Elisa Amoruso
Sirley
2020 Fandango
pagine 160 euro 15
Quando si ha undici anni il colore della pelle conta meno di niente. Sono i capelli ricci di Sirley, la tredicenne che abita nel palazzo di fronte, ad incuriosire, anzi ad attrarre Nina, una ragazzina romana al centro di una tempesta familiare. Dal centro di Roma, dove abitava quando i suoi genitori erano ancora una coppia, Nina viene catapultata nella periferia della Capitale, casermoni di cemento, prati dove non cresce più niente, carcasse di auto, mille etnie, i profumi speziati di cento cucine. Tra tutto questo spicca una ragazzina colorata, pantaloni fucsia e maglietta gialla, arrivata dalla Guyana Francese, il Paese Sudamericano oltre l’Atlantico. Il suo sogno è quello di diventare almeno per una volta la Madonna nella processione di quartiere. I suoi sogni si mescoleranno con quelli di Nina, l’amica trovata per la strada con la quale condividere tutto. Il miscuglio di esperienze e di culture sarà fondamentale nella crescita delle due ragazzine appena adolescenti sulla strada per diventare donne. È un libro dal tocco cinematografico, quello scritto da Elisa Amoruso, sceneggiatrice e regista prima ancora che scrittrice. Inevitabile per Sirley diventare un film diretto dalla stessa Elisa Amoruso e interpretato da Micaela Ramazzotti, in uscita questo mese. Fabio Poletti
Per gentile concessione dell’autrice Elisa Amoruso e dell’editore Fandango pubblichiamo un estratto del libro Sirley.

Ha i capelli ricci e neri, i pantaloncini fucsia, una maglietta gialla le fa risaltare la pelle scura. Le cuffie di un walkman in testa, balla. Si muove morbida e leggera, al punto che quasi sento la sua musica. È lontana, ma la sua pelle suda. Non ho mai visto una pelle di quel colore, non è nera, ma non è neppure bianca. Smette di ballare, sorride forte e solleva la faccia. Mi vede, un punto irraggiungibile, dall’altro lato del cortile, tre piani sopra di lei. Ha gli occhi neri e un modo di guardare così intenso che sembra annullare la distanza. Mi vergogno di essere in pigiama. Nella grossa aiuola al centro partono gli irrigatori. Un rumore intermittente di schizzi d’acqua.
È il 1° maggio del 1989 e la ragazzina che mi guarda è Sirley.
A scuola non ci sono le maestre, ma le suore. Ci dobbiamo mettere il grembiule e respirare un’aria di candeggina. I crocifissi sono appesi un po’ ovunque e ho la sensazione che siano loro a mandare quell’odore strano. Lo stesso dell’acqua santa che resta sui muri della cappella al piano terra. Lorenzo non ci vuole andare, le odia le suore. Risponde male e si fa mettere in punizione. Me lo portano in classe spesso. A volte ha le guance rosse, ma mamma dà sempre ragione a loro. Lorenzo è una peste e, se ogni tanto qualcuno gli dà uno schiaffo, non succede niente, anzi forse è meglio perché lei non ci riesce, non lo punisce mai. Gli schiaffi li dà solo a me.
Le suore parlano in dialetto napoletano come quello di nonna, la mamma di papà. Una lingua spezzata e musicale insieme, piena di parole che non capiamo. Scétate!, dice la suora ai bambini che stanno imbambolati in classe. T’agg scetat?, insiste e quelli dopo un po’ reagiscono. Io ho paura. La suora parte lenta, più il suono della voce si alza, più c’è il pericolo che ti colpisca. La mano pesante sulla testa o diritta in faccia, o su un braccio. Non lo so che succede dopo perché chiudo gli occhi. Chiudo gli occhi anche quando lo fa mamma. Papà non l’ha mai fatto, nemmeno quando mamma gliel’ha chiesto, di fare lui il duro al posto suo. Sirley entra in classe verso le dieci e mezzo. Non ha il grembiule, qualcuno ha cercato di schiacciarle i capelli con una molletta. Si guarda intorno. Mi osserva, ma non dice niente, forse non mi ha visto ieri lì sul balcone. Ha la maglietta gialla e i jeans con un buco sul ginocchio, le Superga bianche sporche. La mettono al primo banco. La pelle non è come la nostra, ma non è l’unica cosa. Sirley è vestita come una ragazza, ha il corpo di una ragazza e noi siamo in quinta elementare.
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