La trama della miniserie Lupin in onda su Netflix non è la cosa che più balza agli occhi. Una specie di guardie e ladro 2.0 liberamente ispirata ai libri di Maurice Leblanc sul rapinatore gentiluomo, in tuba e monocolo. Colpisce che a interpretarlo sia un afrodiscendente di seconda generazione di origini senegalesi e mauritane come Omar Sy, lo straordinario attore nato nella Île-de-France diventato notissimo con il film Quasi amici.

A differenza di Bridgerton, altra serie di successo targata Netflix, dove i protagonisti sono afroamericani, partendo da un appiglio con qualche base storica sulla discendenza non bianca della regina Charlotte in piena era Regency, Lupin non è solo un protagonista casualmente nero. Ma un figlio delle discriminazioni razziali, che si fa ladro per vendicare il padre morto in prigione senza alcuna colpa

Color blind o colour conscious

Per non spoilerare troppo diciamo che nella più recente cinematografia, mai così aperta nell’azzerare le differenze etniche, si scontrano due scuole di pensiero. Una alla Bridgerton, detta “color blind”, dove il colore della pelle non viene minimamente preso in considerazione, scardinando lo stereotipo sull’attore nero che deve per forza essere un domestico, uno spacciatore o un terrorista. L’altra scuola si definisce “color conscious”, dove l’assenza di diversità non deve per forza azzerare le identità, almeno quella culturale.

Se il mondo di Bridgerton ci rende tutti uguali ma nasconde lo schiavismo inglese cancellato pochi decenni prima ma non ancora nelle Colonie, quello di Lupin è ancorato nella storia, nel vissuto e pure nelle infamie subite da chi è nato nero. Siamo ovviamente tutti uguali in quanto a dritti, ma ognuno è diverso a modo suo.

Se non bastasse lo sdoganamento nella pubblicità che si apre a protagonisti di altre etnie magari pure per esigenze di mercato, le serie televisive iniziano a raccontarci un mondo diverso, più vicino alla realtà sociale e multiculturale dei nostri tempi

Lovecraft country su Sky, prodotta dal genio di J.J. Abrams, l’ideatore bianco di Lost, va pure oltre e racconta della corsa ai poteri magici di bianchi e neri, i primi per ambizione di dominio, i secondi per affrancare la propria comunità. Comunque la si guardi siamo di fronte a una rivoluzione epocale nella rappresentazione per immagini delle dinamiche sociali e multiculturali. In cui, spiace dirlo, aspettiamo che battano un colpo la cinematografia e le produzioni televisive del nostro Paese.

Foto: Netflix