Accordi con la Libia in guerra, è ora di cambiare giro. La discontinuità con il passato tanto invocata prima della formazione dell’attuale maggioranza giallorossa non c’è ancora stata. La nave Ocean Viking ha attraccato dopo 12 giorni in mare. E il 2 novembre, data in cui il Governo dovrebbe rivedere gli accordi del Memorandum Italia-Libia per impedire che vengano tacitamente rinnovati nel febbraio del 2020, è dietro l’angolo. Le numerose organizzazioni umanitarie dl Tavolo Asilo hanno chiesto al governo italiano di non rinnovare l’accordo che sostiene la Guardia Costiera libica.
NRW ne ha parlato con Mario Giro, una lunga esperienza nel campo delle relazioni internazionali sia nella Comunità di Sant’Egidio sia al governo, dove è stato viceministro agli Esteri con Renzi, riconfermato da Paolo Gentiloni. E soprattutto è stato l’unico esponente governativo ad opporsi a quell’accordo che ha legittimato la violazione dei diritti umani in Libia, per usare un eufemismo.
Non ero d’accordo per diversi motivi. Innanzitutto ci si rivolgeva solo a una fazione, quella guidata da Fayez al-Sarraj, e invece avremmo dovuto cercare un’intesa con tutti per riuscire ad avere come interlocutore un’entità statale o quanto meno para-statale. Non ero d’accordo perché nel 2017 era già emerso l’uso sistematico delle torture all’interno dei centri di detenzione. E non ero politicamente d’accordo a dare supporto logistico alla Guardia Costiera libica con mezzi e uomini perché l’interpretazione di quell’intesa da parte della fazione opposta guidata dal generale Khalifa Haftar sarebbe stata di tipo militare. E cioè avremmo dato la percezione di dare supporto ad alcune milizie.
Mario Giro, oggi docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’università per stranieri di Perugia, ci aiuta a ricostruire cosa è successo per spiegare meglio cosa non dovrebbe più accadere. «Appena Marco Minniti diventa ministro dell’Interno nel dicembre del 2016, la politica migratoria cambia e diventa più securitaria. Il fondo destinato all’Africa di 120 milioni di euro, previsto dalla finanziaria durante il governo guidato da Matteo Renzi, l’anno dopo modifica alcune attribuzioni. Non viene più usato solo per dare supporto a diversi Paesi africani per aiutarli attraverso la cooperazione allo sviluppo a gestire i flussi laddove si creavano, ma viene inserito anche il sostegno alla Libia. E così comincia un continuo rimpallo fra il Viminale e la Farnesina sulla destinazione dei fondi per dirottarli anche verso la Libia e bloccare i flussi migratori».
E infatti nel decreto su Fondo per l’Africa siglato nel febbraio del 2018 dall’allora ministro agli Esteri Angelino Alfano, Tunisia e Libia diventano priorità strategiche: viene prevista la fornitura anche di equipaggiamenti, strumentazioni per il controllo delle frontiere terrestri e marittime; la prevenzione e il contrasto dei traffici di esseri umani.
Nell’aprile del 2017 Minniti incontra i capi tribù e fa un accordo con loro per trattenere i migranti. Si è parlato tanto di ingenti finanziamenti alle milizie, ma non esiste alcuna prova e non ci credo. Tuttavia da ex viceministro degli Esteri, posso dire che l’accordo sia con i capi tribù sia con i “sindaci” sia stato un errore politico.
Secondo Mario Giro, dopo il fallimento dell’accordo di pace di Skhirat nel dicembre 2015, in Libia si è creata un’impasse che ha condotto a una esasperazione del conflitto militare.
Bisognava a quel punto lavorare a un’intesa con tutte le fazioni, collaborando con francesi, turchi e russi. E invece, per ossessione migratoria abbiamo sostenuto milizie che gestiscono la Guardia Costiera e non sappiamo da chi verranno infiltrate. Inoltre le ong sono state criminalizzate e abbiamo cominciato a fare di fatto dei respingimenti in mare. Non potevo che oppormi.
Per Giro, l’Europa ha chiuso le frontiere dieci anni fa perché i flussi regolari riguardano solo gli immigrati stagionali.
Ora il generale Haftar è alle porte di Tripoli e il conflitto si è acuito. La schiavitù dei migranti è un dato assodato. La borghesia libica è fuggita in Tunisia e non escludo che sui barconi arrivino anche i libici, quelli poveri, che non possono più stare nel loro Paese. E allora cosa faremo?
Insomma questi accordi non sarebbero da rinnovare per ragioni sia etiche sia geopolitiche, è chiaro. Ma quale alternativa abbiamo?
«L’esperimento dei corridoi umanitari della comunità di Sant’Egidio che coinvolge 3500 profughi ogni anno dovrebbe essere allargato (in Belgio sono 200, in Francia 500 per capirci). E poi si deve continuare a lavorare sui rimpatri assistiti e volontari: lo Iom ha già riportato a casa dalla Libia 25mila persone, con l’aiuto della UE. Occorre poi riaprire il decreto flussi e lavorare sui ricongiungimenti. Rinnovare accordi che legittimano trafficanti e miliziani non è solo una scelta politicamente sbagliata, ma anche pericolosa e miope», chiosa l’ex viceministro.
«Bisogna ricominciare da dove la comunità internazionale ha fallito e cercare una nuova chance per un accordo di pace che ci permetta di avere un interlocutore istituzionale. L’interesse nazionale dell’Italia è di avere a che fare con uno Stato e non con una pluralità di milizie e simili» . Insomma, secondo Giro, sulla Libia è ora di cambiare giro.
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Sugli accordi con la Libia, non desistiamo. Una conversazione di Cristina Piotti con l’avvocato Maurizio Veglio dell’Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), autore del saggio L’attualità del male. La Libia dei «Lager» è verità processuale (Edizioni SEB27), per ricordare non solo cosa succede in Libia, ma anche precisamente da quanti anni sia ormai stata sancita la verità sui centri di detenzione.
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