Non basta avere la cittadinanza per poter essere integrati. Non basta essere integrati per essere cittadini italiani.
Dona a chi ami ali per volare, radici per tornare e motivi per rimanere
(Dalai Lama Tenzin Gyatso)
Amelia Earhart. Tekniska musset/Europeana/CC
Prima delle elezioni, abbiamo assistito alla pantomima sulla legge per lo ius soli temperato che, come era prevedibile, è finita con un nulla di fatto. Eppure da giorni ci interroghiamo sulla tragica vicenda di Sana Cheema, italo-pakistana di 25 anni che è scomparsa durante la visita alla famiglia in Pakistan nel gennaio scorso. Ennesimo episodio di cronaca che dovrebbe scuotere le coscienze. I diritti delle donne nelle comunità pakistane (e non solo pakistane) vengono spesso calpestati. Esiste un fenomeno sommerso di adolescenti pakistane (e anche bangladesi) tolte dalla scuola per essere obbligate a matrimoni combinati: le case rifugio per donne maltrattate ne accolgono moltissime, che fuggono dalle famiglie per sfuggire alle violenze o a un matrimonio, per continuare a studiare. Ma qualcosa sta cambiando: per la prima volta assistiamo a un profondo conflitto generazionale. Al punto che a difenderla, a suscitare sospetti sul fatto che Sana potrebbe essere stata uccisa per la sua ribellione a un matrimonio combinato, per la prima volta sono stati gli uomini. I suoi amici di Brescia hanno denunciato l’omertà che copre le violenze e i soprusi su giovani italiane di origini pakistane, che vogliono essere libere di scegliere il proprio destino. E se a difenderla sono stati degli uomini, allora ritengo che questo sia un ulteriore segnale di una volontà di integrazione da parte delle seconde generazioni. Come lo è il fatto che, prima di scomparire, lei era riuscita a diplomarsi, aprire una sua attività imprenditoriale e andare a vivere da sola. Ora però è importante che lo Stato non le lasci sole.
Come spiega il giornalista italo-pakistano, Ejaz Ahmad: “Se riusciremo a conoscere la verità sulla morte di Sana in Pakistan, è solo perché si tratta di una cittadina italiana. La cittadinanza italiana, per queste giovani donne, può essere uno strumento in più per aiutarle ad affrontare la loro battaglia quotidiana per affrancarsi dalla cultura dei loro Paesi di provenienza. Per i ragazzi, che sono nati o cresciuti qui, il matrimonio combinato diventa una pratica arcaica e non più accettabile. Lo scontro generazionale sta diventando profondo, proprio perché nell’hard disk delle 2G si è inserito anche la volontà individuale di prendere in mano la propria vita anche al di fuori della comunità, mentre la rigidità delle tradizioni non permette nessuna mediazione. Lo Stato italiano dovrebbe spendere più energie per l’integrazione, dovrebbe investire in formazione civica. L’immigrato una volta accolto inizia il percorso verso l’integrazione, in completa solitudine. Non conosce la lingua, ma soprattutto non conosce né le leggi né gli usi del Paese che li ospita”.
Dal profilo Facebook di Abdelmajid Daoudagh
Mi ha molto colpito infatti l’appello di Abdelmajid Daoudagh, italo-marocchino, che ha dichiarato: “Mi impegno a sostenere le loro denunce e a superare qualsiasi imposizione che gli uomini delle comunità islamiche promuovono nelle relazioni intra ed extra familiari. Ogni giorno raccogliamo le paure e i timori delle giovani e giovanissime lasciate anche sole dall’ideologia del relativismo culturale che le lascia completamente in balia di codici e leggi maschiliste e patriarcali”. Non era mai successo prima. E soprattutto non era mai accaduto che l’appello di un uomo musulmano in difesa dei diritti delle donne avesse un seguito. Come ha scritto lui stesso su Facebook il suo appello ha ricevuto l’adesione e l’incoraggiamento di altri uomini di diverse nazionalità che hanno in comune la fede musulmana. Un segnale molto forte del cambiamento o meglio dell’evoluzione sociale degli immigrati che Radici vuole raccontare. Solitamente, davanti a una tragedia che colpisce una giovane donna, c’è sempre solo la rituale manifestazione di protesta contro la xenofobia e la comunità coinvolta si chiude a riccio, specialmente quella pakistana.
Certo, la strada è lunga ed impervia, come mostra il film Cosa dirà la gente di Iram Haq, la regista norvegese di origine pakistana che parla proprio di questo brutale scontro generazionale. Il film, già presentato alla 42esima edizione del Festival di Toronto nel settembre del 2017, in Italia è distribuito da Lucky Red ed uscirà nelle sale il prossimo 3 maggio. Attenzione però, non ci sono solo le ragazze che si ribellano e fuggono dalle famiglie per continuare a studiare (ricordo la storia di una ragazza raccontata in un’inchiesta che il giorno della sua fuga lasciò sul tavolo del salotto il suo velo). Sono numerose quelle che ce la fanno senza rischiare di finire sepolte nel giardino di casa. E, visto che la realtà non è mai univoca, racconteremo di una molto speciale nel numero che dedicheremo agli studenti universitari.
Cittadinanze di fatto, bloccate però dalla burocrazia italo-kafkiana
Vi ricordate di Ferdi, il montenegrino rom scappato dalla guerra 20 anni fa che nel 2009 ha vinto il Grande Fratello? Ha scritto a Radici per raccontare delle sue nuove attività imprenditoriali, ma è furioso ed amareggiato perché ancora non è riuscito a risolvere il problema dell’identità, in senso letterale.
Cittadinanze oltre l’integrazione
Ian Ssali, 27 anni è romano de Roma. Studente di Giurisprudenza e di pianoforte, suona musica classica e jazz. I suoi genitori sono ugandesi. Suo padre, che è arrivato in Italia negli anni ’70 con una borsa di studio per andare all’università, dice di aver imparato l’italiano guardando i film di Totò. Dal padre, Ian Ssali deve avere ereditato uno spiccato senso dello humor, perché nel suo esordio su Radici fa una riflessione sull’immigrazione e l’Africa che smonta alcuni luoghi comuni in modo ironico e divertente. E ci dà una notizia, come dice lui, di portata copernicana: la maggior parte degli africani arrivano in Italia in aereo. E regolarmente. Oibò.