Due ambienti perfettamente sterilizzati: nel primo, saldati a terra, due enormi mescolatori lavorano il timolo con altri elementi; nel secondo, macchine altamente innovative confezionano la gelatina creata dalla fusione in piccole vaschette. Da qui il prodotto raggiunge gli alveari di mezzo mondo per salvare la vita delle api dalla Varroa, una malattia endemica mortale provocata da un acaro parassita.
È questa la trincea da dove Abdel Belaichi, 46 anni di Fez (Marocco), combatte la sua personalissima battaglia a favore dell’ambiente planetario, facendo funzionare, ogni giorno e a pieno regime, queste macchine.
Tolti mascherina, camice, guanti e calzari, spiega a NRW che il tema dell’ambiente e della sua conservazione è importante e fondamentale qui in Italia. E lo dovrebbe essere in tutto il mondo.
Sono felice di contribuire a questo progetto che significa prestigio e crescita economica per l’Italia, mio secondo Paese, e per l’azienda che mi ha assunto
Abdel Belaichi è arrivato in Italia 13 anni fa a Fornovo San Giovanni: un comune di quasi 4000 anime sprofondato nella Bassa Bergamasca che, in pochi anni, è divento un polo chimico di importanza nazionale. Pur con l’incubo del Covid, qui si è andati avanti per non perdere il treno dell’economia e dell’innovazione. Nei mesi scorsi la Cicieffe srl, officina chimico farmaceutica dove lavora Belaichi, ha prodotto igienizzanti per far fronte alla crisi sanitaria e contemporaneamente ha mandato avanti questo progetto di innovazione e di industrializzazione.
Questo farmaco è la conseguenza della Brexit. La società inglese Vita Europe, azienda leader mondiale, dopo il divorzio di Londra dall’Europa, ha infatti scelto di affidare questo lavoro proprio alla Cicieffe, guidata da Maria Vittoria Favini, spostandone la produzione in terra bergamasca dall’Inghilterra.
«Credo che l’innovazione tecnologica sia il vero futuro per tutti noi. Bisogna puntare su questo anche per i giovani di qui, indipendentemente dalla provenienza. Siamo tutti sulla stessa barca. Questa à la nostra unica strada di uscita», spiega Abdel Belaichi. «Il mio primo figlio, nato in Marocco ma vissuto qui da quando aveva sei anni, ora frequenta il corso di ragioneria nell’istituto di Treviglio. Terminate le scuole superiori, voglio che si iscriva all’università. La formazione e l’innovazione sono i punti principali su cui questa nostra società deve insistere».
Noi che veniamo da altre realtà dobbiamo spingere i nostri figli a studiare, studiare e studiare. Lo ripeto tre volte perché lo ritengono fondamentale . Mi dispiace sempre sentire che questa nostra Italia ha bisogno di medici, di ingegneri e di professionisti che vengono dall’estero. Loro, i miei figli, devono essere a tutti gli effetti italiani. Devono imparare queste professioni così importanti per la vita del loro Paese, che è l’Italia. Devono essere le nuove forze
«Ho avuto pochi problemi ad integrarmi. Qualche difficoltà solo con la lingua. Ho frequentato i corsi serali di italiano e così mi sono inserito bene anche grazie all’aiuto di amici italiani. Sono passato dalle agenzie, alle cooperative fino a trovare questa collocazione che mi ha dato grandi soddisfazioni».
Una famiglia italiana
Dopo il ricongiungimento con la moglie e suo figlio, qui sono nate altre due bambine. La famiglia oramai si considera italiana.
Quando d’estate porto i miei figli in Marocco per le vacanze, i figli mi chiedono, quasi subito, di tornare a casa loro, cioè in Italia. Loro non parlano in arabo: solo l’italiano. E a volte, a tavola, scappa anche qualche termine in bergamasco
«Credo che la mia integrazione sia completa», aggiunge Abdel Belaichi mentre si rimette tutti i dispositivi di protezione per ritornare alle sue macchine. «Lavoro benissimo in un’azienda dove sono quasi tutte donne: c’è un grande rispetto. Tra l’altro produciamo anche molti prodotti veterinari per cani e gatti e animali di compagnia. Un segno di civiltà per tutti».