I legami che si creano durante una guerra sono profondi perché scavano nelle menti insondabili dell’essere umano. E nelle tenebre si possono scoprire persone straordinarie che in tempi di pace magari restano inosservate, o quasi. Dopo avervi raccontato il viaggio ai confini fra la Polonia e l’Ucraina per andare a portare aiuti e riportare in Italia famiglie ucraine che avevano perso tutto (e provare ad asciugare qualche lacrima), di cui ho parlato anche nel dodicesimo episodio del podcast Al confine e ritorno con i profughi dall’Ucraina, ho conosciuto una nuova realtà straordinaria: volontari che si prestano a guidare per 4mila chilometri, autisti che si offrono di recapitare gratuitamente scatoloni di viveri e medicine; medici che usano i giorni di riposo per andare ad assistere i disabili gravi sfollati dal Donbass a Chernivtsi (vicino ai confini con la Romania). Tantissime persone che fanno riferimento a un uomo buono con la B maiuscola, don Giusto Della Valle della parrocchia di Rebbio, a Como.
Da lì partono frequentemente le carovane umanitarie per portare aiuti in Ucraina e accogliere famiglie in Italia. Accompagnandole in altre città europee dal confine polacco o dando il loro sostegno a Leopoli, solo per citare alcune delle loro missioni. Sono partita giovedì scorso con Vincenzo Napolitano, Max Corti, Francesco Bellisano, Giorgio Campagnoli per lasciare degli aiuti in Polonia, a Hrubieszów, a pochi chilometri dal confine con l’Ucraina e poi a Chelm per portare una famiglia in Italia e infine accompagnare madre e figlia a Norimberga sulla via del ritorno, mentre Vincenzo ha aiutato un’altra madre e figlia ad andare in Svizzera. Abbiamo oltrepassato il confine per andare in Ucraina con Max, Giorgio e Francesco e siamo andati alla chiesa battista di Koresten, una città della provincia di Zhytomyr, a 70 chilometri dalla Bielorussia, a 170 da Chernobyl e poco distante da Kiev. Lì ci aspettavano Julia Kozak, suo marito Sasha, i loro quattro figli, gli sfollati, i membri della chiesa e tutti i volontari che transitano dall’inizio della guerra per dare una mano. Qui potete vedere il video del nostro arrivo.
Nelle cronache belliche non si parla tanto di Koresten perché i russi non l’hanno mai occupata, ma i segni della guerra e delle bombe sono visibili. Ancora di più nei loro cuori. Dopo un altro lungo viaggio per raggiungerla abbiamo passato diversi giorni con loro. Cosa ho visto? La loro capacità di sorridere, anche quando si sente l’allarme e bisogna trovare un riparo. Cosa ho scoperto? La resistenza mentale alla sofferenza, oltre che ai soldati russi. La fede li aiuta, certo. Pensare che ci sia una lotta con il demonio li aiuta, certo. Ma poi c’è la guerra. E la guerra lascia segni indelebili. Insieme abbiamo visitato città rase al suolo, parlato con persone sequestrate dai russi, visto un lento e guardingo ritorno a una semi-normalità perché ci sono ancora dei bombardamenti nella provincia di Zhytomy e nel Nord dell’Ucraina.
Julia fa tante cose per i suoi compatrioti, fra cui anche quella di andare nei villaggi e riportare a casa i corpi dei soldati ucraini uccisi dai russi. Sasha fa tante cose per i suoi compatrioti, fra cui andare dove si combatte o si è combattuto per portare ai soldati tutto quello di cui hanno bisogno per resistere. Durante questo viaggio, la frase che meglio sintetizza i sentimenti degli ucraini è quella che ha sentito Max durante la visita nel villaggio martoriato di Vorzel: Aiutateci a restare umani
Perché è vero che hanno bisogno di tutto: cibo, medicine e gasolio (le stazioni di rifornimento sono chiuse e se aperte ci sono file chilometriche). Ma quello che hanno più bisogno nel Nord dell’Ucraina, dove per ora le persone possono uscire e lavorare fino all’ora del coprifuoco – stando attenti agli allarmi quando gli aerei sorvolano sulla loro provincia – è di non essere dimenticati. Ognuno di loro ha visto troppa violenza. Così tanta che fanno fatica a raccontarla. La sera prima di tornare in Italia, Julia mi ha detto: “Io sono credente e contro la guerra. Ma se il tuo popolo viene aggredito, devi proteggerlo”.
Durante questo viaggio ho visto tante cose che forse non avrei voluto vedere. E ho ascoltato pezzi di racconti che non dimenticherò mai. Per queste e molte altre ragioni, sento l’urgenza di dirvi che mentre in Italia l’interesse per la guerra in Ucraina diminuisce e la carovane umanitarie sono sempre meno; mentre i centri di accoglienza ai confini polacchi si svuotano perché chi poteva è rientrato in Ucraina – e gli altri, quelli che hanno perso tutto si sono stabiliti in diversi Paesi europei – a Rebbio la rete di solidarietà cresce e i viaggi per l’Ucraina non si sono fermati né si fermeranno. Perciò vi chiedo di aiutare don Giusto e la parrocchia a finanziare le missioni umanitarie di cui ci sarà bisogno anche dopo che la guerra sarà finita.
Ps. Questa l’immagine di noi che abbiamo fatto qualche chilometro (lo si vede dalle facce tirate). A sinistra due rifugiate che andranno in Svizzera, al centro Max Corti, la mia guida in Ucraina, don Giusto Della Valle e Vincenzo Napolitano che ha fatto molteplici viaggi in Polonia.
Ps2. I miei compagni di viaggio e tutti gli altri volontari ora in viaggio per Leopoli sono persone straordinarie perché per loro la solidarietà non ha una scadenza. Aiutateli ad aiutare.
L’Iban per fare una donazione alla parrocchia di Rebbio è questo: IT68k0843010904000000094683 (causale viaggio Ucraina)