Un leggero accento fiorentino acquisito nei due anni passati a Firenze, il musicista e pittore Pejman Tadayon, è arrivato in Italia dall’Iran nel 2003 ed è stato folgorato dalla bellezza del posto, della gente e soprattutto dell’arte. Ora vive a Roma dove ha portato la musica tradizionale iraniana su cui si è formato, ed ha aperto una galleria d’arte dove ha installato dei dipinti sonori. Il suo stile è eclettico ma c’è una parola chiave che attraversa tutti i suoi lavori: sufi, il punto di incontro tra la cultura mediorientale e quella europea.

Sulle orme di Michelangelo

«Sono venuto in Europa per trovare l’arte. La prima cosa che ho fatto quando sono arrivato è cercare la casa natale di Michelangelo. A Firenze ho frequentato l’Accademia di Belle arti per studiare pittura e allo stesso tempo ho fatto un percorso musicale». Pejman Tadayon aveva 24 anni all’epoca. Nato a Esfahan, la seconda città dell’Iran dopo Teheran, una città d’arte come Firenze, spiega lui. «Si somigliano per molti aspetti, il fiume, i ponti, i palazzi d’epoca». Lì ha studiato la musica tradizionale persiana che non ha abbandonato al suo arrivo in Italia, dove il genere era praticamente sconosciuto. «Ho incontrato una ragazza romana che è diventata la mia ex moglie e mi sono trasferito all’Accademia di Belle arti di Roma. Ma in quegli anni mi sono concentrato di più sulla musica. Ho trovato un maestro iraniano molto bravo e ho continuato a studiare con lui».

Musica popolare tra Oriente e Occidente

Per presentare al meglio il suo lavoro e renderlo accessibile a tutti, Tadayon ha fatto un lavoro accurato di ricerca sulla storia musicale mediorientale ed europea. «A Roma ho percepito interesse per la musica tradizionale iraniana ma ho capito che dovevo trovare un linguaggio personale. Ho creato un ensemble in cui la musica persiana è, diciamo, adattata all’orecchio del pubblico italiano. Ho cercato le radici comuni di queste due culture antiche, risalendo anche alla musica medievale italiana». Il musicista ci racconta dei suoi numeri progetti sulla musica mediterranea, napoletana e salentina. L’obiettivo è diffondere una nuova visione della musica popolare, che in Italia è ancorata a un’idea polverosa da festival kitsch. «I Paesi nordeuropei hanno un concetto contemporaneo dei loro strumenti tradizionali mentre in Italia la musica popolare è considerata di seconda mano e pochi artisti italiani portano avanti questo patrimonio, come ha fatto Fabrizio De André, per esempio. In Germania o Svizzera adorano questo genere e lo sanno valorizzare». La colpa è anche dei miti anglosassoni, precisa Tadayon, che hanno preso il sopravvento sui gusti globali per via anche di una politica colonizzatrice.

Con tutto il rispetto che porto per Beatles e Rolling Stones, nello stesso momento in Madagascar o in India magari c’erano altri quattro giovani con altrettanto talento ma che non hanno avuto lo stesso supporto di cui erano capaci le case discografiche inglesi

Il sufismo di Bach

«In tutti questi anni ho cercato una parola che racchiudesse il mio pensiero ed è sufi» ci racconta Tadayon accompagnandoci nelle pieghe profonde della sua arte. «Volevo parlare di una cultura ponte tra i paesi del Medioriente e l’Europa, attraverso le porte della Spagna e dell’Italia, ed è il sufismo. Io non sono religioso ma nei rituali cerco di prendere la storia e l’arte. Pensando ai riferimenti italiani, anche Franco Battiato è andato verso il sufismo perché ci ha visto qualcosa di culturale, la danza e la musica sufi sono state una fonte di ispirazione per lui». La musica colta e quella sacra coincidono per molti versi, osserva Tadayon. «La musica classica persiana si può chiamare colta ma arriva dalla letteratura antica che è legata alla spiritualità e al sufismo. Non è la spiritualità come viene concepita in Occidente, considerata come meditazione magari. La spiritualità può essere anche in un brano di Morricone o nell’ascolto di Bach. Il confine tra musica colta e musica spirituale è molto sconosciuto ancora».

Iran e Italia

Quando Rumi incontra Francesco è il titolo di un docufilm a cui Tadayon ha lavorato a fianco del regista egiziano Mohamed Kenawi. Si tratta di un incontro immaginario tra due grandi figure simboliche delle culture d’Oriente e Occidente, il mistico persiano Rumi e San Francesco d’Assisi. «Questi due esseri umani sono accomunati da un grande coraggio. Rumi era un sufi fuori dagli schemi e San Francesco per me è una figura davvero importante. Il loro incontro rappresenta un avvicinamento di culture». Accostare due figure di questa portata provenienti da mondi apparentemente tanto diversi ci dà lo spunto per parlare di identità. La definizione dell’identità non è certo una questione geografica, secondo Tadayon, ma culturale. «Siamo nati in posti diversi, per questioni geografiche abbiamo accenti differenti e il colore della nostra pelle ha altre sfumature ma alla fine dentro di noi c’è un bellissimo mondo che ci accomuna. Siamo come fiori con profumi diversi ma belli allo stesso modo». In Iran torna spesso ma confessa che quando si trova lì sente che ormai sono cambiate le sue abitudini.

Amo sia l’Iran sia l’Italia, mi sento di appartenere a un posto che è una via di mezzo tra i due Paesi. Le radici contano ma anche i fiori che sei tu a creare

 

Foto: Francesca Riccobelli