Compresa la narrazione sul ritorno degli immigrati di origine africana.

Amelia

Amelia Earhart, 1937. National Portrait Gallery, Smithsonian Institution/Wikimedia commons

Sono sempre più numerose le cose che non tornano, quando parliamo di immigrazione e di integrazione. E talvolta il dibattito assume dei contorni surreali. Ora che il decreto sicurezza è in vigore e i richiedenti asilo che trasgrediscono le leggi possono subire una revoca della richiesta e un’espulsione attraverso una norma molto controversa e anche fumosa (ve ne abbiamo parlato la settimana scorsa), sembra che sia partita la gara a chi prende per primo il migrante cattivo. E accadono cose persino patetiche. Come quella annunciata dal sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, che ha dichiarato: «Abbiamo assunto duecento vigili con la logica del cronometro. Ossia selezionandoli per vedere se sapevano correre, tirare su pesi, saltare. Può far ridere, ma in questo modo quando un nigeriano scappa, lo prendiamo. Alla fine il nero si ferma con la lingua di fuori e chiede, ma chi siete? Rispondiamo: siamo Batman». A parte l’uso improprio del supereroe, questa battuta ha suscitato molta ilarità. Al punto che su Twitter qualcuno, parafrasando un noto proverbio africano, ha replicato con sarcasmo: «Ogni mattina a Venezia un vigile si sveglia e sa che dovrà correre più forte di un nigeriano in fuga». Ma ora parliamo di cose più serie. Il 17 e 18 ottobre si terrà a Roma l’edizione 2018 di IABW, Italia Africa Business Week, dedicato a imprenditori italiani e africani giunto alla sua seconda edizione.

Tutti parlano di come aiutare l’Africa per aiutarli a casa loro, i migranti, ma pochi sanno che il movimento di rientro nei Paesi di origine è molto più consistente di quanto si creda. Complice la narrazione sull’invasione in corso e anche la crisi economica, sono in tanti a tornare indietro e iniziare attività imprenditoriali. Basta leggere le testimonianze sul sito https://vadoinafrica.com/, creato da Martino Ghielmi per rendersene conto. Ad esempio l’ambasciatrice del Benin Marie Rosemonde Maoussi Deffon Yakoubou mi ha raccontato che l’immigrazione dal Benin è composta quasi esclusivamente da studenti che, una volta laureati, rientrano nel loro Paese. Quindi lo slogan “aiutamoli a casa loro” non torna. Si stanno aiutando sempre di più da soli, a quanto pare.

 

Non sono solo i giovani italiani a voler fuggire

Nel dialogo di una coppia afroitaliana scritto da due affermati professionisti di origine camerunese (Nadia Sa’a è medico, mentre suo marito Herdos Tchamba lavora in una multinazionale svizzera) emerge anche il racconto di come ci vedono i nuovi italiani. Con un’amara conclusione «Al momento manca in Italia un chiaro percorso di integrazione. Sembra quasi che ci sia la rincorsa a fare la legge più brutta contro gli stranieri perché si pensa che in tal modo l’Italia andrà molto meglio». E nel video che trovate sul sito, Nadia Sa’a scuote la testa mentre dice: «Mi sento italiana, ma il razzismo e la frustrazione aumentano. Noi vogliamo far crescere i nostri figli qui, ma se il contesto non cambia, allora…». Vogliamo perdere anche gli immigrati qualificati? Avanti così.

 

I corpi dei famosi

Una missione di testimonianza e monitoraggio nella zona Sar del Mediterraneo occidentale, questo è l’obiettivo di Mediterranea. A raccontarci il progetto, uno dei suoi sostenitori: lo scrittore Sandro Veronesi, che a Radici ha dichiarato: «L’intenzione di salire a bordo non è stata manifestata per fare da scudi umani (contro chi?) bensì per conferire l’autorevolezza del testimone diretto alle parole con cui intellettuali, scrittori e donne e uomini di cultura hanno il dovere di contrastare le politiche scellerate di rimozione del problema rappresentato dai naufragi e dalle morti che da anni si susseguono in qual braccio di mare. A bordo di questa nave ora c’è Elena Stancanelli, che fa parte del nostro gruppo, chiamato #Corpi, proprio per chiarire che, oltre che la lingua e il nome, è giunto il momento, per chi si oppone a questo andazzo, di metterci il corpo».

 

Questionario di Radici

Stefano Olivari è il segretario della Fim-Cisl di Brescia, provincia con uno dei più alti tassi di lavoratori stranieri. Per questo motivo abbiamo chiesto a lui una valutazione sull’integrazione e la crescita dei nuovi italiani nelle imprese. E a Radici ha spiegato che nelle aziende si assiste sì, a un aumento delle discriminazioni, ma si è creato un ascensore sociale che sta portando molti lavoratori stranieri ad avere ruoli più qualificati. Non solo più come operai e impiegati, ma anche come dirigenti.

 

Un altro giorno di morte in America

Il giornalista inglese del Guardian Gary Younge ha preso un giorno qualsiasi del 2013 ed è andato a vedere chi fosse morto sotto i colpi di un’arma da fuoco negli USA tra i giovani e i giovanissimi. Su dieci ragazzi morti, sette erano neri. Radici ha recensito il suo libro.

 

E a proposito di razzismo, vi segnalo questa iniziativa organizzata da Marco Vigevani, responsabile degli eventi e dei programmi della fondazione del Memoriale della Shoah di Milano. Si tratta di un ciclo di incontri che ha come titolo: “Premesso che non sono razzista. Come nasce il pregiudizio e come combatterlo”. Per seguirli, potete iscrivervi a questo indirizzo: prenotazioni@memorialeshoah.it.

Lunedì 15 ottobre interverrà lo scrittore Massimo Recalcati, che analizzerà le paranoie personali che proiettiamo sul nemico, sull’infedele, sul migrante. I nostri demoni con cui prima o poi dovremo fare i conti.

 

Dona a chi ami ali per volare, radici per tornare e motivi per rimanere

(Dalai Lama Tenzin Gyatso)