«La prima volta che ho visto Nasim, era appesa su una parete della roccia, aveva i capelli liberi al vento e lo sguardo dritto alla cima». La regista Francesca Borghetti introduce così il documentario Climbing Iran, dedicato alla libertà conquistata da Nasim Eshqi. Nasim ha iniziato ad arrampicarsi quando aveva 23 anni, rivendicando il diritto a salire in vetta e affrontando di petto la sfida per essere una donna libera di esprimere la sua immensa passione per la montagna. Ho visto e rivisto più volte il documentario in cui Nasim si arrampica sulle rocce, apre nuovi sentieri della speranza (anche sulle Alpi). Ho guardato e riguardato le sue scalate, le sue gaie risate; l’inquietudine, la forza con cui riesce a convincere tutti, anche gli uomini, a considerarla una guida. Sono rimasta stupita dal fascino della sua femminilità quando ogni volta, dopo un’arrampicata, si ridipinge le unghie di rosa perché graffiate durante la salita. L’ho vista nella sua tenda dove ride e canta mentre ascolta la musica techno. Ho assaporato ogni parola di Nasim, ogni suo sguardo, ogni sua esclamazione che incita alla libertà. «Fuori dall’Iran posso andare in giro nuda, nel mio Paese che è una Repubblica islamica mi devo coprire, anche le turiste si devono coprire», spiega Nasim con leggiadra consapevolezza a chi teme che le riprese del documentario possano danneggiarla. «Nella nostra televisione non si vedono donne fare sport. Alla fine ho deciso: sono una donna che vuole realizzare i suoi sogni e non si fermerà mai». E così è stato. Cima dopo cima, vetta dopo vetta, parete dopo parete, è diventata una leggenda. Ha preferito non scalare nelle competizioni istituzionali per la Repubblica Islamica dell’Iran per non indossare il velo, per non essere usata dal regime. Oltre alla legge degli uomini in Iran, Nasim ha sfidato anche la legge della gravità. Lo sport ha salvato la sua vita, grazie all’aiuto della montagna benigna che l’ha sempre protetta come una divinità matriarcale.

Io non ho mai parlato di politica, sono un’alpinista, mi occupo di altro. Ma questa volta si tratta di diritti umani, non posso stare zitta: le persone in Iran non li hanno e sono stanche perché il mondo non le ascolta, è silente e le ignora. Stavolta voglio essere la loro voce e aiutare

Ora, sul suo profilo Instagram posta le immagini delle manifestazioni e delle repressioni di quella che ormai non è più una protesta, ma viene giustamente chiamata rivoluzione. Di tutti gli iraniani, ma in nome delle donne. Una cosa inaudita, a pensarci su. Soprattutto adesso, che sono cominciate le impiccagioni dei ribelli. La storia di Nasim mi ha commosso. E alla fine del documentario, proiettato domenica scorsa al Teatro Parenti durante una serata dedicata alla rivoluzione iraniana, non ho provato imbarazzo quando mi sono trovata in piedi a scandire il potentissimo slogan #ZanZendegiAzadi (donna, vita, libertà) anche se io preferisco scrivere che gridare slogan ma questa volta è tutto diverso. Tutto così inaudito. Tutto così potente, brutale, catartico. E maledettamente difficile, come arrampicarsi per arrivare sul tetto del mondo. Perciò, ho deciso di tralasciare il bollettino di guerra in Iran dei morti e dei feriti; del terrore e delle torture del regime degli Ayatollah. E ho voluto raccontarvi la sua storia, una delle tante storie eroiche delle donne iraniane. Grazie Francesca Borghetti per aver dedicato quattro anni della tua vita professionale a documentare l’arrampicata di una donna straordinaria. Grazie, Nasim Eshqi.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da ROPEGUN (@ropegunstreetwear)

Se volete iscrivervi alla newsletter per leggere la reading list, spunti e suggerimenti su eventi, cliccate qua. Se volete sostenere il lavoro di NRW, fatevi un giro qui.  In ogni caso, grazie !