C’è un prima e c’è un dopo, iniziato già oggi. Il Coronavirus non ci ha lasciato solo lutti e isolamento sociale. Ci ha costretto, dallo smart working alla digitalizzazione degli aspetti più elementari della nostra vita (come le app per calcolare la fila davanti al supermercato), a un salto generalizzato dall’età della pietra a quella del silicio.
Con tutto quello che comporta, come spiega Chris Richmond Nzi, che a Bologna ha fondato Mygrants, una piattaforma che aiuta i richiedenti asilo e offre alle aziende delle eccellenze lavorative:
In Italia non c’è la stessa possibilità di connessione mentre questa situazione ci porta a switchare, a passare dall’off line all’on line. C’è il rischio che si allarghi la forbice tra chi è digitale e chi no.
Chris Richmond Nzi, 34 anni, ivoriano, doppio passaporto americano e svizzero, laurea in Diritto Internazionale e Diplomazia, ex funzionario di Frontex, è digitale da sempre. Ma ammette che non è così per molti nuovi italiani o per migranti e richiedenti asilo che transitano sulla sua piattaforma: «Molti preferiscono ancora guardare ai lavori tradizionali. Siamo pochissimi a lavorare nel digitale. E l’utilizzo di Internet per molti è ancora legato solo ai social, a qualcosa di futile. In certe aree del mondo, dove la Rete ha un costo maggiore, se ne fa un uso più costruttivo per non sprecare risorse». Mygrants, che connette oltre 70mila utenti e centinaia di aziende, anche ai tempi del Coronavirus, è un laboratorio di iniziative: «Siamo nati digitali. Un terzo dei nostri collaboratori non li ho mai visti di persona. I nostri servizi sono disponibili come tre mesi fa. Certo che ne abbiamo risentito, alcune progettualità sono in stand by. Altre ci stanno impegnando molto. Abbiamo un progetto in corso con una multinazionale nostra partner per digitalizzare un milione di italiani».
Dal suo punto di vista, l’accelerazione ad essere digitali imposta dall’autoisolamento per essere completa ha bisogno ancora di molti passaggi: «La scuola, ad esempio, come pensa di gestire il passaggio all’online? Se l’accesso a Internet è un diritto fondamentale, chi mette a disposizione gli strumenti? Cosa intende fare il pubblico? Questo è un punto di non ritorno. È impensabile che a scuola si torni a fare lezione come prima. Ma quello che è successo al sito dell’Inps dimostra che il Paese non è pronto. C’è un problema di connessioni wi-fi. Le città non offrono questo servizio. È un costo che devono affrontare i cittadini».
Alla fine la domanda che tutti dovremmo farci è se a questo punto la democrazia passa anche attraverso l’accesso a Internet. Il fondatore di Mygrants ne è sicuro: «È la super domanda che ci coinvolge tutti. Il digitale può rendere la democrazia più partecipata. In Brasile e Sierra Leone già si vota on line». Ma enunciarlo non basta. Ci sono considerazioni, nate dall’osservazione di quello che sta succedendo oggi, che impongono alcune riflessioni.
Intanto se deve essere un processo democratico, tutti devono partecipare e nessuno può restare indietro. Quindi torniamo al discorso di prima sull’accesso a Internet e chi lo deve favorire
Ma accedere a Internet non significa via libera nel buttare qualunque cosa venga in mente sul web, senza fare prima un ragionamento. Spiega Chris Richmond Nzi: «Non tutti abbiamo le stesse conoscenze sugli stessi argomenti. Come si fa a dire la propria su tutti i temi? Ognuno dovrebbe essere più responsabile. Proprio per questo in Internet ci sono troppe informazioni. Bisogna distinguere ciò che è vero dalle fake news. Bisogna avere gli strumenti per capire cosa cercare e cosa si trova».
Ma c’è un’altra considerazione che il fondatore di Mygrants vuole fare all’alba di una nuova era digitale:
Quando si discute di queste cose non si può prescindere dal trattamento dei dati personali. Mi spaventa l’uso dei dati che viene fatto in Cina. Percepisco che in certi Paesi si usino questi momenti di crisi per un maggior controllo attraverso i dati acquisiti. E questo non va bene