Il rispetto dovrebbe essere l’abc di ogni relazione umana. L’uguaglianza fra le persone è sancita dal nostro articolo 3 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». A parte l’inciampo sulla razza, le razze non esistono, c’è solo quella umana, si capisce che è l’articolo meno applicato di tutta la carta. Come NuoveRadici.world siamo impegnati di questi tempi in una serie di workshop sostenuti dal Consolato Generale degli Stati Uniti d’America con al centro il tema della Leadership e della Diversity. Parole nuove che permeano la vita sociale di tutti i giorni. Ma che con forza si affacciano pure nelle imprese che, di fronte a una società sempre più multiculturale, devono imparare a declinarle e a farle diventare policy aziendale. Perché alla fine, non c’è Diversity se manca il rispetto della differenza. È un tema questo, su cui lavorano da anni Maria Cristina Bombelli ed Emanuele Serrelli, autori de La cultura del rispetto pubblicato da Guerini Next. Maria Cristina Bombelli è fondatrice della società di consulenza Wise Growth specializzata nella gestione delle diversità. Ha insegnato all’Università Bicocca di Milano e alla Bocconi School of Management per diversi anni. Emanuele Serrelli insegna pedagogia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove collabora anche con la UNESCO Chair on Education for Human Development and Solidarity among Peoples, con il CESVOPAS Centro Studi sul Volontariato e la Partecipazione Sociale, e con i corsi di laurea in Scienze dell’educazione e della formazione e in Media Education. Apprendere il rispetto diventa quindi non un imperativo morale, ma un percorso di azione: capire le ragioni per cui nascono situazioni «irrispettose» che ostacolano la convivenza e il lavoro comune corrisponde a una scelta strategica in grado non semplicemente di risanare il clima organizzativo, bensì di convertirlo in un risultato anche economico.
Con un linguaggio semplice e ricco di esempi, oltre alla presentazione di un caso aziendale di successo, gli autori di questo libro propongono un nuovo progetto di Diversity e Inclusion. Una filosofia del rispetto che, pur tenendo presenti gli aspetti specifici di ogni gruppo di «esclusi», è imperniata su ciò che accomuna gli individui – il desiderio di essere ascoltati, compresi e considerati in modo equo. Fabio Poletti

Maria Cristina Bombelli Emanuele Serrelli
La cultura del rispetto
Oltre l’inclusione
2021 Guerini Next
pagine 176 euro 19

 

Per gentile concessione degli autori Maria Cristina Bombelli ed Emanuele Serrelli, e dell’editore Guerini Next, pubblichiamo un estratto dal libro La cultura del rispetto.

Idealmente quasi tutti (il quasi è d’obbligo) sono d’accordo che ogni individuo, ogni persona sia degna di un insieme di comportamenti che gli sono dovuti solo ed esclusivamente perché è un essere umano (Borgna, 2013). Tuttavia la storia ci ha insegnato quanto sia facile superare il confine e l’attualità continua a confermarlo.
Nel passato quest’idea non era affatto scontata. Il primo a esplicitare chiaramente il concetto di dignità è Pico della Mirandola con il De hominis dignitate (1486). Con un salto temporale si possono ricordare il famoso Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini di Rousseau (1754) e Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria (1764) per rammentare che fu l’Illuminismo ad affrontare il tema dell’universalità della dignità umana: un seme che, come già sottolineato, non sempre è attecchito in eguale misura nei contesti sociali.
Con Härle (2013) possiamo tracciare alcuni elementi che sono alla base di un accordo di reciproco rispetto come caposaldo per il riconoscimento della dignità della persona:
1. l’uomo come fine e non come mezzo;
2. l’uomo come persona e non come oggetto;
3. autodeterminazione;
4. libertà di decisione;
5. rispetto dell’intimità;
6. uguaglianza dei diritti, contro ogni discriminazione.
L’uomo come fine e non come mezzo
È questo uno degli imperativi categorici di Kant, che nella pratica diventa un tema complesso perché nelle relazioni quotidiane siamo portati a utilizzare persone per fini individuali.
Il tema richiama anche un fondamento delle modalità organizzative del lavoro: quando la persona diventa mero mezzo, senza considerare le sue attese, i suoi desideri, le sue aspirazioni? Un quesito che rimanda evidentemente non solo a luoghi di puro sfruttamento – ancora molto presenti anche nelle realtà industriali avanzate – ma altresì a situazioni di «contratto psicologico» più progredite in alcuni ambiti di lavoro estremamente parcellizzato e ripetitivo. Il tema del rispetto in questo caso si interseca profondamente con quello del lavoro, che viene proposto in modalità sempre più fluide, precarie, senza un orizzonte. In proposito un libro molto interessante di Stefania Prandi, Oro rosso (2018), mette in luce situazioni limite ancora oggi in Italia, riportando casi in cui le persone non solo sono viste come mezzi, ma sono anche sfruttate oltre ogni decenza.
5.2 L’uomo come persona e non come oggetto
Anche in questo caso esistono ancora tante situazioni estreme: basti pensare al traffico di esseri umani che ogni giorno si consuma nel Mediterraneo. Nei contesti più comuni ritorna il tema dell’alienazione del lavoro e delle attenzioni da porre nelle attività di cura e assistenziali/sanitarie.
Sono questi infatti i contesti dove spesso gli operatori, magari sotto la pressione di situazioni organizzative difficili, trattano le persone come oggetti. La cura diviene una procedura, la relazione non esiste. Un tema che riguarda tutte le situazioni relazionali, comprese le scuole dell’infanzia e non solo.
5.3 Autodeterminazione
Anche l’autodeterminazione ha confini molto ampi che sfidano l’etica: basti pensare alle scelte di cura e di fine vita. Nell’ambito più ristretto del lavoro si tratta della dimensione delle opportunità spesso riserva- te a pochi, dell’accesso alle informazioni che determinano confini di possibilità/potenzialità. Certamente le possibilità di autodeterminazione dipendono anche dal bagaglio cognitivo, dalle competenze e dal network che si riesce a creare. In questo le aziende possono svolgere un ruolo supportando la formazione dei collaboratori in modo esteso e non solo con cognizioni confinate alla posizione ricoperta. Supporti, magari anche di self-learning, che aiutino le persone nell’autodeterminazione sul lavoro, sviluppando una capacità critica che è anche possibilità di proporre innovazione.
5.4 Libertà di decisione
Il dilemma coercizione/libertà di decisione non è neanch’esso semplice da dirimere. La collettività ha dato una risposta con il «contratto sociale», per richiamare ancora il padre dell’Illuminismo, che si traduce in leggi formulate da persone a ciò delegate dalla maggioranza. Molti, però, sono i dubbi che rimangono: l’obbedienza è sempre necessaria? Quando e come è «giusto» trasgredire? Quanto il gruppo a cui apparteniamo sollecita obbedienza o trasgressione? Domande, tutte, che sono frequenti nel mondo del lavoro.
5.5 Rispetto dell’intimità
Ancora un tema profondamente legato ai contesti di cura, come pure ai luoghi di detenzione e pena, ma che ritorna nel mondo del lavoro in relazione al rispetto della privacy. Un tema anche questo molto recente, da un lato altamente normato, dall’altro – con la diffusione dei social network – continuamente trasgredito, talvolta in termini molto violenti. È evidente che si tratta di un confine di non facile soluzione, che richiede una riflessione e, soprattutto, lo sviluppo di una cultura condivisa attenta a tali tematiche.
In alcuni capitoli del nostro libro abbiamo sottolineato situazioni in cui il rispetto dell’intimità è fondamentale nel mondo del lavoro. I casi dell’orientamento sessuale, per esempio, e della decisione di coming out costituiscono confini che è necessario rispettare, trattandosi di scelte individuali. Vi sono però altre condizioni, per esempio quella della maternità, in cui proposte aziendali univoche rischiano di invadere una sfera di scelta individuale che per sua natura esigerebbe un’attenzione alla privacy. Oltre a questi, vi sono molti casi tutelati dalla legge: la malattia, le disabilità nascoste, le scelte religiose e così via.
5.6 Uguaglianza dei diritti, contro ogni discriminazione
Un principio, questo, che deve sempre essere ricordato e che solo pochissimi anni fa, anche nel mitico Occidente avanzato, incontrava profonde trasgressioni. Il gesto di Rosa Parks, che rifiutò di cedere a un bianco il suo posto a sedere su un autobus e fu perciò arrestata e incarcerata per condotta impropria, è «solo» del 1955, un periodo davvero recente. E la fine dell’apartheid è del 1990!
Nei contesti lavorativi, se abbiamo affermato il diritto alle pari opportunità, ovvero la dimensione positiva di un approccio egualitario, è necessario porre profonda attenzione alla dimensione negativa, quella dei diritti negati, che può sempre risorgere per alcuni gruppi di individui, indipendentemente dalle loro prestazioni. Tutte le aree critiche che analizziamo nel testo sono potenziali aree di possibile discriminazione.

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