Tutte le volte che si è parlato dei problemi dell’insegnamento nella scuola pubblica per gli studenti musulmani, il dibattito è caduto sulla presenza dei crocefissi nelle aule. Come se l’approccio politically correct fosse da solo la soluzione di tutti i problemi. Quasi che bastasse questo per mettersi la coscienza in pace e non affrontare il problema degli stranieri o italiani di seconda generazione di religione musulmana. In questo volume edito da Carocci Editore, Pluralismo, religioni e intercultura, a cura di Antonio Cuciniello e Stefano Pasta, il primo arabista e islamologo, l’altro pedagogo, entrambi docenti dell’Università Cattolica di Milano, l’approccio va ben oltre la crosta superficiale delle differenze religiose. Ma tiene in conto l’aspetto linguistico e culturale, oltre alle dinamiche sociali che vedono i migranti di origine musulmana rinchiusi in enclave urbane, dove è difficile gettare ponti per un approccio multiculturale e per un’integrazione che non deve essere annientamento delle proprie origini. La scuola dunque, come laboratorio per un confronto di differenze nel rispetto delle proprie origini e di sensibilità diverse. Il libro promosso dal Centro di ricerca sulle Relazioni interculturali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano nasce dal progetto PriMED, Prevenzione e interazione nello spazio trans-mediterraneo, che ha visto coinvolte 22 università italiane e straniere. Fabio Poletti

Antonio Cuciniello e Stefano Pasta
Studenti musulmani a scuola
Pluralismo, religioni e intercultura
2020 Carocci Editore
pagine 148 euro 17

Per gentile concessione degli autori Antonio Cuciniello e Stefano Pasta e dell’editore Carocci pubblichiamo un estratto dall’introduzione del libro Studenti musulmani a scuola.

Questo libro si inserisce nell’ambito del Centro di ricerca sulle Relazioni interculturali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e dell’approccio che, con la direttrice Milena Santerini, chiamiamo di “pedagogia interculturale critica”. Si ricollega dunque a quegli studi pedagogici che, dagli anni Novanta del secolo scorso, hanno adottato la prospettiva interculturale come l’ottica più efficace non solo per studiare le migrazioni, ma anche come opzione politica “trasformativa” che permette la creazione di un confronto non ingenuo tra persone di lingue, abitudini, religioni e culture diverse. Non si tratta solo di rispettare e guardare con simpatia alla differenza, ma soprattutto creare nuove sintesi e spazi di cittadinanza; per farlo, occorre mettere in comunicazione i codici culturali in una situazione di pluralismo non solo etnico ma anche etico, che coinvolge al loro interno i gruppi autoctoni di una società plurale. […].
Le difficoltà di integrazione dei gruppi più chiusi e il pericolo del terrorismo hanno portato a ritenere il multiculturalismo responsabile dell’insicurezza e della frammentazione sociale nei paesi europei che l’avevano adottato. Sebbene i limiti di questo tipo di politiche siano evidenti, tale accusa è impropria perché “congela” le caratteristiche dei gruppi dal punto di vista culturale e religioso e interpreta ogni persona “chiusa” nella sua comunità di origine. Piuttosto, il “fallimento” del multiculturalismo non può essere attribuito a un eccesso di apertura (troppe concessioni ai diversi), ma esattamente al contrario. Le politiche dell’identità si sono rivelate fragili perché non accompagnate sufficientemente da mediazione e sostegno. In alcune città europee, le comunità etniche hanno ricevuto in vari casi riconoscimento e rispetto, ma sono state anche isolate e a volte segregate urbanisticamente, socialmente e culturalmente. […].
Un paradigma fondamentale che si è affermato per la cittadinanza democratica nelle società pluraliste è quello delle competenze interculturali, a cui anche nel testo si farà riferimento. Proprio perché “qualità del fare” e “pensiero in azione”, il concetto di competenza è quanto mai adatto anche alla relazione con la diversità religiosa, processo in cui non è mai sufficiente la conoscenza, ma è indispensabile l’incontro. Specialmente nella formazione degli educatori, insegnanti, operatori sociali, come del personale della pubblica amministrazione, ma anche dei cittadini, lo sviluppo delle competenze interculturali diviene sempre più il paradigma attraverso cui leggere la possibilità di vivere insieme in contesti pluralisti ed eterogenei. […].
Quanto al rapporto con la diversità religiosa, il costituirsi progressivo di una popolazione musulmana residente stabilmente in Italia, soprattutto con l’arrivo a partire dagli anni Novanta di musulmani per i quali anche nei contesti d’origine la religione è centrale nella costruzione dello spazio pubblico, ha posto una serie di problematiche culturali e politiche. […].
Di fronte a questo quadro, ci si è chiesto quale ruolo possa avere la scuola. Da un lato, si tratta di ribadirne i compiti di integrazione e di promozione della cittadinanza, con una particolare attenzione alle dinamiche interculturali e del pluralismo, attraverso cui superare sia una scelta di assimilazione dei “diversi”, sia un relativismo che elude il confronto e la ricerca di valori comuni. Sarebbe improprio ritenere che l’appartenenza a una data religione possa dar luogo a una categoria specifica di studenti, dato che, come si è detto, i musulmani esprimono culture e lingue molto diverse tra loro. […]
Pensando all’analfabetismo religioso e a stereotipi e pregiudizi alla base dell’islamofobia, è importante che i docenti si interroghino sugli effetti degli atteggiamenti superficiali o poco attenti alla diversità religiosa nelle loro pratiche didattiche quotidiane, su quel substrato di conoscenza inconsapevole e non soggetta a un vaglio critico che spesso accompagna la vulgata sui musulmani. Il libro nasce per rispondere a questa esigenza.