Il primo film in lingua araba originale Netflix ha il cellulare sulla tavola e qualcosa da nascondere. Il 20 gennaio scorso è stato infatti distribuito in 190 Paesi Ashab wala Aa’az, in arabo “I migliori amici” ma in inglese mantiene il titolo internazionale Perfect Strangers, e ricalca molto fedelmente la trama del Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese del 2016.

Il film è stato campione di incassi in Italia ma soprattutto è entrato nella storia del cinema – e nel 2019 nel Guinness dei Primati – per il suo esorbitante numero di remake

Greci e turchi, ma anche produzioni cinesi, armene e coreane, hanno ripreso la storia della deflagrazione di una cena tra coppie di amici di lunga data a causa di un gioco in apparenza innocente: la condivisione per una sera con gli altri commensali di tutto ciò che passa dai propri telefoni, siano chiamate o messaggi.

Il Perfetti sconosciuti arabo campione di stream

La differenza tra la versione romana e quella di coproduzione saudita-libanese-egiziana sta solo in alcuni dettagli e il punto è proprio questo. Netflix ha scommesso sul successo – e sull’ulteriore pubblicità per il film che avrebbero generato le inevitabili polemiche sul suo contenuto – anche nel  mondo arabo di un film in cui si parla apertamente di omosessualità senza farne una macchietta, di tradimento coniugale, compreso quello da parte di una moglie verso il marito, e di sesso tra adolescenti (facendo giusto sparire il particolare del padre che dà i preservativi alla figlia).

E la scommessa è stata vinta: per la terza settimana di seguito Ashab wala Aa’az è nella top ten degli stream dei film non di lingua inglese in Egitto, Marocco, Bahrain, Giordania, Kuwait, Libano, Oman, Qatar, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, con grandissimo scorno di chi si è mosso per proibirne la visione quantomeno in Egitto

Il cast stellare di Perfetti sconosciuti e le polemiche sessiste

Affidato a un regista al suo esordio sul grande schermo, Wissam Smayra, il film si regge tutto sull’interpretazione degli attori tra i quali spiccano la regista e attrice libanese Nadine Labaki – vincitrice, tra gli altri, del premio della Giuria di Cannes nel 2018 per il suo Cafarnao – e l’egiziana Mona Zaki.

Proprio Zaki è finita al centro dell’accusa di promulgare immoralità e un modello lontano dai valori egiziani avanzata nei confronti del film dal giornalista e parlamentare Mostafa Bakry per una scena in cui si sfila le mutande. Benché non si veda alcunché – e nella sceneggiatura sia stata anche tagliata la scena in cui la donna, ripresa di spalle, si alza la gonna per esasperazione – insieme alla normalizzazione dell’omosessualità di uno dei protagonisti è diventato anche uno dei capi di accusa della denuncia presentata dall’avvocato Ayman Mahfouz contro uno dei produttori del film, l’egiziano Mohamed Hefzy. Oltre a denunciare il produttore, l’avvocato ha chiamato in causa pubblicamente anche la ministra della Cultura Enas Abdel-Dayem.

A parte quelli che sui social hanno difeso l’attrice in quanto madre di tre figli e quelli che hanno furbescamente sottolineato che il film è ambientato nella più permissiva Beirut, dopo la prima settimana di polemiche a sua tutela si è mosso il sindacato degli attori egiziani in nome dell’arte e della libertà creativa. E intanto Netflix, forte del successo ottenuto, prepara il set del secondo film in lingua araba, il remake del francese Intouchables (in italiano Quasi amici). La storia di un’amicizia maschile interclasse farà meno rumore?