Hamas è una sigla che dal 7 ottobre dell’anno scorso è diventata familiare al mondo intero. Harakat al-Muqāwama al-Islāmiyya, in arabo Movimento Islamico di Resistenza, è l’organizzazione terrorista palestinese, islamista, sunnita e fondamentalista, che con l’attacco militare su larga scala agli insediamenti di Israele, ha provocato la reazione di Tel Aviv colpita come non mai da migliaia di vittime e centinaia di ostaggi ancora oggi trattenuti nella Striscia di Gaza. Di questo parla la nuova edizione di Hamas. Dalla resistenza al regime, scritto da Paola Caridi e pubblicato da Feltrinelli.
Paola Caridi, giornalista e storica, si è trasferita nel Medio Oriente nel 2001, prima al Cairo e poi a Gerusalemme. Ha fondato Lettera22, agenzia di stampa specializzata in politica estera ed è socia dell’Istituto Affari Internazionali. Si occupa da molti anni di storia politica contemporanea del mondo arabo.
Nel libro viene analizzata la quarantennale storia di Hamas, passata attraverso il terrorismo e gli attentati suicidi, e i momenti topici della sua attività: dalla sfida lanciata all’autorità del carismatico leader dell’OLP Yasser Arafat, alla sopravvivenza malgrado l’eliminazione fisica di gran parte dei suoi dirigenti uccisi dall’esercito e dai servizi segreti israeliani. Nel 2006 Hamas è arrivata al governo dell’Anp, l’Autorità Nazionale Palestinese, democraticamente eletta dalla maggioranza dei palestinesi, ed è ritornata subito dopo in clandestinità, a seguito dell’embargo deciso da Israele e da una parte della comunità internazionale, Unione Europea e Stati Uniti in testa. Da allora, dal 2007, si tende a identificare Hamas con Gaza, lo spazio sul quale il movimento islamista esercita il monopolio del potere, dimenticandone la storia complessa che va oltre la Striscia. Paola Caridi scrive la storia di Hamas usando fonti a metà tra la cronaca e l’archivio. Fa vedere i luoghi e fa parlare i protagonisti, i militanti, uomini e donne. Ora la sua ricerca storico-politica esce in versione aggiornata, a 14 anni dalla prima edizione, per raccontare cosa è successo da quando Gaza è stata chiusa da tutti i lati da Israele e dall’Egitto. Dalla radicalizzazione della leadership di Hamas ai cambiamenti nella linea politica interna fino all’ eccidio del 7 ottobre dell’anno scorso, l’11 settembre di Israele. Fabio Poletti

Paola Caridi
Hamas
Dalla resistenza al regime
2023 Feltrinelli
pagine 352 euro 20

Per gentile concessione dell’autrice Paola Caridi e dell’editore Feltrinelli pubblichiamo un estratto dal libro Hamas

Eppure la vita quotidiana a Gaza, chiusa come una prigione, in qualche modo funziona. La spazzatura viene raccolta. I ministeri funzionano, così come internet che è disponibile per il pubblico. Il codice della strada è rispettato e le multe vengono comminate. Incredibilmente, il cosiddetto mercato nero dei tunnel è persino tassato in modo appropriato.
La cosa che manca, in quegli anni come nei successivi, è la libertà. L’unico collegamento con il mondo esterno, al di là delle mura di cemento, sono in quel momento ancora i tunnel che legano la Striscia all’Egitto. Con il passare del tempo, la popolazione inizia a lanciare accuse sempre più frequenti, non solo contro il governo di Haniyeh, ma anche contro la magistratura e la polizia. L’accusa è sempre la stessa: le autorità vogliono islamizzare la Striscia di Gaza. In effetti il territorio, già noto per i suoi costumi conservatori, è diventato ancora più restrittivo dopo la chiusura. Sia gli attivisti che i leader di Hamas erano tra i primi a riconoscere che Gaza si era gradualmente radicalizzata già nei primi anni della chiusura, anche se le spiegazioni sul perché erano diverse. Secondo uno dei leader della “generazione di mezzo” di Hamas, “è la società che è diventata più conservatrice del nostro movimento, perché l’occupazione perdurante da decenni ha influenzato la mentalità”. “L’occupazione,” aveva spiegato, “ha trasformato i comportamenti in costumi patologici. Solo quando c’è libertà, le arti e la cultura possono svilupparsi e fiorire. L’esempio più evidente è quello che è accaduto durante l’epoca di al Andalus, nel periodo di massimo splendore del rinascimento musulmano. Ora, anche coloro che amano l’arte e la coltivano, preferiscono farlo tra le mura della propria famiglia”, cioè lontano dagli occhi indagatori della società conservatrice gazana. Molti tra i leader della generazione di mezzo in Cisgiordania e a Gaza stigmatizzavano la radicalizzazione, che riguardava in particolare i giovani islamisti. Gli attivisti di Hamas fornivano in quegli anni due spiegazioni diverse. A Gaza, la radicalizzazione allignava nell’isolamento, mentre in Cisgiordania nella repressione delle forze di sicurezza dell’Anp. Una delle fonti di radicalizzazione più preoccupanti, evidenziata dai membri di questa generazione che aveva studiato all’estero o che era riuscita a varcare i confini del Territorio palestinese occupato, è l’uso massiccio di internet tra i giovani attivisti. La generazione più anziana non aveva alcun preconcetto ideologico contro l’uso di internet, anzi. La preoccupazione riguardava ciò che i giovani potevano leggere online: non idee occidentali, ma piuttosto informazioni estremiste jihadiste o salafite. “Per esempio, costringere i giovani attivisti di Hamas alla clandestinità,” aveva sottolineato uno dei leader del movimento in Cisgiordania, “si- gnifica costringerli alla solitudine e impedirgli di costruire relazioni sociali. Sono stati lasciati soli con un computer e le informazioni più radicali sono passate davanti a loro, senza alcuna mediazione”. Questo tipo di analisi – un leader islamista preoccupato per le tendenze estremiste in crescita in un movimento che lui considera moderato – è completamente opposta allo ste- reotipo attraverso il quale l’Occidente legge Hamas. Ed è in quel momento, dopo l’operazione Piombo fuso e prima della nuova campagna militare israeliana su Gaza del 2012, che si avverte che la radicalizzazione è già cominciata in un ambiente, come la Striscia, completamente chiuso all’esterno. Chiuso al mondo. La stessa interpretazione era stata fornita anche dai membri più giovani, soprattutto per quanto riguarda la situazione all’interno di Gaza: “I ragazzi preferiscono entrare nelle Brigate al Qas- sam piuttosto che impegnarsi in politica,” aveva detto Mushir al Masri. “In breve, i ragazzi sostengono l’opzione militare, perché la comunità internazionale non ha più molta attrattiva per loro.
Credono che la comunità internazionale sostenga solo chi detiene il potere, chi ha la forza, e che non sopporti chi ha fatto scelte democratiche.”
“Partecipare alle elezioni del 2006 e votare Hamas è stata una scelta democratica,” dichiarava ancora al Masri, che in quelle consultazioni, a soli vent’anni, era diventato il più giovane membro dell’assemblea legislativa nell’ala parlamentare di Hamas. La carriera politica di Mushir al Masri all’interno di Hamas lo differenziava dai coetanei, non solo per le sue credenziali accademiche in scienze politiche, ma soprattutto perché era ben conosciuto negli ambienti della leadership. Aveva infatti frequentato assiduamente sheikh Ahmed Yassin, Abdel Aziz al Rantisi e Ismail Haniyeh.
La generazione di coloro che avevano cinquant’anni attorno al 2010 era cresciuta con le pietre della Prima Intifada nel 1987, aveva sostenuto gli attacchi terroristici all’interno delle città, dei caffè e degli autobus israeliani, ma aveva poi abbandonato unilateralmente gli attacchi suicidi nel marzo 2005. Questa strategia di uscita dalla Seconda Intifada era stata il suo grande successo politico, anche se di breve durata. L’esperienza delle generazioni più giovani era stata molto diversa: avevano attraversato l’estrema violenza dell’Intifada di Al Aqsa, vissuto il processo elettorale, ma la disillusione era sopraggiunta molto presto.
Subito dopo le elezioni del 2006, infatti, Gaza ha perso ogni speranza per il suo futuro, non solo politico, ma anche econo- mico e sociale. Potrebbe essere interpretato come un paradosso, dal momento che gli israeliani hanno abbandonato Gaza dopo il disimpegno unilaterale del 2005, lasciando dietro di sé insediamenti e terreni vuoti. Tuttavia, dal punto di vista dell’attivismo della giovane generazione islamista, i “fratelli maggiori” non avevano raggiunto nessuno degli obiettivi insiti nella loro strategia. Entrando nelle istituzioni dell’Anp, i quadri della generazione di mezzo di Hamas volevano ottenere un riconoscimento sia nella politica palestinese sia nella comunità internazionale. I giovani di Hamas avevano visto solo i risultati negativi di questa strategia: l’isolamento di Gaza e la guerra. Ne è seguita una profonda delusione, concentrata soprattutto sull’Europa, che anche nella Striscia di Gaza è considerata la culla e il modello di democrazia. Chiamati a esprimere il loro voto in elezioni democratiche, giuste e libere, i palestinesi erano stati puniti per aver
scelto Hamas. Questa è la frase che si sente in tutto il territorio palestinese, soprattutto a Gaza.

© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano