È apprezzabile che la variante indiana del Covid-19 sia unanimemente riconosciuta come variante Delta. Togliere l’indicazione geografica però non basta. La pandemia come fenomeno globale ha bisogno di risposte forti e certe. Non si può pensare che l’Occidente sia immune, malgrado i numeri importanti delle vaccinazioni che hanno permesso l’allentamento delle misure, a partire dalle mascherine che in Italia non sono più obbligatorie all’aperto dal 28 giugno. Applausi sono arrivati al Presidente Usa Joe Biden quando ha annunciato al recente G7 in Cornovaglia che un miliardo di vaccini saranno destinati ai cento Paesi più poveri del mondo. Una scelta apparentemente di grande magnanimità che in realtà risponde a quello che hanno capito tutti. Il virus non si contiene con una frontiera. Nel mondo globale di oggi la circolazione è fin troppo veloce, il virus potrebbe sfuggire a rigorosi controlli perché ancora inerte ed esplodere in uno dei tanti Paesi Occidentali.

Se in alcuni Paesi da questa parte del mondo l’immunità di gregge è un traguardo raggiunto o almeno sfiorato, in altri dall’altra parte del mondo non ci sono state somministrazioni, rendendo il contagio una variabile impazzita

A fine maggio non una dose di vaccino era arrivata in Tanzania, Burkina Faso, Ciad, Burundi, Repubblica Centrafricana, Eritrea, Vanuatu, Kiribati, Haiti e in Corea del Nord. Ma, come sempre, aiutarli a casa loro non basta.

La sospensione dei brevetti

La diffusione incontrollata della pandemia in alcune aree geografiche deve rimettere in discussione alcuni principi cardine del sistema economico mondiale. Lo scontro tra chi vuole una sospensione momentanea dei brevetti e della proprietà intellettuale sui vaccini, a partire ancora una volta dal Presidente Usa Joe Biden, e chi difende produzione e profitti come i Big Pharma, non è mai stato così acceso. Nelle valutazioni degli uni e degli altri entrano in gioco considerazioni che riguardano le capacità produttive di Paesi a bassa industrializzazione, per anni sfruttati solo come giacimenti di materie prime, senza alcuna politica di sviluppo industriale. Se per il ceo di Pfizer Albert Bourla certi annunci sono solo promesse politiche, la tedesca BioNTech può assicurarsi l’appoggio di Angela Merkel, tra le poche in Europa contraria alla liberalizzazione. Alla fine merita un certo interesse la posizione di Farmindustria, l’associazione di categoria delle aziende farmaceutiche italiane. Che ha detto no alla sospensione anche momentanea dei brevetti perché le capacità industriali e produttive di molti Paesi in via di sviluppo – una formula quanto mai ipocrita come in questo caso – non garantirebbe la qualità del vaccino sintetizzato in loco.

Vaccini in via di sperimentazione

Nel mondo ci sono 280 vaccini in sperimentazione. L’Unione Europea fino ad ora ne ha validati 4, per non parlare dei vaccini extra Ue già in uso come il russo Sputnik o il cinese Sinovac. Si tratta di vaccini con alla base porzioni di virus inerte come Astrazeneca o Janssen oppure di tipo mRna, con un vettore messaggero che istruisce il corpo a difendersi dalle proteine del virus, come nel caso di Pfizer o Moderna. Stiamo parlando di vaccini ad altissima tecnologia, con decine e in alcuni casi centinaia di componenti base di difficile lavorazione.

Pensare che Paesi africani dove le unità di Terapia intensiva si contano sulle dita di una mano siano in grado di garantire la catena di distribuzione a meno 70 gradi, come per il vaccino Pfizer, è una illusione. Non sono pronti ora, non lo saranno nei prossimi tempi

I rischi

Il rischio è rivedere i disastri provocati negli anni Settanta o Ottanta in Africa, maggiorati dagli effetti devastanti di Covid-19, quando il latte in polvere veniva regalato in quantità importanti come misura per debellare la fame nel mondo, ma veniva poi diluito con acque non potabili, in situazioni dove l’approvvigionamento idrico arrivava da pozzi e non da acquedotti sigillati in sicurezza. Oggi il Covid-19 ci chiede una rivoluzione copernicana. Rendere sostenibili quei Paesi che da sempre vivono sotto il colonialismo economico, meno visibile ma più rapace. Non accorgersene in nome dell’etica del profitto sarebbe un grave errore. Consentire a chiunque di affrancarsi dal virus è un obbligo prima ancora che una necessità. E, alla fine, potrebbe essere l’unica cosa buona che ci lascia in eredità il Covid-19.