Senza dimenticare le loro radici, i cinesi di seconda generazione sono anche loro sempre più frequentemente il risultato di una felice contaminazione.

Dona a chi ami ali per volare, radici per tornare e motivi per rimanere

(Dalai Lama Tenzin Gyatso)

 

Amelia earhart awaits transatlantic flight 1928

Amelia Earhart, 1927. Wikimedia Commons

Chi ci segue lo sa già. La nostra narrazione affronta spesso un diverso tema monografico ogni settimana. Un tema che scegliamo in base alle nostre intuizioni o anche attraverso le suggestioni che ci arrivano da chi ci segue sui social o sul nostro sito. Per scelta editoriale lasciamo che siano loro, i nuovi cittadini italiani, a scriverci le loro storie che noi adattiamo alla nostra libera interpretazione o analisi. Senza mai dimenticare il contesto e l’attualità, il nostro contributo è ispirato al desiderio di uscire dalle gabbie della cronaca, tranne per alcune eccezioni su questioni culturali urgenti che ci impongono una riflessione. Perciò questa settimana abbiamo deciso di occuparci dei giovani italo-cinesi. E siccome le seconde generazioni si stanno formando per diventare parte di una nuova classe dirigente (questo concetto lo ribadirò fino a sfiancarvi) cominciamo col rammentarvi che il futuro è già qui. Nell’advisory board di Confcommercio di Milano recentemente è entrato Francesco Wu. Ha trentasette anni ed è diventato il referente di tutte le imprese gestite da stranieri a Milano, Monza, Brianza e Lodi che danno lavoro anche agli italiani: 37 mila aziende che operano in tutti settori, sia quelli tradizionali, sia quelli più innovativi in un’area geografica che è fra le più produttive in Italia. Francesco Wu si è laureato in ingegneria, gestisce due ristoranti e in questo video racconta la sua storia. Ora è arrivato ai vertici di in un’istituzione importante: una strategica associazione di categoria, mica briciole. A Radici spiega un concetto significativo sull’integrazione. «Anch’io ho dovuto combattere contro qualche pregiudizio, ma quando si parla di lavoro, soprattutto a Milano, ciò che conta non è la tua origine, ma ciò che fai. Il lavoro, l’intraprendenza e l’eccellenza ci mettono tutti sullo stesso piano». Perché le differenze culturali e le radici sono fondamentali, ma dobbiamo abituarci a pensare ai nuovi cittadini non solo in merito al grado di integrazione – questo è un concetto che sta cambiando e presto, mi auguro, sarà superato – ma in base a un’identità complessa che si crea attraverso loro percorsi personali di studio, di lavoro e soprattutto rispetto alle mete che raggiungono. Per questo motivo uso spesso il termine e l’hashtag #oltrelintegrazione. Chi ce la fa, chi emerge, è semplicemente un nuovo cittadino che contribuisce all’arricchimento culturale e produttivo del nostro Paese. Non voglio ignorare tutti i problemi legati a quello che io definisco spesso “il lato oscuro del fenomeno migratorio” legato alle derive identitarie, alla mancata integrazione e alla difficoltà di gestire in modo pragmatico i nuovi flussi, ma il talento (che non si può misurare esclusivamente sui redditi o sulle tasse pagate) ha un solo linguaggio con miriadi di declinazioni culturali.

 

Shi Yang Shi recita i mantra di fianco alla statua di Indro Montanelli

I cinesi non sono solo tutti geni in matematica a scuola, infaticabili ristoratori o imprenditori da adulti, come riporta la narrazione corrente. Per questo motivo abbiamo chiesto a uno scrittore e attore emergente di parlarci della sua arte. Shi Yang Shi in Cuore di seta (Mondadori, 2017) ha narrato la sua storia di un ragazzo cinese arrivato a 11 anni in Italia e le sfide che ha dovuto affrontare dopo che ha rivelato di essere omosessuale. Yang, bocconiano suo malgrado, è stato inviato delle Iene ed è un attore emergente. Un adulto di seconda generazione dai molti talenti, che ci ha scritto un articolo travolgente per parlare (anche) delle radici. Sue e nostre.

 

Giulia Mu, nata in Italia, che ora studia anche il cinese per poter farsi capire dai suoi nonni

Giulia Mu è nata in Piemonte e studia Marketing. È nata nelle Langhe, dove i suoi genitori avevano una gastronomia e ora hanno tre negozi. E sa già che non seguirà la vocazione imprenditoriale dei suoi genitori. Vorrebbe gestire un team e non conosce il cinese mandarino. Prima di andare all’università aveva solo un’amica di origine cinese, una ragazza con cui condivideva la passione per la musica pop coreana.

 

Questionario/tormentone di Radici

L’integrazione? «Implica uno scambio culturale che superi la discriminazione e l’esclusione sociale». Che lavori fanno gli stranieri? «Svolgono soprattutto lavori che gli italiani non fanno più o che non intendono fare, di media e bassa qualifica, spesso sottopagati». Questi sono due esempi delle risposte di Francesco Laforgia, senatore di Leu, ad alcune delle domande del nostro quiz. Conosce i numeri, riconosce il dinamismo delle seconde generazioni, ma abbonda con gli stereotipi e le formule politiche rituali. Nonostante le buone intenzioni e una vaga conoscenza sul tema dell’integrazione, ancora non ci siamo. Corro il rischio di sembrare un grillo parlante, lo ammetto, ma neanche Laforgia mi ha convinto.