Da vicino nessuno è normale, si sa. Emanuele, colpito da una malattia rara sin da bambino, convive con un cuore che gli è stato donato e con le tenebre della cecità. Eppure il suo sforzo di vivere una vita normale, circondato dagli affetti di una famiglia premurosa, fa impallidire chi ha paura di confrontarsi con la disabilità o chi l’affronta con sguardo compassionevole. Nel desiderio di Emanuele di sognare una famiglia propria, godere della musica e del bello del mondo, ci fa venire il dubbio che siamo noi a non aver capito cosa sia la vita, qualunque cosa ci abbia regalato. In questo Un fiore raro, scritto da Andrea Spessotto, il padre di Emanuele, per la casa editrice L’Orto della Cultura, impariamo tutti cosa voglia dire vivere, non convivere, con una malattia invalidante.
Con i suoi diciannove racconti toccanti, una storia d’amore, di forza e di coraggio, Andrea Spessotto ci introduce nel mondo della disabilità, della sofferenza e della lotta contro un destino avverso davanti al quale non è detto che ci si debba piegare e poi soccombere. Dedicato al figlio Emanuele oggi ventunenne, Un fiore raro ci invita alla riflessione sulla ricerca della normalità per combattere il dolore e sulla solitudine di chi poi finisce lontano dai radar delle istituzioni, incapaci di aiutare chi lotta, per vivere una vita normale. Alcuni dei racconti sono più commoventi e personali come Invisibile, Controvento e come Un fiore raro, cronaca struggente di giornate trascorse in ospedale. Tra le pagine emergono ricordi d’infanzia, la forza dell’unione familiare, la solidarietà. L’amore per i colori, per la natura, la passione per la fotografia. Il vincolo, a volte robusto e a volte deludente delle amicizie, le birre condivise, i silenzi pieni di parole o, al contrario, le parole inutili che non consolano e possono ferire l’animo nei suoi recessi più profondi.
Andrea Spessotto ci racconta storie di anime ferite e ricche di dignità e di umanità, e spesso vittime inconsapevoli di un delizioso candore. Persone con la faccia di chi non ne ha azzeccata una nella vita, che sono cadute molte volte ma che si sono sempre rialzate, che hanno un sacco di cicatrici ma anche un sacco di desideri. E ci racconta soprattutto il dramma di una vita troppo giovane che combatte per sopravvivere e lo fa con il sorriso e con il pollice alzato. Fabio Poletti

Andrea Spessotto
Un fiore raro
2024 L’orto della cultura
pagine 120 euro 13

Per gentile concessione dell’autore Andrea Spessotto e dell’editore L’orto della cultura pubblichiamo un estratto dal libro Un fiore raro

A TE
Ti vivo ogni giorno che scrivo di te
Scrivo a te che sei un eroe. Il mio, il nostro eroe.
Scrivo a te per chiederti scusa, scusa per tutte le volte che mi sono sentito a disagio quando incrociavo gli occhi della gente che ti stava osservando con disprezzo o finta comprensione, scusa per tutte le volte che non ti ho capito, che ti ho sgridato, scusa per tutte le volte che ho alzato la voce, per tutte le volte che ho voluto avere ragione a tutti i costi e per tutte le volte che sono sembrato insensibile.
Scusami per tutte le volte che dopo averti ripreso ho pianto per il dispiacere di averlo fatto, senza che tu te ne accorgessi.
Scrivo a te per chiederti scusa per tutte le volte che stupidamente ho invidiato gli altri padri quando raccontavano oppure postavano su Facebook, con comprensibile orgoglio, i successi dei loro figli. Goal segnati, canestri centra- ti, strumenti musicali suonati, competizioni vinte, successi scolastici, canori, sportivi, camminate e gite in bicicletta, perché essere vincenti è l’unica cosa che conta.
Scrivo a te per dirti grazie, grazie per tutte le volte che ci siamo abbracciati, per tutte le volte che ci siamo tenuti la mano, per tutti i sorrisi, per tutte le volte che mi hai chiamato papà.
Grazie per tutte le docce fatte assieme e per tutte le volte che ti ho asciugato i capelli e mi accorgevo che diventavi sempre più alto.
Grazie per ogni tuo pensiero profondo, per la tua musica, per la tua sensibilità, per le tue passioni. Grazie per non esserti mai lamentato, per non aver mai urlato contro di me, contro la mamma, contro tutti noi, contro il mondo, contro Dio, contro la vita per tutto quello che ingiustamente ti è stato tolto.
Grazie per non aver mai imprecato contro la malattia che ti ha strappato la luce e i colori dagli occhi, che ti ha negato il piacere di vedere.
Scrivo a te per dirti grazie per non aver mai manifestato rabbia contro nessuno, nemmeno contro i compagni di classe che non si presentavano al tuo compleanno e non ti invitavano al loro. Quanto mi hanno deluso e ferito, i geni- tori di quei bambini.
Scrivo a te per abbracciarti forte e per farti sapere che tutti noi della famiglia e molti amici veri che ci sono vicini ti vogliamo bene, un mondo di bene e che sei e sarai sempre il mio e il nostro campione.
Tu non sarai mai solo.
Scrivo a te che stai affrontando l’inferno con una dignità senza uguali, a te che quella mattina dal tuo letto di sofferenza in ospedale avevi chiesto: «Papà, dimmi la verità, quando uscirò da qui? Secondo me manca poco, sto superando tutti gli esami.»
Scrivo a te, che prima del trapianto del cuore hai ascoltato in silenzio il cardiochirurgo e hai risposto di sì a tutto quello che ti stava spiegando e proposto e senza piangere hai capito ogni singolo e crudele passaggio che avresti dovuto affrontare. Scrivo a te che, mentre stringevi forte forte la mia mano hai dato il tuo consenso e hai detto: «Sono pronto, sono nato pronto, facciamolo subito, anche stasera, prima lo facciamo e prima torno a casa.»
Scrivo a te che, quando il cardiochirurgo è uscito ti vergognavi di piangere e di avere paura, ti vergognavi di quella paura che tutti avrebbero e di quelle lacrime che tutti avrebbero lasciato sgorgare senza riuscire a fermarle.
Scrivo a te che ti sei preoccupato del futuro e di noi. «Ma poi con il cuore nuovo vi amerò ancora? Mi piacerà ancora la musica lirica?»
Scrivo a te che, pur vivendo una vita impossibile, hai sempre dimostrato la fierezza del capo indiano Geronimo e il coraggio di Re Leonida e dei suoi trecento guerrieri alle Termopili. Scrivo a te che stringendo la mia mano hai ricordato una frase che in casa ci siamo detti fin da quando eri piccolissimo: «La mano ha cinque dita, aperte sono solo dita ma chiuse diventano pugno.»
E per farti sapere che tutti noi stringiamo le tue dita e assieme diventiamo pugno, invincibili, indomabili, diventiamo valanga, tempesta, uragano, tutti assieme diventiamo una forza e sarà quella la forza che ci farà stare sempre uniti.
Scrivo a te che un giorno hai preso la mia mano e l’hai messa vicino alla tua. «Papà, la mia mano è piccola mentre la tua è grande, un giorno la mia sarà grande e la tua diventerà piccola ma quel giorno, come tu hai fatto con me, io ci sarò per te.»
Ci credevi e mentre lo dicevi mi guardavi e sorridevi, sicuro che, quando sarei invecchiato mi avresti aiutato tu.
Scrivo a te per ricordarti che Giulio Cesare sosteneva che fosse più facile trovare uomini disposti a morire che uomini capaci di sopportare dolore e sofferenza, ma Giulio Cesare non ti aveva conosciuto.
Scrivo a te che non versi mai una lacrima, non esali mai un lamento, a te che ricordi ogni cosa fatta assieme, ogni posto visitato, a te che ricordi il mare, la montagna, il calore del fuoco, l’acqua fredda di un torrente, la luce di una stella cadente ma non hai mai, neanche una sola volta, smesso di dire che la vita è bella e che tu sei un ragazzo fortunato.
Scrivo a te per dirti grazie per quando, dopo centottanta giorni di silenzio, con un filo di voce mi hai salutato con ciao papà.
Per quando, in ospedale, durante il concerto di Capo- danno hai voluto cantare “Libiamo ne’ lieti calici che la bellezza infiora…” e per quando in terapia intensiva, tenendoci le mani abbiamo fatto finta di ballare Il bel Danubio blu.
Al posto mio avresti meritato una principessa che tu, con la tua sensibilità, avresti fatto sentire una regina.
Scrivo a te che parli della tua ragazza, dei figli che avrai e del dispiacere che ci darai quando andrai a vivere per conto tuo e mentre lo fai sorridi, poi ti fermi. «Ok, facciamo così, mi sposerò ma verremo a vivere qui così staremo sempre assieme.»
Scrivo a te per dirti che non so che cosa succederà. Nessuno lo sa, lo scopriremo solo vivendo, ma sappiamo che qualsiasi cosa succederà saremo assieme, come sempre, ovunque e comunque.
Sarà difficile ma impareremo e diventeremo grandi assieme.
Scrivo a te perché tu sai quanto quella notte è stata maledetta, una notte impossibile da dimenticare e che non ha
mai smesso di fare male. Sembravi essere volato via ma tu hai lottato per restare e sei tornato, quella notte maledetta si è presa le tue gambe ma non è riuscita a prendersi il tuo coraggio e la tua voglia di vivere. Nessuna tenebra è mai riuscita a oscurare la tua luce, eppure quei demoni neri e vigliacchi ci hanno provato mille volte e in mille modi a togliere luce e suoni, ma l’unico risultato che hanno ottenuto è stato quello di accrescere la bellezza della tua anima.
Scrivo a te, perché guardando Lilo & Stitch mi hai ricordato l’importanza che ha la parola ohana nella cultura hawaiana: ohana significa famiglia, e come ricorda Lilo a Stitch, nella famiglia nessuno viene abbandonato e dimenticato.
Scrivo a te perché hai sempre il pollice alzato e in qualsiasi momento alla domanda Come stai rispondi sempre Ah! Bene.
Scrivo a te e mentre lo faccio mi asciugo una lacrima silenziosa e ti prometto che né oggi né domani moriranno spartani.

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