Il premio Nobel per la letteratura al poco conosciuto Abdulrazak Gurnah, ha generato un vivace dibattito tra puristi della letteratura e tra chi crede che scrivere non sia avulso dal contesto politico e sociale. A confronto le idee di due firme del nostro giornale, il polemista Sindbad il Marinaio e Michela Fantozzi.
Abdulrazak Gurnah: di Sindbad il Marinaio
Carneade, chi era costui? La domanda retorica che si poneva Alessandro Manzoni si addice ad Abdulrazak Gurnah, il premio Nobel per la Letteratura 2021, nato a Zanzibar ma da tempo trapiantato in Gran Bretagna. Tanto per dire, in Italia sono stati pubblicati solo alcuni dei suoi libri – Paradise, Il disertore, Sulla riva del mare – oltre 15 anni fa da Garzanti. Ma sono ovviamente introvabili. Nel resto del mondo – a parte Gran Bretagna dove insegna a Cambridge, l’India e la sua terra – Abdulrazak Gurnah è altrettanto poco conosciuto.
Agli accademici norvegesi i premi fuori dal coro sono sempre piaciuti
Hanno insignito la massima onorificenza a Bob Dylan e a Dario Fo, uomini di grandissimo spessore nella storia della musica e del teatro, ma che si fa fatica a definirli scrittori. E non l’hanno mai concessa a Philip Roth, morto senza avere il Nobel, ma neppure ad Haruki Murakami o a Don De Lillo, ancora viventi e in attesa. La giuria del Nobel, in questo caso, più che il valore letterario di Abdulrazak Gurnah, premiato più volte in patria ma lontano dalla dimensione internazionale di tanti altri scrittori, ha voluto sottolineare il carattere, diciamo così, politico dell’opera di Abdulrazak Gurnah. La massima onorificenza letteraria gli è stata infatti concessa per
«la sua intransigente e compassionevole capacità di comprensione degli effetti del colonialismo e del destino dei rifugiati nel divario tra culture e continenti»
Insomma un premio molto politicamente corretto. Che il giorno del suo annuncio ha provocato anche diverse voci fuori dal coro sulla pagina Facebook ufficiale The Nobel Prize. Un Francis Villagomez Perez, lancia la provocazione: «Un Nobel senza compromessi? Che ne dite allora di Julian Assange? Perché non ha vinto il premio nonostante sia stato nominato molte volte? Avreste corso troppi rischi?». Un altro, Salah Ahmad Sari, critica che non ci sia solo il valore letterario come metro di giudizio: «Tutti i premi Nobel hanno senso tranne che nella letteratura, perché è politicizzata ed è diventata una questione di gusti di pochi arbitri». Fino al definitivo giudizio di una
Emelyn Arana, che sulla stessa pagina Facebook si chiede: «Il premio Nobel sta perdendo il suo prestigio?». Dubbi e mal di pancia che meritano una riflessione.
E che ci fanno chiedere: ma se Haruki Murakami fosse stato africano e avesse scritto di migranti e colonialismo, invece che giapponese, il premio Nobel lo avrebbe già vinto?
Abdulrazak Gurnah: di Michela Fantozzi
«No, non penso che il colonialismo sia il tema principale dei miei libri. Ho pensato di scrivere di cose che conosco, cose che mi commuovono e che mi interessavano». Così Abdulrazak Gurnah, premio Nobel per la letteratura 2021, ha risposto a una giornalista della Bbc ventitré minuti dopo l’annuncio della sua vincita. Il colonialismo è nell’opera di Gurnah il contesto nel quale l’autore ha vissuto lo sradicamento dalla propria terra, sradicamento che ha saputo descrivere attraverso i personaggi dei suoi libri. Lo scrive su L’Espresso la scrittrice tedesca Helena Janeczek, dove giura di aver ritrovato nei libri di Gurnah l’esperienza di esilio forzato della sua famiglia dalla Polonia a seguito della persecuzione nazista. Janeczek afferma che le motivazioni del Nobel «per le sue capacità di comprendere gli effetti del colonialismo» siano fuorvianti e riduttive, perché Gurnah nelle sue storie parla di esperienze umane universali. Ma che cos’è il colonialismo se non un’esperienza umana?
Gli unici in grado di bollare il colonialismo come un mero argomento sociologico sono i colonizzatori. Il “politicamente corretto” è diventato un bollino di qualità senza significato, una frase fatta che non entra nel merito delle argomentazioni, ma le stronca sul nascere.
È un ottimo escamotage a cui ricorrere per “buttare tutto ‘n caciara”. D’altro canto, Gurnah non è stato il primo scrittore ad aver ricevuto il Nobel per motivi socialmente rilevanti. A Mario Vargas Llosa il premio è stato riconosciuto per “per la sua immagine della resistenza, della rivolta e della sconfitta dell’individuo”, a Herta Muller per aver “rappresentato il mondo dei diseredati” e a Doris Lessing per aver “messo sotto esame una civiltà divisa”.
Alfred Nobel aveva stabilito che il premio letterario dovesse andare a chi “si sia maggiormente distinto per le sue opere in una direzione ideale”
Da cosa è dovuta, quindi, tutta l’indignazione scatenata sui social (e non solo) per il vincitore di quest’anno? Forse è il riconoscimento di un premio così rilevante ad un autore africano e per di più associato al tema del colonialismo, che pizzica le coscienze europee e fa sentire a disagio. «Il colonialismo è un argomento politico, da ricerca sociologica, non è letteratura», scrive sui social Barone Rosso, un indignato medio con la pancia piena e i piedi al caldo. O forse è la razzista presunzione dell’inferiorità dell’africano che, vincendo un premio così ambito, scatena sentimenti di lesa maestà nella mente dei più? «Questo signore è nato in Tanzania ma vive e lavora in UK. Insegna all’università. Non si aggira tra le zebre, ecco. Anzi», si affretta a precisare sui social la signora C. con tante buone intenzioni. E allora chiediamoci: se il premio fosse stato riconosciuto a un signor nessuno europeo, ci sarebbe stata quest’ondata di disprezzo nei suoi confronti?