Siamo a febbraio e questo in Italia significa che è tempo di Sanremo. Lunedì scorso infatti, il sipario dell’Ariston si è aperto sulla sua 70° edizione e ha rivelato i nomi dei super ospiti, fra cui il trapper italo-tunisino Ghali.

Notizia bizzarra se pensiamo che proprio un anno fa la vincita di Mahmood con il brano Soldi scatenò una veemente (e un po’ demente) polemica nel panorama italiano. Per chi non lo ricordasse, Mahmood è il cantante italo-egiziano che subito dopo la vittoria fu investito e vessato da un coro di domande rispetto alla sua identità culturale. Della serie ti senti più italiano o più egiziano e così via.

Domande a cui lui ha sempre risposto dicendo di sentirsi italiano al 100%.

Durante la scorsa edizione di Sanremo si è molto discusso di identità etnica e culturale. Molti hanno contestato la presenza di parole arabe all’interno della canzone vincitrice del Festival della musica italiana.

Il testo in arabo in realtà era limitato al seguente fraseggio: Waladi waladi habibi ta’aleena. Traducibile in: ‘Figlio mio, amore, vieni qua’. Frase che il padre di Mahmood gli diceva da piccolo.

Dodici mesi dopo questi fatti, ritroviamo sul palco un altro rappresentante delle seconde generazioni, Ghali, questa volta non come concorrente ma nelle vesti di super ospite.

Ci si potrebbe chiedere se sia stata solo una scelta di marketing o si voglia anche favorire l’inclusione delle nuove generazioni di italiani.

Eppure i testi delle canzoni del Ghali degli esordi erano molto espliciti nel ribadire la sua doppia identità italo-tunisina e nel rivendicare le richieste dei ragazzi di seconda generazione.

In Ninna Nanna, Wily Wily, Habibi, troviamo versi in cui l’artista parla della sua condizione di ragazzo della periferia milanese, un po’ italiano un po’ tunisino, dove le rime in italiano si mescolano sapientemente a quelle in arabo.

Ma la sua posizione si esplicita ulteriormente con Cara Italia, diventata un inno allo ius soli.

Se da una parte infatti si indigna con i giornali per come raccontano lo straniero, dall’altra riconosce l’Italia come la sua patria:

C’è chi ha la mente chiusa ed è rimasto indietro, come al Medioevo / Il giornale ne abusa, parla dello straniero come fosse un alieno / Senza passaporto, in cerca di dinero / Oh eh oh, quando mi dicon va’ a casa! / Oh eh oh, rispondo sono già qua.

Ma fa anche di più. In concomitanza con l’uscita del brano, pubblica un post su Instagram, a mo’ di lettera aperta all’Italia.

Nel Ghali più recente, tuttavia questi temi risultano meno presenti. I primi due singoli nel nuovo album, DNA, in uscita il prossimo 20 febbraio, si allontanano nettamente dagli argomenti un tempo a lui cari. Infatti solo in Flashback fa un veloce accenno alle questioni dei ragazzi di seconda generazione.

Intervistatori mi chiedono, Ius soli? / Credo soltanto che siamo più soli.

Insomma, un Ghali meno impegnato quello degli ultimi tempi, che accetta di salire sul palco di Sanremo per promuovere l’uscita imminente del suo prossimo album.

Un evento invece in cui sarebbe importante ribadire i concetti delle sue prime canzoni, in cui la Cara Italia, patria affettiva, per molti non lo è ancora giuridicamente.

Un’Italia in cui un ex ministro citofona, guarda caso, a un ragazzo tunisino proprio come Ghali, per chiedergli se spaccia. Un ragazzo di nome Yassin, chiamato da tutti i giornali semplicemente “il tunisino”, che poi tunisino non è dato che è cittadino italiano, nato in Italia.

Ebbene, sarebbe davvero potente vedere un’artista come Ghali perorare la causa del milione di italiani senza cittadinanza. E delle migliaia di ragazzi cittadini italiani sulla carta ma ancora invisibili e mal raccontati a livello mediatico.

Questa sera la nostra speranza è quella di vedere il Ghali delle origini, un simbolo di un’Italia meticcia, fatta di diversi colori, storie e radici. Perché se Sanremo rappresenta l’Italia, beh, l’Italia sono anche gli italiani senza cittadinanza.