Laurel Evans, texana di settima generazione, è una food blogger, volto televisivo, autrice di libri e docente di cucina. Dal 2004 vive a Milano, dove era venuta a studiare e dove ha incontrato il suo futuro marito.

In Italia si è resa conto di quanto sia distorta la concezione che si ha nel nostro Paese della cucina americana, perciò ha deciso di dedicarsi alla pubblicazione di due libri di ricette, andando oltre agli stereotipi (e agli sguardi scettici di noi italiani)

Risultato? Sconsigliato visitare il suo blog, Un’americana in cucina, se si è a digiuno.
Laurel Evans sarà una dei relatori che NRW ospiterà nel suo workshop “Diversity leadership nell’arte” che si terrà il 29 ottobre alla Fondazione Catella, in collaborazione con il Consolato americano a Milano.

Evans e la cucina per sentirsi a casa

Laurel Evans ha dovuto lottare parecchio prima di riuscire a chiamare Milano legalmente casa sua, ed è una scelta che ripeterebbe senza esitazione. Rimane però la sensazione di chi espatria «ho sofferto la crisi identitaria di tutti i migranti: ti senti a casa ovunque e al tempo stesso non ti senti mai a casa da nessuna parte». Da qui la volontà di dedicarsi alla cucina, «per nostalgia di casa, per sentirmi meno lontana e al tempo stesso creare una community anche se virtuale. Un modo come tanti per costruire un ponte tra culture, per conoscere meglio la diversità, e andare oltre il pregiudizio». Si può dire che Evans ci sia riuscita. Oggi il suo account Instagram conta oltre 39mila followers e il suo blog raccoglie centinaia di visualizzazioni tutti i giorni. E chissà che con le sue ricette non sia riuscita a far sentire qualcuno meno solo.

Laurel Evans, migrante di serie A

Evans come tutti i migranti soffre la lontananza del suo Texas, e come tanti ha dovuto affrontare la burocrazia italiana che quando si tratta di concedere la cittadinanza raggiunge picchi di malfunzionamento che purtroppo tutti coloro che hanno affrontato questo percorso conoscono. «Io ho il lusso di essere americana, e per qualche motivo un americano gode di una certa benevolenza in questi casi», perché in fondo il colore della pelle e la terra di nascita sono elementi che dividono i migranti in due grandi insiemi, “stranieri” e “più stranieri”.

Racconta Evans: «Ero indispettita e dispiaciuta da questo favoritismo, arrivavo negli uffici o in questura e mi invitavano a saltare la fila, solo perché la persona davanti a me aveva il capo coperto o la pelle scura». Una testimonianza, quella di Evans, di privilegio bianco alla dogana.

Eppure io sono una di quelli fortunati: bianca, senza difficoltà economiche, e con un marito italiano che mi ha agevolato l’ottenimento della cittadinanza. Ma la discriminazione parte anche da queste piccole cose, da una frase detta al mercato che non ti fa sentire benvenuta, da un trattamento diverso. È un accumulo di piccole violenze quotidiane

Politiche d’inclusione a confronto

Possibile imitare gli Stati Uniti per una società meno discriminante? «In America il razzismo c’è, e neanche poco. Lo abbiamo visto con BLM e con la violenza che hanno subito questi movimenti. Quello che dovremmo imitare è una struttura legislativa e lavorativa più tutelante». Una società, quella americana, che il multiculturalismo ha avuto tempo di digerirlo e plasmarlo da più generazioni e che è più abituata a vedere ai piani alti del mondo lavorativo persone appartenenti a minoranze. Ma da imitare resta solo un modello per cui «anche se sei razzista nella vita, sul posto di lavoro semplicemente non sei autorizzato ad esserlo». Altrimenti entra in movimento un meccanismo di tutela contro le discriminazioni che in linea di massima funziona. Eppure neanche questo può risolvere del tutto la piaga atavica che colpisce l’America di oggi, secondo Evans: «L’America ha un peccato originario troppo grande, lo sterminio degli indigeni e la schiavitù, e gli effetti li abbiamo ancora oggi davanti agli occhi».

Workshop e progetti futuri

Il confronto tra le politiche d’inclusione americane e quelle italiane sarà uno degli argomenti che Laurel Evans tratterà nel corso del nostro workshop del 29 ottobre, nell’ambito del progetto “Diversity leadership. Inspiration from both sides of the Atlantic for a new generation of leaders”, e con l’occasione racconterà dell’obiettivo che ha appena raggiunto con la recente pubblicazione del libro Liguria: the cookbook. Per Evans è un sogno che si avvera, un progetto per lungo tempo corteggiato: «Parlare di cucina italiana agli americani vuol dire andare incontro a molta competizione. Ho scelto di partire dal particolare, raccontando loro le delizie della cucina ligure».