Il favoreggiamento, indipendentemente dalla ragione per il quale viene fatto, per sua natura è una condotta che elude il contatto e la leale collaborazione con l’autorità. L’eventuale violazione dell’ordine impartito dall’autorità (nel caso l’impedimento all’accesso alle acque territoriali) da parte del capitano della nave che sta portando a termine un’operazione di soccorso è scriminata (cioè non più illecita) dallo stato di necessità, di cui all’art. 54 del codice penale. Considerato tutto ciò, mi sono chiesto a cosa serva questo decreto».

Che risposta si è dato?

Che ha uno solo scopo, quello di minacciare i soccorritori, di fare in modo che si spaventino per via delle sanzioni amministrative e delle ipotesi di arresto in flagranza. Lo scopo è quindi quello di ostacolare i soccorsi causando nuovi morti in questa oramai infinita strage che è in atto nel Mediterraneo. Ed è qui l’aspetto spregevole di questa orribile storia. Mai, dico mai abbiamo toccato così tanto il fondo, nella storia di questa tribolata Repubblica.

Torniamo alla nostra ipotesi. La nave entra in porto. Cosa accade?

«Accade quello che il governo vuole che accada. Intanto, il sequestro della nave, l’applicazione delle sanzioni, il tentativo di arrestare il capitano. Ma poi toccherà all’autorità giudiziaria verificare se ci sono stati gli estremi del reato di favoreggiamento e, di conseguenza, se il decreto con il quale veniva impedito l’ingresso della nave era legittimo o no. Nel caso in cui (come è finora sempre avvenuto) le indagini si chiudano rapidamente, riconoscendo che la condotta dell’organizzazione umanitaria che ha effettuato i soccorsi è pienamente legittima, le sanzioni previste dal decreto sicurezza bis non possono essere applicate».

Quindi il tema è quello del soccorso in mare, sul quale prevale il diritto internazionale. Cosa ci dice, a riguardo?

«Prevale sempre la convenzione sulla ricerca e salvataggio di Amburgo denominata SAR (dall’inglese search and rescue), cui l’Italia ha aderito, e le linee guida Imo (International Maritime Organization) di soccorso in mare, che prevedono che il porto sicuro è il porto più vicino nel quale, si legge, è garantita la sicurezza dei sopravvissuti e la mancanza di concreta minaccia agli stessi; sono assicurate le primarie necessità della persona (ovvero cibo, alloggio e cure mediche) ed è garantito il trasporto delle persone sopravvissute nella destinazione finale. Quindi il punto non è se a Tripoli siano o meno distribuiti i generi di prima necessità al momento dello sbarco, ma se le persone che vi sbarcano rischino, ed è questo il caso, di essere esposte a torture, trattamenti degradanti, violenze».

Molto rumore per nulla, direbbe Shakespeare?

Tutt’altro. Siamo in un periodo di grande regressione sociale, cultuale e quindi anche giuridica. Ci sono proposte esplicite di riforma in senso regressivo del sistema internazionale dei diritti umani.

«Ormai nessuno più propone modiche di normative sorpassare e inadeguate come la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati perché si rischierebbe solo, nel pieno del dibattito attuale, di peggiorare queste norme. In questo cupo scenario assume ancor più valore il diritto dell’Unione Europea, che è diritto cogente, cui tutti gli Stati membri sono tenuti al rispetto. Per tornare alla sua ipotesi: per fortuna non siamo ancora in alto mare».