Aprite la porta anche agli italiani con cognomi che non sapete pronunciare. Dopo che il mondo è ripartito con più problemi che soluzioni, fra i nodi da affrontare riemerge (di nuovo) quello dei cittadini con background migratorio. Si stima che durante la pandemia il 18% dei lavoratori che hanno garantito i servizi primari siano stati stranieri, ma è arrivato il momento di aprire le porte anche ai tantissimi professionisti (ed eccellenze) rappresentati dai media mainstream ancora come un’eccezione. Con un anacronismo diventato ormai patologico.
Per questa ragione ho deciso di riproporre la lettera aperta di un gruppo di donne rivolta recentemente al premier Giuseppe Conte in cui si chiede (di nuovo) di fare i conti con l’Italia interculturale. Come ci ha spiegato Mehret Tewolde, una delle firmatarie dell’appello e Ceo di Italia Africa business week: «L’Italia è un Paese con altissima instabilità politica, poca capacità di realizzare riforme strutturali e di metabolizzare cambiamenti culturali. E ancora oggi manca la consapevolezza di essere una società multietnica». L’appello, firmato da un gruppo di donne italiane di origini straniere, chiede al premier di osare di più.
Le scriviamo per chiederle di osare ancor di più ed iniziare ad inserire, anche in ambito di amministrazione pubblica, il concetto di inclusione e diversità culturale, coinvolgendo anche donne come noi, italiane con background migratorio. In Italia vi sono professioniste e professionisti con origini diverse ai quali, purtroppo, non viene offerta la possibilità di dare il proprio contributo per la crescita del Paese.
Nata come un’iniziativa femminile, credo sia arrivata l’ora di fare una campagna informativa, martellante, per valorizzare tutti i cittadini con background migratorio. E demolire tutti i cliché che rappresentano gli stranieri solo come mano d’opera poco qualificata. NRW, che ha un team composto da italiani e basta e da italiani e qualcosa di più (cioè con background migratorio), lo fa già con il suo storytelling, ma non è sufficiente. Si deve chiedere conto alla politica, al Governo, alle istituzioni di aprire le roccaforti.
Le nuove generazioni di italiani (ricordiamo il dato significativo dei 2 milioni e 800mila figli dell’immigrazione da 0 a 35 anni) premono per contare di più. E quando si deciderà di farli entrare nelle istituzioni con un criterio meritocratico, sarà sempre troppo tardi. Questo non significa, però, dimenticarsi delle fasce più vulnerabili. Questa settimana Cristina Piotti ha intervistato il vicepresidente di Asgi, Gianfranco Schiavone, per raccontare il lavoro certosino di Grei250, il gruppo Riflessione e Inclusione che sta per presentare una serie di emendamenti al Decreto Rilancio sulla regolarizzazione degli immigranti irregolari per includere i settori rimasti esclusi dal decreto ed evitare ulteriori distorsioni delle politiche migratorie. Nel frattempo non dimentichiamo i tanti, tantissimi, imprenditori stranieri. Il long read di questa settimana è tratto dal libro Noi creiamo lavoro. Storie di imprenditori immigrati di Paola Scarsi che ha raccontato le storie di tutti quegli immigrati che, solo grazie al loro ingegno, ce l’hanno fatta.