C’è chi lancia e rilancia la richiesta di soccorso ai migranti sui barconi e chi fa un lavoro discreto per offrire una speranza ai viandanti che la retorica sovranista o la superficialità si ostina a chiamare “clandestini”. Fausta Omodeo Sale ha intrecciato la sua vita con migliaia di migranti che considerano l’Italia una terra di passaggio. Grazie all’intervento di Rete Milano, che insieme ad altre unità mobili di diverse associazioni offre una busssola per aiutarli ad orientarsi. Con buona pace del trattato di Dublino che l’Unione Europea non ha mai voluto o non è riuscita a modificare. E ora che gli sbarchi sono aumentati, ora che i numeri dei migranti arrivati cominciano ad essere considerati una nuova emergenza (oltre 28mila nei primi tre mesi del 2023), si parla poco del flusso sotterraneo di chi passa per Milano per andare altrove. Ed è determinato a non farsi identificare per non essere costretto a chiedere asilo nel nostro scalcagnato Paese che, però, continua a farsi carico della maggioranza degli arrivi in Europa.

Arrivano soprattutto dalla rotta balcanica, spesso aggrappati ai vani dei camion e in ciabatte, oltre che dal Mediterraneo.

Come quel ragazzo tunisino che lei ricorda con tenerezza perché, per non essere di nuovo respinto, si è fermato in Grecia a lavorare per poi comprarsi una bicicletta da corsa e mimetizzarsi con i turisti. O una donna afghana arrivata grazie all’intraprendenza della figlia che l’ha guidata dalla Turchia perché non parlava inglese

Non sappiamo quanti siano perché intercettarli non è facile: temono di essere identificati e obbligati a rimanere. Ora che il Comune di Milano ha finalmente dato un nuovo spazio per chi cerca un giaciglio per una notte, in un edificio di Brera affidato alla Fondazione dei Fratelli di San Francesco, si può vedere i transitanti arrivare alla sera dopo che sono stati segnalati dalla Protezione Civile, la Croce Rossa, le associazioni e talvolta persino dalle forze dell’ordine che chiudono un occhio e anche due per lasciarli andare. Ma sappiamo che ora sono 250 al mese e che il numero è destinato a crescere. E non solo per l’aumento degli arrivi, come spiega Fausta Omodeo Sale.

Ci sono persone che toccano il cuore, lui più di altri. Gli occhi velati, le mani piene di calli. Sulle spalle una vita faticosa, ha solo una quarantina di anni ma ne dimostra almeno 20 di più. E un sorriso timido che invece di aiutarlo lo spinge ai margini. Vive per strada anche se avrebbe diritto ad un posto in accoglienza. E così lui, e tanti altri, restano per strada come stracci, ormai intrappolati in Italia perché se andassero via verrebbero poi respinti in base agli accordi di Dublino. Ecco perché a chi ci chiede aiuto per la richiesta di asilo diciamo No, meglio che tu vada via

Fausta Omodeo Sale riceve richieste di aiuto attraverso il passaparola o i social media. Le mille e una storia che ha da raccontare hanno in comune una cosa sola: la richiesta di un giaciglio, vestiti, un consiglio, una tregua per tirare il fiato, prima di ripartire per Paesi dove hanno reti familiari o solo la speranza di poter avere maggiori opportunità. Le loro sagome sono un grande punto interrogativo perché spesso restano una notte e poi svaniscono. Lasciano un nome all’entrata, che probabilmente è falso. E raramente raccontano la loro storia perché possono rimanere solo per tre notti e sanno di essere di passaggio. Ad accoglierli in via San Marco c’è Indrit, un ragazzo albanese arrivato in Italia quando era minorenne. Ora sta finendo il liceo e vuole restituire quella generosità che ha ricevuto quando è stato aiutato. Così come è albanese il responsabile di tutte le case di accoglienza della Fondazione dei Fratelli di San Francesco, Bledjan Beshiraj. La responsabile del progetto per transitanti, finalmente formalizzato dal Comune, è l’assistente sociale Maria Secchi, consapevole che offrire un letto e una cena non basti perché alla mattina i migranti devono uscire e stare fuori tutto il giorno.

In gergo tecnico si chiamano flussi secondari di migranti che vengono lasciati passare perché non si può impedire il diritto alla mobilità e anche per alleggerire il peso sul nostro sistema di accoglienza: oggetto di polemica con i francesi che spesso li rimandano indietro, invocando il regolamento di Dublino che prevede di ospitare e dare asilo nel primo Paese europeo in cui arrivano i migranti irregolari

Negli ultimi giorni sono arrivati iraniani, che ora sono in aumento, una famiglia turca e diversi afghani. Tutti andati via. «Qualche volta, soprattutto se sono famiglie, qualcuno decide di restare. Oppure può capitare che tornino indietro spontaneamente perché non sono riusciti a trovare quello che speravano o perché semplicemente confusi, ma succede raramente», spiega Fausta Omodeo Sale.

I transitanti sono i viandanti del terzo millennio che hanno continuato ad attraversare confini, a muoversi anche quando noi eravamo chiusi in casa dalla pandemia. Al centro di via San Marco, nel quartiere di Brera, ho fissato a lungo un paio di scarpe da tennis lasciate da un migrante arrivato in ciabatte. Mi chiedo perché le abbia lasciate qui. Non lo saprò mai, ma questa traccia è un grande punto interrogativo di un flusso sotterraneo di cui si parla poco e mal volentieri.

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