Zhang Changxiao
Sean White
La costellazione del dragone. I segreti delle Chinatown italiane
2020 Piemme
pagine 185 euro 17,50
In questi tempi bui la Cina e i cinesi sono stati oggetto di ogni malevola curiosità. Eppure dei tanti che vivono in Italia, 30mila e passa a Milano, poco meno a Prato, sappiamo poco o niente. E quello che sappiamo è spesso frutto di stereotipi che diventano vere e proprie leggende metropolitane. Tipo che i cinesi mangiano i cani, cosa marginale in Cina figuriamoci nelle Chinatown italiane. Per non dir di peggio, dei pipistrelli ad esempio, cosa che avrebbe portato alla diffusione del Coronavirus prima in Italia e alla fine in tutto il mondo. Poi ci sono i cinesi che pagano solo in contanti e che pensano a lavorare e basta, come se non ci fosse un domani. Cosa di per sé già smentita dalle nuove generazioni attente a tramandare la professione di famiglia, ma con un’altra attenzione alla vita vera fatta di mille cose. E poi sì, ultimo stereotipo, i cinesi sono chiusi e non accettano il dialogo, come se la barriera linguistica fosse usata ad arte per costruire un fossato attorno alle comunità.
Spiegare da dove arrivano i luoghi comuni, raccontare le differenze che sono ricchezze, è già un modo per accorciare le distanze e guardare con altri occhi questa comunità sempre più insediata nel nostro Paese come a Prato, dove in Comune ha ben due rappresentanze della comunità cinese.
A Zhang Changxiao, conosciuto con il nome internazionale di Sean White, va il merito di accompagnarci nella sua comunità con uno sguardo diretto, quasi ad anticipare le nostre curiosità e a svelare i nostri pregiudizi. Un modo unico per incontrare i cinesi sospesi tra due patrie, quella che hanno lasciato e quella dove vogliono sempre più essere protagonisti, anche a costo di mescolare la loro cultura d’origine con quella acquisita sul posto. Alla fine ne esce un libro di viaggio che solo Sean White, nato Zhang Changxiao, scrittore, critico musicale e mediatore culturale tra Italia e Cina, poteva scrivere con la sua sensibilità che emerge pure dal suo doppio nome. Fabio Poletti
Per gentile concessione dell’autore Zhang Changxiao e dell’editore Piemme pubblichiamo un estratto del libro La costellazione del dragone.
Immaginate un paese grande come la Cina ma che ha per molto tempo avuto al suo interno grandi sacche di povertà, unite al fattore di una popolazione sempre crescente. Immaginate che lo sviluppo economico, la sussistenza per tutti sia qualcosa non di normale e scontato, ma qualcosa che doveva essere guadagnato col sudore della fronte da ciascuno, ogni giorno. Immaginate che, almeno all’inizio, lo sviluppo economico abbia stentato a prendere il volo, e per il bene di tutti abbiate dovuto stringere i denti, e intanto che vivevate in sei persone nei proverbiali venticinque metri quadrati sognavate la privacy, una casa grande, la tranquillità economica, magari anche un pizzico di belle cose che vi facessero sentire bene con voi stessi. Ecco, è tutto qui. Tanto che fra di noi si è scatenato un tenacissimo spirito di competizione da una parte, e dall’altra abbiamo cominciato ad apprezzare tutti coloro che dimostravano (e talvolta anche mettevano in mostra) la loro indipendenza e la loro ricchezza. Chi non riusciva a guadagnarsi un posto del genere nel mondo, e quindi rimaneva povero, non veniva guardato di buon occhio: ed ecco allora che venivano incoraggiati lo spirito d’impresa, il sacrificio di sé, il lavoro e l’indipendenza.
Ecco perché chi viene in Italia per lavorare non fa altro, nella sua vita qui. Ecco perché vi sembra che solo il denaro sia importante per un immigrato cinese. Chi lavora in Italia generalmente non vede mai la luce del sole, perché che lavori in una cucina, in una manifattura, in un magazzino o in un negozio, generalmente comincia a lavorare che il sole non è ancora sorto, e smette quando è già calato da un pezzo. Quest’uomo del buio in Cina racconterà invece dell’Italia solo cose belle, sfoggerà mocassini, orologi o altri beni di lusso, per mostrare a tutti quanto grande è il successo che ha raggiunto emigrando dalla sua patria, e questo sfoggio di benessere e di cose belle ha pian piano alimentato una certa vanità, e un certo gusto per l’ostentazione in tutti gli strati sociali.
Il lavoro, il sacrificio, non sono quindi finalizzati a se stessi: non è che i cinesi lavorano perché non sanno fare altro, perché sono avidi o perché sono delle macchine pronte a copiare qualsiasi altra scintilla di genialità che riescano a scorgere nei popoli con cui vengono in contatto, no: il lavoro è un modo per scampare alla povertà endemica, per garantire ai propri figli una vita migliore e quindi una rete di contatti (sociali ed economici) migliore, un modo molto concreto di assicurare alle nuove generazioni un futuro più brillante. Per questo accantoniamo le nostre tradizioni per venire incontro a voi; per questo modifichiamo le nostre ricette, alziamo le antenne per captare qualsiasi aspetto della nostra vita possa essere per voi digeribile e soprattutto commerciabile: in quel modo stiamo faticosamente guadagnando un futuro di rispetto, di onore, di riconoscimento. Una base necessaria per qualsiasi altro ragionamento possibile sullo scambio culturale.
Da qui l’altissimo numero di imprenditori fra i cinesi emigrati in Italia: secondo i dati del ministero del Commercio cinese, un emigrato su cinque è un imprenditore, a volte con anche più di un azienda a lui intestate. Moltissime sono donne. Nel 2018 il numero di titolari di imprese individuali anche secondo il ministero del Lavoro italiano erano più di cinquantaduemila con un tasso di crescita del 2,6%; circa la metà sono donne, che rappresentano il 30% degli imprenditori non comunitari di genere femminile in tutta Italia. Oggi queste aziende si occupano soprattutto di piccolo commercio, tessile e produzione di abiti, valigie, scarpe, ristorazione; molti sono parrucchieri, massaggiatori e prestatori di vari servizi. E dato che abbiamo cominciato dagli stracci e abbiamo invece conseguito carriere del tutto rispettabili, a volte an- che discrete somme di denaro, questo certo non ha aiutato il processo di integrazione: forse è la ragione per cui le nostre attività hanno cominciato a essere avvolte nel mistero; forse è da qui che è cominciata la diffidenza verso di noi, il nostro modo di vivere e il nostro successo.
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