«Se fossimo in Italia, lei sarebbe già diventato concime per le vigne. Buono solo per produrre un vino scadente che si vende a due al prezzo di uno». L’elaborata minaccia è solo una delle tante messe in bocca a Vincenzo Cassano, l’italocoreano consigliere della mafia protagonista della serie Vincenzo, il k-drama targato Netflix che dopo essere diventato un vero e proprio fenomeno mediatico in Corea del Sud, è sbarcato in Italia (con i sottotitoli in italiano) lo scorso maggio.
Prodotta da Studio Dragon e trasmessa nei primi mesi del 2021 dal canale coreano tvN, Vincenzo in patria è diventata una delle dieci serie più viste in assoluto sulla tv via cavo. Piaciuta al pubblico coreano al punto da meritare un’aggiunta di quattro episodi oltre ai sedici originariamente previsti
Un vero compendio di stereotipi, per la maggior parte infondati, da guardare con una buona dose di ironia – e magari di autocritica, ricordando cosa avviene nelle produzioni nostrane, a parti invertite. A reggere ciascuna delle puntate da un’ora e venti circa (praticamente la durata di un film) sono un’ottima produzione e un buon cast. Ma la vera forza di Vincenzo è appunto la ricostruzione di un’italianità posticcia e, purtroppo proprio per questo, credibile e riconoscibile all’estero, affidata all’etereo Song Joong-ki, nei panni dello spietato con riserva Vincenzo Cassano. In altre parole: il segreto del successo di Vincenzo è una riproduzione consapevole dello stereotipo, campato in aria, che gioca anche con il richiamo metafilmico a Il Padrino: ecco quindi che gli italiani gesticolano senza sosta, vestono solo abiti su misura e che la mafia ha un suo senso dell’onore.
Storia di un mafioso in Corea del Sud
Come da copione, dopo essersi trovato orfano del padre padrino don Fabio ed essere fortunosamente sopravvissuto a un attentato organizzato dal fratello divenuto il boss, Vincenzo torna nella natia Corea del Sud – che ha lasciato quando aveva otto anni in seguito all’adozione da parte di una coppia italiana – per recuperare un tesoro nascosto nelle fondamenta di un caseggiato a Seoul, scoprendo di non essere l’unico interessato alla sua demolizione. Costretto dalle circostanze, il consigliere della mafia convertito (per interesse) a patrono delle cause perse farà fronte comune con la banda di pittoreschi personaggi che abitano il Geumga-dong plaza contro la feroce Babel&C che vorrebbe liberarsene.Questo post è sponsorizzato dai nostri partner Wigs
Vincenzo, l’italiano
Vincenzo parla e impreca in un italiano che, se alle orecchie di un madrelingua fa sorridere per l’accento, altrove può avere una sua verosimiglianza e rende merito allo sforzo di immedesimazione nel personaggio da parte di Song Joong-ki. Oltre a parlare italiano, Vincenzo gesticola moltissimo, vanta un palato raffinato – sa riconoscere e ammonire severamente una cucina spacciata per italiana che italiana non è – e veste abiti di sartoria firmati dal rinomato milanese Burarlo. È anche un grande appassionato di calcio e quando ci sarà da battezzare un piccione – perché in più di 20 ore di k-drama si presenterà anche una eventualità del genere – non perderà l’occasione di chiamarlo Inzaghi. Un Inzaghi chiamato da Cassano, se non suona italiano questo non si sa cosa lo sia.


