L’immagine di Ahou Daryaei che si è spogliata – rimanendo in biancheria intima in un campus universitario di Teheran – ha l’impatto di una bomba capace di scavare un cratere nelle coscienze. Il suo gesto è la dimostrazione plastica di quanta follia ci voglia per difendere pacificamente i diritti delle donne, la libertà per tutti. Un gesto che, nel giorno delle elezioni americane in cui si attende un responso dirimente sulla salute della democrazia, ci rammenta quanto sia potente la rivoluzione delle iraniane che si battono per demolire il muro di Berlino dei regimi patriarcali, terrorizzati dal corpo delle donne.
L’immagine della studentessa in slip, reggiseno e calzini, mi ha creato in sequenza questa gamma di emozioni: incredulità, sconcerto, paura. E poi una sensazione difficile da descrivere perché è complicato definire cosa si prova davanti a una persona che con la follia dell’immenso coraggio si denuda e mette a nudo ogni comfort zone. Nel video che è stato girato dalla finestra dell’università, si vede un panorama statico in cui l’unico essere animato sembra essere lei, Ahou Daryaei, che cammina avanti e indietro con le braccia incrociate mentre studentesse velate, uomini e donne sono fermi, quasi paralizzati. Alcuni le voltano le spalle oppure passano e non la guardano o la spiano di sbieco, tranne due donne della polizia morale che sembrano in attesa di chi venga a farla sparire dalla visuale di tutti. E la scena diventa vivida solo quando si vedono le donne con l’abaya nera e gli sgherri dei militari basij che rincorrono per strada Ahou Daryaei per costringerla con violenza a salire su una macchina. E bisogna guardarlo più volte, il video, cercando indizi che possano rivelarci qualcosa di quanto sta accadendo per credere che sia tutto reale. E invece, sebbene la BBC persiana abbia raccolto delle testimonianze di studenti e di un docente che hanno negato il suo gesto di protesta – affermando che sia stato solo l’intemperanza di una ragazza mentalmente disturbata – la sua nudità sembra talmente autentica al punto da farci dubitare che lo sia. Un paradosso.
Chiunque nella storia abbia commesso un gesto folle per rompere l’immobilità degli schemi repressivi ha provocato sentimenti contrastanti. Alcuni commentatori hanno persino paragonato la sua ribellione a quella del “rivoltoso sconosciuto” immortalato da un fotografo della Reuters il 5 giugno 1989, quando uno studente cinese fermò una colonna di carri armati in piazza Tienanmen, a Pechino. Un paragone azzardato? Apparentemente sì, ma una cosa è certa: ogni rivoluzione ha i suoi eroi ed eroine sconosciute che ammutoliscono gli spettatori per una decisione istintiva quanto drammatica
Credit: Reuters
Secondo quanto riferito dalla newsletter Amirkabir, gestita da un movimento studentesco, la ragazza era stata aggredita più volte da alcuni agenti di sicurezza dell’università che le avevano strattonato gli abiti perché non indossava correttamente lo hijab e lei si sarebbe spogliata quasi del tutto, sedendosi in fondo a una scala e poi camminando in giro con i capelli sciolti. E anzi. Secondo quanto riportato da @said_porsa – giornalista, scrittore, regista teatrale – sarebbe andata pure peggio. Questo è ciò che racconta un amico, presente quel giorno alla Facoltà di Scienze e Ricerca dell’Università Islamica Azad di Teheran.
All’inizio un basij (membro delle milizie paramilitari in borghese del corpo delle guardie della rivoluzione islamica, alias Pasdaran, alias IRGC) ha continuato a infastidirla con insistenza. Poi le ha sbarrato la strada. L’ha colpita più volte; l’ha tirata per i vestiti fino a che non si sono strappati. Le ha detto che quel modo di vestire non era degno di una studentessa. Lei ha replicato “Ne sei certo? Sei in grado di distinguere cosa sia degno di una studentessa?” Ha risposto di sì, che era in grado. Allora lei ha risposto che, se era così, se li sarebbe tolti – quegli abiti – per osservare la dignità dell’università. Nella foto il basij era proprio lì davanti. Un uomo grasso. Non appena lei si è tolta i vestiti si sono allontanati tutti per paura. Alla fine è arrivata una macchina. Una Pride 111 grigia. L’hanno picchiata e caricata lì dentro. La sua testa ha sbattuto contro la macchina è si è spaccata. C’erano tracce del suo sangue. Purtroppo. (OGGI DICONO CHE È PAZZA, DOMANI DIRANNO CHE È ENTRATA IN COMA)
traduzione di Leyla Mandrelli
Visualizza questo post su Instagram
Forse non scopriremo mai cosa è accaduto prima che si spogliasse e sicuramente non sapremo mai come andrà a finire perché, come ci ha detto l’attivista Leyla Mandrelli, “è successo con tante altre studentesse durante le manifestazioni per Mahsa Jina Amini che sono state recluse negli ospedali psichiatrici per normalizzare il dissenso” ma Ahou Daryaei è diventata un’icona nel giro di poche ore.
Visualizza questo post su Instagram
Ora la sua pazzia è diventata virale, la sua sagoma una traccia potentissima di una musica che stride nelle orecchie ed è inascoltabile. Perché il coraggio quando è immenso è uno strappo che ci lascia tutti nudi.