Una stella del soul sta nascendo e fa parte della grande famiglia della contaminazione, in tutti i sensi. Nata a Milano 26 anni fa da madre italiana e padre venezuelano, si muove tra i due versanti dell’oceano in Paesi che considera entrambi “casa”.

E pensa che gran parte della musica contemporanea non si possa incasellare ma sia naturalmente fluida tra sonorità r&b, hip hop e jazz. Infatti non si lascia sfuggire incursioni in tutti questi generi, con uno stile internazionale e una versatilità nel cantare molto apprezzata da Venerus (l’artista milanese considerato tra le grandi novità della musica italiana) che l’ha voluta sul palco con sé nel tour concluso da poco.

Arya Delgado ha la musica nel sangue

Il luogo delle sue radici da parte di padre l’ha visitato spesso, fino a poco tempo fa ci andava per trovare i nonni e parte della sua famiglia. «Mio padre è arrivato in Italia dal Venezuela poco prima che nascessi io. È un cantante di salsa quindi in casa la musica si è sempre fatta oltre che ascoltata. La mia passione è nata da lì».

Arya Delgado racconta a NRW che fino all’età di 13 anni è stata sommersa dalla salsa quasi fino a non poterne più. Per reazione ha cambiato direzione e si è messa ad ascoltare il pop-rock più mainstream, poi il soul classico e da lì la black music a 360 gradi, illuminata dai miti di Erykah Badu e Lauryn Hill

«Al momento il mio universo musicale spazia tra le contaminazioni hip hop, r&b, nu soul, jazz ed elettronica, ascolto H.E.R. e SZA. Però sulla musica latina ci sono tornata, ma anni dopo e per scelta, stavolta. Ho fatto anche un corso di salsa cubana e mio padre mi ha insegnato i passi base».

L’attivismo non deve essere solo un gesto simbolico

Le serate live ha iniziato a farle circa quattro anni fa. Poi a gennaio 2021 è arrivato il suo primo ep, Peace of Mind, che non è l’anteprima di un album in cantiere ma è completo così com’è, spiega Arya Delgado. «Dopo averlo scritto ho avuto un momento di black out. Però mi sono ripresa e ricaricata velocemente anche grazie al tour con Venerus».

Un incontro, quello con il musicista originario di San Siro, avvenuto tramite un contatto su Instagram. Dall’approccio via social all’esibizione insieme sul palco del festival Mi Ami nel 2019 il passo è stato breve. «Abbiamo fatto parecchie date in tour. Sono davvero contenta di questa collaborazione». Ora Arya Delgado si sta concentrando sulla scrittura. Lo fa in modo diretto, perché ha bisogno di tirare fuori quello che sente, tornando raramente a modificare ciò che ha buttato giù. Cosa rara in un mondo iperfiltrato, orfano anche solo di un briciolo di spontaneità.

Penso che sia importante lasciare intatto questo flusso di coscienza. Mi piace improvvisare e fare tante variazioni quando scrivo. Gli artisti scrivono per tanti motivi, anche solo per intrattenimento. Ma è giusto che siano anche portatori di messaggi sociali se ci credono

A questo proposito, pensando a Black lives matter e agli artisti che si lanciano nell’attivismo civile, dice di seguire i social ma in modo poco partecipativo. «Non credo molto nei gesti simbolici su Instagram come mettere sul profilo un quadrato nero per un giorno. Sono più per le azioni reali».

La musica è diventata più indipendente, nonostante le grandi piattaforme come Spotify

Che le sorti della musica fossero nelle mani di pochi lo sapevamo, e Arya Delgado ce lo conferma. «Ci sarebbe da aprire un vaso di Pandora sulle scelte editoriali di Spotify».

Le playlist sono create da un gruppetto di persone, se sei un artista ti basta avere il contatto giusto e finisci in tutte le playlist della piattaforma. Se si va ad ascoltarle, è molto comune trovare gli stessi artisti con gli stessi pezzi sia in una selezione di genere urban r&b e sia in una pop, per esempio

Questione di pubbliche relazioni, quindi. Ma da prendere in considerazione c’è anche il fattore contaminazione degli stili, suggerisce Delgado in una prospettiva ottimista di maggiore libertà creativa. «Rispetto a qualche anno fa ora ci sono tanti artisti indipendenti che non sottostanno alle regole del mercato e si possono permettere di osare e produrre cose più contaminate. Oggi è difficile trovare un artista che si possa incasellare in u unico genere. Rispetto alle classiche etichette di un tempo, ormai non ha neanche più tanto senso parlare di generi, è molto riduttivo».

Foto: Viola Poggio