Questa settimana voglio parlarvi di nuovo di Khalida Popal e della sua storica sfida vinta sul campo di calcio di Berrechid, in Marocco al torneo FIFA United Women’s Series 2025 che si è tenuto dal 29 ottobre al 2 novembre con la partecipazione delle squadre femminili del Chad,Libia, Mauritius e Afghan Women United.
Quando, nel febbraio scorso, la fondatrice della squadra di football femminile afgana mi ha detto nella cucina di casa sua, a Copenhagen, dove vive da molti anni in esilio “Questa volta ce la facciamo”, trattenendo l’entusiasmo che le faceva vibrare il corpo, in attesa di quel riconoscimento che attendeva da oltre quattro anni, mi sembrava che la sua fosse una sfida quasi impossibile, ma ero certa che prima o poi ce l’avrebbe fatta.
E infatti otto mesi dopo, le calciatrici della squadra Afghanistan Women’s National Team che lei ha fondato clandestinamente in un cortile della scuola e poi ufficialmente nel 2007 – anno in cui ha ottenuto dalla AFF (Afghanistan Football Federation) il mandato a costituire la prima nazionale di calcio femminile – hanno messo in rete uno dei primi goal contro i Talebani tornati al potere. Anzi sette perché la squadra evacuata da Kabul nell’agosto del 2021 e riconosciuta nel maggio scorso dalla Fifa dopo oltre quattro anni di battaglie, petizioni, pressioni, ha vinto contro il team femminile della Libia con un 7 a 0 che resterà sempre lì, numero immutabile e indelebile, per poter ricordarsi dove sono arrivate con una determinazione e una fatica che non si riesce neanche a immaginare. “Stiamo facendo la storia”, ha commentato Khalida Popal, con l’adrenalina a palla.
Lei, Khalida Popal, ha una storia straordinaria che vi ho già raccontato dopo averla incontrata per un reportage pubblicato l’8 marzo scorso da Repubblica che è narrata anche nel libro Vita e libertà contro il fondamentalismo (qui trovate la sua biografia contenuta nel libro).
Deve esserle quasi scoppiato il cuore quando ha visto la squadra della nuova generazione di atlete entrare nello stadio di Berrechid con la benedizione del presidente della Fifa, Gianni Infantino, per partecipare al torneo “Fifa Unites: Women’s Series” che ha riportato il loro pallone al centro del campo per dire al mondo e ai talebani: the afghan women players are back
Nel nome del potere delle ragazze a cui Khalida Popal ha dedicato la vita: l’organizzazione che ha creato una volta arrivata a Copenhagen si chiama infatti Girl Power ed è un brand dell’attivismo sportivo per l’emancipazione femminile, l’inclusione dei rifugiati, la parità di genere.
Il trofeo è stato conquistato dalle calciatrici del Ciad ma segna l’inizio di una nuova storia: il ritorno ufficiale delle atlete rifugiate bandite dai Talebani. La loro partecipazione al “Fifa Unites: Women’s Series” fa parte di una strategia più ampia per promuovere il calcio femminile afgano, che sta consentendo alle giocatrici, nate in un Paese dove i Talebani hanno persino vietato alle donne di parlarsi fra di loro (!), di tornare sulla scena internazionale femminile ed è stata riconosciuta come un’iniziativa all’avanguardia nel mondo dello sport.
Formata a maggio di quest’anno, l’Afghan Women United può partecipare a tornei riconosciuti dalla FIFA e/o partite amichevoli. La squadra è allenata dalla scozzese Pauline Hamill, che ha convocato 23 giocatrici: la maggior parte di loro milita nel Melbourne Victory FC AWT e cinque avevano già indossato la maglia della nazionale afghana nell’ultima partita ufficiale disputata in patria, contro il Tagikistan, nell’aprile del 2021.
Khalida Popal sa che questa è una grande vittoria (al torneo “Fifa Unites: Women’s Series” sono arrivate terze) ma ancora parziale perché dovrà saltare numerosi ostacoli per vincere la sfida finale: rappresentare l’Afghanistan nei campionati con un titolo ufficiale e non con un team di rifugiate anche se scese in campo con la bandiera tradizionale della Repubblica Islamica d’Afghanistan.
Del resto, nella sua autobiografia romanzata My Beatiful Sisters – A Story of Courage, Hope and the Afghan Women’s Football Team (John Murray Press) ancora inedita in Italia ha scritto
La lingua del calcio è la lingua della guerra. Il tuo allenatore è il generale e voi siete i soldati. Strategia e tiri. Difesa e attacco. Devi vincere le tue battaglie. L’inno nazionale suona e la folla versa lacrime patriottiche. Ma è anche un gioco. In questa tensione tra conflitto e gioco, distruzione e creazione, c’è qualcosa di essenzialmente umano. Qualcosa di bello. Apri gli occhi
Perciò sono convinta che lei li terrà spalancati fino alla vittoria finale contro i Talebani. Anche se è ancora una strada tutta in salita. Infatti Il torneo avrebbe dovuto svolgersi negli Emirati Arabi Uniti ma le autorità locali si sono rifiutate di fornire i visti d’ingresso alle giocatrici afgane, costringendo la FIFA a cambiare sede alla competizione perché il Governo di Abu Dhabi mantiene rapporti con i Talebani.
Domenica, mentre guardavo le mie ragazze (la squadra femminile afghana) uscire dal tunnel, portando la bandiera, in piedi e fiere durante l’inno nazionale, non sono riuscito a trattenere le mie emozioni. Sembrava surreale, quasi un sogno. Tutto il mio corpo tremava e facevo fatica a reggermi in piedi o a controllare le lacrime, ha scritto Khalida Popal su Instagram. Per me, era più di una partita di calcio. Era la storia che si ripeteva, ma questa volta, riscritta da una nuova generazione di sorelle coraggiose che continuano a lottare per il loro diritto di giocare, di essere viste e di essere libere
E nel frattempo, per celebrare a distanza questa prima storica vittoria, indosso la felpa dell’organizzazione fondata da Khalida Popal, Girl Power. La uso spesso per ricordarmi del nostro incontro perché, fra tutte le mappe delle libertà, la sua è una di quelle ti restano arrotolate dentro la mente: la sfida di Khalida è una di quelle che non si possono perdere. Whatever it takes.
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