Non sono ancora gli Anni Sessanta. Gli Stati Uniti sono ancora un Paese dove vive la segregazione razziale. Nel 1957 nove studenti afroamericani, come loro diritto, si iscrivono alla Little Rock Central High School di Little Rock in Arkansas. Per impedirglielo il governatore dello Stato Orval Faubus fece prima schierare la Guardia Nazionale e poi chiudere per un anno tutte le scuole della cittadina, impedendo di frequentare le lezioni sia agli studenti afroamericani che a quelli bianchi. Ci volle l’intervento della Corte Suprema e del Presidente Dwight Eisenhower per sbloccare la situazione. Di questo e della situazione nel Paese, parla il reverendo Martin Luther King nell’intervista pubblicata nel 1960 dal settimanale dei Comboniani Nigrizia. A condurre l’intervista, una delle poche a un media italiano, lo scrittore italoamericano Joseph Tusiani. L’intervista insieme ad altri articoli di Joseph Tusiani apparsi su Nigrizia, è ora nel volume Una nuova terra promessa, pubblicato da Stilo Editrice.
Joseph Tusiani, professore di Letteratura italiana in varie università americane e traduttore di classici, dalle Rime di Michelangelo alla Gerusalemme liberata del Tasso e al Morgante del Pulci, è considerato uno dei più rappresentativi autori della letteratura italoamericana della seconda metà del Novecento. Poeta in cinque lingue, italiano, inglese, spagnolo, latino e dialetto garganico, sono memorabili soprattutto Gente Mia and other poems e l’autobiografia ora in edizione riveduta presso Bompiani, In una casa un’altra casa trovo, pubblicata nel 2016. Joseph Tusiani è morto nel 2020 a 96 anni. A San Marco in Lamis in provincia di Foggia è attivo un Centro Studi intitolato a suo nome. I cinque articoli contenuti in questo volume, ospitati tra il 1958 e il 1963 sulla rivista dei Comboniani Nigrizia, rivelano un aspetto del tutto inedito della personalità di Joseph Tusiani, ben noto per la sua attività letteraria e per quella di traduttore. Essi testimoniano la sua sensibilità e il suo umore battagliero per una questione sociale di così scottante attualità come quella dei diritti civili degli afroamericani. Tra questi testi figura, in particolare, una rara intervista a Martin Luther King del 1960. Si potrebbe dire che qui spirito religioso e sensibilità per i deboli si alleino in una più ferma difesa della giustizia. Il suo impegno matura negli anni cruciali di un’America alle prese con la guerra fredda, parallelamente allo sviluppo di più incisivi fenomeni politici come il Black Power e le Black Panthers. Fabio Poletti

Joseph Tusiani
Una nuova terra promessa
Un’intervista a Martin Luther King e altri articoli su «Nigrizia»
2024 Stilo Editrice
pagine 155 euro 14

Per gentile concessione dell’editrice Stilo pubblichiamo un estratto dal libro Una nuova terra promessa, con una parte dell’intervista a Martin Luther King

Che cosa, secondo lei, costituisce il maggior ostacolo alla realizzazione dell’ideale di fratellanza nel mondo e in particolare negli Stati Uniti d’America?
Secondo me, il maggior ostacolo alla realizzazione dell’ideale di fratellanza nel mondo e, specie qui negli Stati Uniti, è la mancanza di rispetto alla dignità e al valore eterno dell’essere umano.
I problemi che il mondo deve risolvere nell’area delle relazioni sociali sono essenzialmente morali. Non sono solamente di ordine economico e politico, ma soprattutto e fondamentalmente di carattere morale. Infatti soltanto i valori morali sono supremi e lumeggiano e irrobustiscono gli altri. Ecco perché, come centro e fonte di valore etico, ogni personalità deve essere rispettata e non può affatto essere sostituita. Segregazione, colonialismo e imperialismo economico violano tutti quel principio. Ogni società non fa altro che degradarsi quando accumula indegnità sull’uomo.
L’increscioso incidente di Little Rock ha senza dubbio ferito gravemente il suo cuore: che cosa ne pensa ora?
Sì, l’incidente di Little Rock mi ferì e mi deluse. È una scandalosa prova di come un uomo solo, attraverso un’azione irresponsabile e sfruttando tendenze demagogiche, possa travolgere un intero Stato in atti di bassezza che nessun essere normale o razionale vorrebbe commettere.
È, inoltre, una tragica rivelazione di come e quanto il pregiudizio possa offuscare la visione degli uomini e turbare la mente. Comunque, ci son due altre cose che dobbiamo ricordare a proposito di Little Rock. L’incidente è forse stato una benedizione, dirò camuffata, in quanto per la prima volta esso portò in ribalta, anzi alla coscienza della nazione, l’annoso problema, e tutti gli uomini di buona volontà vennero a comprendere che detto problema dev’essere risolto onestamente e una volta per tutte. Si venne cioè a capire di aver preso la cosa troppo alla leggera e per le lunghe. E dobbiamo ammettere che se il Governo Federale, specialmente il Presidente di questa nazione avesse preso posizione ferma e solidamente morale nel 1954 quando la Corte Suprema si pronunciò in nostro favore, probabilmente non si sarebbe ricorso all’uso di truppe federali in Little Rock. Ma il fatto tragico rimane questo: mentre le forze della luce nella nostra nazione rimanevano inerti, le forze delle tenebre e dell’opposizione si mobilitavano per l’attacco.
Crede che la situazione presente sia meno fosca?
Senza dubbio, la situazione presente è meno fosca, anzi dirò molto più limpida, di quanto non fosse alcuni anni or sono. Siamo più vicini alla terra promessa dell’integrazione, di quanto non fossimo dieci anni fa. Abbiamo, è vero, maggior tensione in alcune aree del Sud, ma questa
tensione di oggi è una fase necessaria della transizione. È un segno del progresso che abbiamo fatto, piuttosto che di tragico regresso, e dice a tutti che ormai un nuovo ordine sta nascendo in America e che il vecchio ordine, anzi disordine della segregazione e del paternalismo, è in agonia.
Se dovesse aggiungere un capitolo al suo libro che cosa vorrebbe dire ai lettori?
Non so; mi metterei probabilmente a discute- re l’efficacia della non violenza nelle relazioni internazionali. Il mio punto di vista sarebbe che un tal metodo deve essere adottato non soltanto su livello locale e cioè nella lotta fra gruppi relativamente esigui, ma anche fra le nazioni. In un’ora in cui le armi nucleari sono vaste e i missili scavano strade di morte nella stratosfera, nessuna nazione può più vincere una guerra. Non si tratta più di scegliere fra violenza e non violenza: è questione di non violenza o non esistenza. Se l’umanità sente ancora il diritto di esistere, dobbiamo allora trovare un’alternativa alla guerra. Direi insomma che la sola vera via della pace è l’amore, la pazienza, la comprensione, la buona volontà, e la piena adesione ai principi di giustizia.

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