C’è una scena all’inizio della quinta stagione di This is us che potrebbe essere considerata emblematica molto di ciò che si è visto in alcune nuove serie su Amazon Prime, che mostrano una scrittura meno compiacente nei confronti dello spettatore bianco e capace di assumere un punto di vista diverso. È il giorno del quarantesimo compleanno dei Big Three e Randall se ne sta andando dalla baita dei Pearson per tornare a Chicago dalla sua famiglia.
Kate corre dietro a Randall perché è preoccupata per quello che il fratello deve provare in quel momento, a pochi mesi dall’uccisione di George Floyd, nel mezzo delle proteste. E si scusa con lui. Randall allora la fa riflettere sul fatto che Floyd non è il primo nero a essere ucciso davanti alle telecamere, tuttavia è la prima volta lei che sente il bisogno di dirgli qualcosa
«Stavolta sembra diverso», si lascia sfuggire stupidamente Kate e Randall, a quel punto, le spiega che – per lui, l’unico nero dei fratelli Pearson – non lo è. E che se prima non hanno mai parlato di cose simili in famiglia è perché lui odiava farli stare male e vederli sconvolti, ma questa volta non abbraccerà Kate per rassicurarla di essersi comportata bene. Penserà a sé stesso e al suo malessere. In questa quinta stagione conosceremo un Randall meno incline al compromesso e alla comprensione nei confronti degli errori altrui. E Sterling K. Brown, con i suoi silenzi carichi di tensione, riuscirà a far sentire a disagio anche lo spettatore medio, mettendo in discussione anche il suo bisogno di sentirsi nel giusto.
La brutalità di Them
Se il family drama della Nbc fa appello al sentimento, la serie antologica originale di Amazon Prime Them punta allo stomaco. Come ha avuto modo di spiegare il suo creatore, Little Marvin (afroamericano di Los Angeles), ai microfoni di Deadline.
Non avevo alcun interesse a edulcorare la verità. Questa serie non è stata fatta per confortare né per consolare né pacificarvi. È stata fatta per scuotervi e svegliarvi
Protagonista di Them è la famiglia Emory, che ha lasciato il Sud delle leggi “Jim Crow” per trasferirsi in un sobborgo bianco di Los Angeles, dove subisce una serie di angherie indicibili da parte del vicinato. E questo dovendo fare i conti anche con una serie di presenze soprannaturali dentro casa che sono lì a ricordare loro la violenza che hanno vissuto in North Carolina.
Coloritura horror a parte (che è comunque riuscita a terrorizzare nientemeno che Stephen King), la messa in scena dell’odio razzista nei confronti di qualcuno che inizialmente rinuncia persino a difendersi per non provocare altro odio, è disturbante. E dopo aver fatto contorcere lo stomaco si pianta nella memoria per restarci.
Harlem: le cose come sono
Citare il Sex and the City afroamericano in una carrellata di serie scritte per mettere in discussione e aprire l’orizzonte e la sensibilità del telespettatore potrebbe sembrare avventato.
Eppure anche Harlem – dietro alla quale c’è un’altra autrice e produttrice afroamericana: Tracy Oliver – ha un punto di vista ben focalizzato e su una piattaforma generalista come quella di Amazon Prime apre a discorsi sull’importanza per i membri della comunità queer nera di avere un’app di social dating specificatamente dedicata e al concetto di spazio protetto
Così come può turbare la scelta di una delle protagoniste di rinunciare a una relazione con una donna per non rientrare nel cliché della persona di successo che frequenta solo bianchi – e che nessuna delle sue amiche cerchi di dissuaderla. Ma è una realtà che esiste. E vederlo sullo schermo ci potrà anche far sentire a disagio con noi stessi e non potremo capirne fino a fondo le implicazioni, ma è finito il tempo delle rassicurazioni.