Stephen Ogongo, kenyota, 45 anni, da 25 in Italia, giornalista e infaticabile tessitore di reti. Dirige una decina di giornali per immigrati, raccolti nella piattaforma stranieriinitalia.it, e sogna pure di fondare un partito: «Se non puoi votare non conti niente. Vogliamo che la nostra comunità che conta un milione e mezzo di persone cominci a dire la sua. Ma prima di tutto dobbiamo conoscere il Paese in cui viviamo. Se non conosci dove vivi rischi di non farne parte».

Stephen Ogongo, perché l’Italia?

«Sono cristiano e cattolico. Al mio Paese lavoravo in una struttura missionaria dove aiutavamo i giovani a crescere e a far parte di una leadership. Dopo il liceo mi sono messo anche a fare il giornalista. Lavoravo in alcuni magazine, mi occupavo di attualità. Quando si è aperta la possibilità di venire in Italia ho detto subito sì. Un missionario mio amico ha coinvolto la sua famiglia e i suoi amici per farmi venire in Italia».

Che studi ha fatto in Italia?

«Mi sono laureato alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, dove poi ho anche insegnato, in Scienze della Comunicazione. Poi ho conseguito il dottorato di ricerca in Giornalismo. E alla fine sono approdato a Stranieri in Italia».

Una piattaforma che riunisce diversi giornali per gli stranieri nel nostro Paese? Quante testate sono? In quali lingue pubblicate?

«Una decina. Pubblichiamo in rumeno, in tagalog la lingua filippina, in polacco, spagnolo, francese per i Paesi africani francofoni, albanese, arabo e punjabi dell’India. Un lavoro gigantesco che ci permette di avere un bacino di un milione e mezzo di lettori. Ogni testata ha poi una sua rete di contatti con le associazioni di stranieri di quel Paese. Forniamo aiuti pratici, guide per ottenere il permesso di soggiorno. Ricordiamo le scadenze e i tempi, perché ci vuole veramente poco per perdere tutti i diritti per un documento sbagliato o non consegnato nei tempi previsti.

Ma soprattutto vogliamo che si costituisca una rete perché il nostro problema più grande è che manchiamo di rappresentanza. Questo passa nel preservare le proprie identità e le proprie radici. Ma allo stesso tempo bisogna far conoscere l’Italia, i suoi valori, come comportarsi in determinate circostanze. Se non conosci dove vivi non ne fai parte».

Lei parla di preservare le radici. Tra i nuovi italiani molti cercano di nascondere le proprie pensando così di essere accettati più facilmente.

«È un fenomeno che conosco. Alcuni pensano che nascondere la propria identità gli renda la vita più facile. Ma noi dobbiamo essere fieri del nostro bagaglio culturale. Non puoi nascondere quello che sei per essere visto per quello che non sei».

Sui social in questi giorni Oiza Q. Obasuyi di The Vision ha scritto: «E se dicessi che il termine “afroitaliano” non mi rappresenta perché sento che “afro” indichi una maggior consapevolezza di una parte che nemmeno si conosce così a fondo perché l’unica realtà che hai conosciuto è quella italiana?». Cosa le risponde?

«Afroitaliano è la parola giusta. Riflette tutte le nostre identità. L’identità è un valore che non si può perdere. Tocca ai genitori essere portatori dei valori delle origini. Se questi valori sono condivisi in famiglia sopravvivono».

Lei è in Italia da 25 anni. Come vede il nostro Paese oggi?

«È peggiorato. Molto. Da quando è iniziata la crisi economica più di dieci anni fa la gente è cambiata. È più spaventata. Pensa che ridurre gli spazi agli immigrati sia una soluzione per vivere meglio. Il Paese si è come chiuso in sé stesso. Queste cose si sono amplificate con la politica e con il giornalismo degli ultimi tempi».

C’è razzismo in Italia?

«Fino a un anno fa avrei detto di no. Oggi l’aria è diventata molto pesante. La gente ti guarda in un modo strano. Vengono dette frasi razziste anche in nostra presenza quando prima si vergognavano di dirle ad alta voce. È come se certi ragionamenti fossero stati legittimati. E questa è una cosa molto pericolosa. Bisogna fare una lotta senza sosta contro le persone che propugnano il razzismo. Se sono uscite dai tombini il nostro compito è chiudere i tombini. È soprattutto una lotta culturale. Che dobbiamo fare noi e tutti quelli che la pensano come noi. Non basta dire di essere contro il razzismo. Se sei contro il razzismo devi combatterlo. La gente ha paura soprattutto delle persone che non conoscono. Solo attraverso la conoscenza capisci che la persona davanti a te alla fine è uguale a te».

È vero che sta pensando addirittura di fondare un partito e presentarsi alle elezioni per fare questa battaglia?

«Si chiama Cara Italia. Se fai parte della società ma sei fuori dalle istituzioni sei ai margini. Noi vogliamo contribuire al benessere del Paese. Cara Italia vogliamo che sia una piattaforma di conoscenza ma anche uni strumento per portare avanti i nostri valori. Stiamo ragionando all’idea di presentarci già alle prossime elezioni amministrative».

Quali sono i vostri obiettivi più importanti?

«Il diritto al voto. È essenziale. Chi non vota non conta niente. È un problema di rappresentanza. Gli immigrati non contano niente. Votare e potersi candidare alle elezioni. Avere finalmente voce in capitolo».

E poi?

«Il riconoscimento del diritto alla cittadinanza attraverso lo ius soli. La sinistra ha provato a fare una battaglia. Ma chi meglio di noi che subisce ogni giorno una discriminazione per questo, può rilanciarla? È un diritto fondamentale delle persone. Se nasci qui da genitori che vivono qui da anni, non puoi essere un immigrato. Immigrato da dove? La pancia della mamma che ti ha generato non è uno stato estero».