Pennellate acriliche bianche e nere da cui spuntano colori acidi. Ritratti di donne, solo donne afrodiscendenti, dallo sguardo forte o dolce. Luigi Christopher Veggetti Kanku, quarantenne, nato in Congo e poi adottato da una famiglia italiana, con i pennelli non racconta solo una storia: «L’arte è uno strumento sociale, può cambiare le cose. Non può stare in disparte». Dopo aver esposto a Londra, Berlino, New York, Göteborg, la sua ultima personale Sottopelle ha avuto grande successo e si avvia a percorrere la Penisola, da Roma al Salento, a Palermo e poi ancora al Nord.
Come è diventato artista?
«Sostanzialmente da autodidatta. Alle superiori studiavo grafica pubblicitaria. Poi nel 2001 ho partecipato a un laboratorio del maestro Vanni Saltarelli che mi ha incoraggiato ad andare avanti. Avevo iniziato a dipingere in quinta superiore. Forse perché non ero un gran chiacchierone, parlavo poco. Era il mio modo di comunicare. All’inizio facevo ritratti, li ho sempre prediletti. Volti drammatici e problematici».
Usa molto i colori acrilici…
«Sono più veloci, più immediati. Aiutano a non stancarsi, si fa prima a vedere il quadro finito. Poi, certo, uso anche olio, carboncino…».
Perché ha chiamato Sottopelle questa sua personale di ritratti di donne afrodiscendenti?
Sottopelle perché volevo andare oltre la superficie, oltre l’estetica. Volevo che si provasse a scavare.
In queste opere il bianco è preponderante.
«C’è molto bianco, mi piaceva che queste ragazze uscissero, risaltassero. Il bianco rappresenta il contesto italiano. Le ragazze sono inglobate nel bianco, ma da lì esce il loro profilo».
Ma poi si intravedono colori vivi…
«Quei colori sono la base, li faccio risaltare con gli acidi. Valorizza il lavoro, dà qualche vibrazione in più».
Perché ha ritratto solo donne?
«Sono partito dall’immaginario della comunicazione pubblicitaria. Le donne nere vengono sempre considerate secondarie, di contorno. Mi piaceva farle diventare protagoniste. Ho ritratto ragazze che conoscevo, alcune le ho trovate su Instagram, una l’ho incontrata davanti a un supermercato».
In un’opera si vede un grande disco rosso contornare il volto di una ragazza.
Il disco rosso rimanda alla Madonna. Rosso, non oro perché sarebbe stato una forzatura. Aida è molto iconica. La Madonna viene sempre rappresentata col velo, è imprescindibile. Ma una musulmana col velo spesso viene percepita come una minaccia. E non si capisce perché.
In un altro ci sono due donne molto vicine. Una di loro ha uno sguardo obliquo molto intenso.
«Sono due generazioni a confronto. Levinia, a destra, ha 30 anni. Sendy ne ha 20. Sono amiche, mi sembravano sorelle. È il quadro più rappresentativo della realtà italiana. Le braccia le incorniciano ma anche le difendono. Lo sguardo obliquo di Sendy rappresenta i giovanissimi di oggi, è uno sguardo pieno di orgoglio, quasi di sfida. Levinia ha uno sguardo più disilluso. Sa che per ogni conquista ci vuole tempo. Una serve all’altra. Ci vogliono sia la forza di Sendy che la maturità di Lavinia».
Alla fine di tutto, cos’è l’arte per lei…
«L’artista può rimanere confinato nelle sue ispirazioni estetiche o nella rappresentazione dei suoi momenti intimi. Ma in alcuni momenti sociali e storici l’artista è doveroso che intervenga. Oggi c’è una forte discriminazione con messaggi negativi, anche razzisti. Bisogna rispondere».