Siamo ancora sulla stessa barca, ma non vogliamo essere curati dai medici stranieri (a meno che vengano dall’estero). In questa caotica fase della pandemia in cui si incrociano paura e dolore, rimozione e negazionismo, è finalmente emerso ciò che noi abbiamo raccontato e documentato ancora prima che il Coronavirus ci mettesse tutti in ginocchio. Le Regioni frenano l’entrata dei medici di origine straniera nel sistema sanitario pubblico e moltissimi italiani non vogliono essere curati da loro, a meno che vengano dall’estero. Il caso è scoppiato in Piemonte, dopo la denuncia dell’Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, ma succede in tutto il Paese. Il decreto Cura Italia varato nel marzo scorso prevede che, solo per la durata dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, sia consentito l’esercizio temporaneo di qualifiche professionali sanitarie ai professionisti che si sono formati all’estero e a tutti i cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea, con un permesso di soggiorno.
Le Azienda sanitarie stanno completamente ignorando questa disposizione e continuano a bandire concorsi che, quanto ai medici, prevedono il requisito della cittadinanza italiana o di Paesi dell’Unione Europea, mentre per quanto riguarda il personale sanitario, si escludono i cittadini extra UE che non siano soggiornanti di lungo periodo, spiega l’appello di Asgi
Eppure, paradossalmente, in Lombardia e Piemonte chiedono l’aiuto alle ONG, agli specializzandi e ai medici in pensione. E leggendo qua e là i commenti agli articoli che ne hanno parlato, si scopre che tanti italiani che hanno avuto la fortuna di non finire in una terapia intensiva si sentano più rassicurati se a curare i malati di Covid siano medici stranieri che poi tornino a casa loro. A questa ostilità verso i quasi 80mila operatori sanitari di origine straniera si sovrappone anche la rabbia dei negazionisti, che considerano tutti i medici parte di un complotto ai danni dei cittadini.
Siamo ancora tutti sulla stessa barca, ma il razzismo coniugato agli ostacoli imposti dalle burocrazie regionali ci mostrano fino a che punto il clima sia cambiato. Continuiamo a vedere sugli schermi televisivi le immagini drammatiche che ci mostrano la congestione del sistema sanitario, ma ancora una volta sta prevalendo il motto populista, prima gli italiani. Anche se si tratta di medici che nella prima fase della pandemia sono stati trattati come eroi, quasi divinità terrene. E non dimentichiamolo: nella lista dei “caduti”, quelli morti perché contagiati negli ospedali, ce ne sono molti di origine straniera che invece hanno lavorato nel sistema sanitario nazionale perché italiani anche sulla carta.
E invece ora ci troviamo a subire anche un’altra ondata per cui non ci sarà mai un vaccino: l’irrazionalità che porta a una nuova forma di razzismo anche nei confronti di figure che sono un esempio di eccellenza
NRW ha raccontato per mesi le loro storie, il disagio di non poter lavorare nelle strutture pubbliche, le discriminazioni che li obbligano a essere precari in strutture private, a finire nelle Rsa, a fare soprattutto le guardie mediche, ad accettare compensi minori. E ora che si offrono per spegnere l’incendio nella casa Italia (che è anche la loro casa) qualcuno arriva a dire: «Finché ci sarà un solo medico italiano, non devono entrare negli ospedali», o persino a invocare il rischio di sostituzione etnica negli ospedali. La casa brucia, siamo ancora tutti sulla stessa barca, ma ogni giorno peggiori.
Noi continueremo a raccontarvi le loro storie che dimostrano un’altra urgenza, la necessità della riforma sulla cittadinanza, anche nel prossimo episodio del podcast di Radici che sta realizzando Storielibere.fm
Nei giorni scorsi abbiamo scritto diverse storie di medici di origine straniera, con o senza cittadinanza, per contrastare questa nuova forma di ostilità. Margherita De Gasperis ha interpellato Artes Memelli, 27 anni e origini albanesi, specializzata in medicina di urgenza, anche lei costretta lavorare solo per strutture private, che ci ha detto: «Non voglio essere considerata un angelo né un’eroina. Chiedo solo più rispetto», mentre Elisa Mariani ha raccontato la storia straordinaria di Polycarpe Majoro, ex bambino soldato che ha visto morire tanti anziani in una Rsa: «Il lockdown? Inevitabile. Ma io, medico, curo anche i negazionisti. E chi mi grida di tornare a casa». Ci siamo occupate anche delle elezioni americane. Cristina Piotti ha fatto il ritratto della nuova vicepresidente Kemala Harris perché mai prima d’ora una donna, per di più con origini indiane e giamaicane, era mai arrivata tanto in alto alla Casa Bianca. Leggete «Sarò la prima, ma non l’ultima». Kamala Harris, luci e ombre della vicepresidente dei record per tirare un sospiro di sollievo. Ci sono voluti quarantasei mandati per arrivare all’elezione della prima vicepresidente donna, di origini africane e asiatiche degli Stati Uniti. Quarantasei è anche il numero delle canzoni che formano la playlist che la neoeletta Kamala Harris ha portato in giro nella sua campagna elettorale. Perciò vi suggerisco di alleggerire le vostre pene quotidiane con l’articolo di Mariarosa Porcelli Una vicepresidente che ha ritmo: la playlist (pop e inclusiva) di Kamala Harris. Potete ascoltare la playlist sul nostro canale nostro canale Spotify, Nuove Radici World Radio. My Future di Billie Eilish serve a ricordarci che oltre questa pandemia, oltre l’irrazionalità che ora ha preso di mira i medici, ancora di più se di origini straniere, possiamo ancora credere nel futuro a cui noi ci teniamo aggrappati grazie alla nostra narrazione sui nuovi cittadini che per ragioni talvolta incomprensibili continuano ad amare la casa Italia.
p.s. Il nostro giornale continua a fornire un’informazione che vuole essere un vaccino, anch’esso necessario, all’irrazionalità della demagogia. Sosteneteci per poter continuare a crescere e stare al vostro fianco in questo momento in cui c’è più che mai bisogno di una narrazione che stimoli la riflessione e la razionalità per stare davvero sulla stessa barca.