I grattacieli sono la prima immagine riconoscibile di New York, la grande mela, the big apple come le succose mele rosse che negli Anni Venti rifilavano ai musicisti jazz afroamericani alle prime armi, al posto dei sonanti dollari. Ma New York è pure il più grande laboratorio multietnico al mondo. In città vivono più di 8 milioni e 300 mila abitanti, il 40% di loro sono nati al di fuori degli Stati Uniti. Secondo la Endangered Language Alliance (Ela), organizzazione per la conservazione dei linguaggi, a New York si parlano 800 lingue e dialetti. E allora si capisce che in questo Via verso la notte, scritto da Edward Allen e pubblicato da Mattioli 1885, il protagonista non è solo Chuck Deckle, aspirante macellaio senza arte né parte, ma l’intera città, attraversata da Chuck sul suo Maggiolino giallo fin nelle pieghe più recondite. Edward Allen, classe 1948, di New Haven, in Connecticut, dopo il college ha esercitato diversi lavori, tra cui molti nel mercato della carne. In seguito ha ripreso gli studi presso la Ohio University e ha insegnato in diverse università americane ed europee. Nel 2002 ha vinto il Flannery O’Connor Award for Short Fiction. Si capisce che oltre all’abilità narrativa c’è molta vita vissuta in questo romanzo che si legge d’un fiato. C’è l’odore della carne al mercato che frequentava da apprendista macellaio dopo il college, c’è il frastuono del traffico e ci sono i bagliori di una città notturna in cui si agita un’umanità arrabbiata e dolente. È in un mondo rischiarato appena dalle insegne al neon dei centri commerciali della periferia di New York che si svolge l’avventura del giovane Chuck Deckle. Da Manhattan al Bronx, Chuck segue il suo destino di rivolta, lontano dagli stereotipi borghesi che la sua famiglia e la sua istruzione gli additano, immergendosi nella notte e nel duro lavoro dei macelli. È l’odore della carne che sale da queste pagine dense di poesia, di sensazioni, di colori, fra le urla dei capi reparto, le voci degli operai, e la solitudine di un ragazzo che attraversa New York sulla sua Volkswagen scassata. Fabio Poletti
Edward Allen Via verso la notte traduzione di Marco Papi 2022 Mattioli 1885 pagine 316 euro 18Per gentile concessione dell’autore Edward Allen e dell’editore Mattioli 1885 pubblichiamo un estratto dal libro Via verso la notte.
Erano le 4.35 del mattino, e le strade erano già piene di gente. Macellai in camice bianco correvano qua e là, le sigarette accese e balenanti nel buio. Alcuni gay, nei loro attillati abiti di pelle nera, camminavano a lunghi passi per le strade. Nella Tredicesima era acceso un falò dentro un bidone della spazzatura, e tutt’intorno stava un gruppo di macellai di colore che bevevano il tè nei loro bicchieri di plastica, le facce rugose, antiche e pensose nella luce guizzante. La Denny Meat Packing Company era in un piccolo stabilimento stretto, schiacciato tra la polleria Interstate e le forniture Gingold-Fudim, con due piazzole per i camion sul retro e uno stretto ufficio a vetri che guardava sulla banchina di carico. Due uomini stavano scaricando cosce di vitello da un autocarro Imperial, mentre salivo la rampa tra le due piazzole per presentarmi a Sandy, l’uomo con cui avevo avuto il colloquio il venerdì prima. “Dov’è il tuo berretto?” mi chiese subito. “Non l’ho portato. Pensavo che ne aveste uno da darmi.” “Non hai portato nemmeno un cazzo di berretto?” esclamò Sandy, un ometto smilzo con slavati occhi azzurri, ombreggiati dalla tesa di un pesante casco di plastica rossa. La faccia allungata, con troppo spazio tra il naso e la bocca, era paonazza, come se l’avessero svegliato a suon di sberle. Lo seguii negli spogliatoi, su per una scala di metallo, così vecchia che i gradini erano scavati dai piedi che li avevano calpestati per tanti anni. Avevo visto gradini così consunti solo davanti all’edificio principale dell’università Hotchkiss, sui quali mio padre e i padri di molti miei compagni di scuola, compreso il romanziere John Hersey e il governatore William Scranton, avevano scavato negli anni le loro impronte: così tutte le mattine, andando in aula, calcavamo letteralmente le orme dei nostri genitori, nel segno di una pedestre continuità. “Non riesco a credere che non hai portato un berretto!” continuava a borbottare Sandy. Lo seguii negli spogliatoi, dove alcuni macellai erano in attesa di iniziare il lavoro, tra tubi in fibra di vetro e cavi elettrici che spuntavano dai buchi dietro agli armadietti verdi, tra brandelli di pittura scrostati dai muri di cemento. Mi diede un camice bianco e un grembiule da macellaio, mi trovò un pesante casco da muratore che mi scivolava su e giù per la testa, poi uscì in fretta dalla porta. I macellai erano raggruppati, alcuni seduti su una panca, altri appoggiati agli armadietti, e guardavano tutti nella stessa direzione, disposti in tre file, come quando posavamo, alla Hotchkiss, nelle fotografie della squadra di lacrosse. Stavano parlando della Situazione Mondiale, agitando nell’aria le sigarette per accentuare le loro parole. “Sai che cosa ho sentito dire?” stava dicendo un tipo alto con una folta capigliatura rossa e il petto incavato. “Che quei fanatici ayatollah iraniani di merda prenderanno tutti i nostri ostaggi e li fucileranno, e proprio la vigilia di Natale! E lo mostreranno in televisione, dal vivo, per farlo vedere a tutto il mondo!” Volute, spirali e anelli di fumo si intrecciavano, si allungavano e si mescolavano nell’aria vorticosa sopra di loro. “E l’avranno, questa guerra nuculare del cazzo!” intervenne un altro. “Gli spediremo un bel missile IBM da un centinaio di megatoni!” “Ma che cazzo dici?” lo interruppe un vecchio con lunghi capelli bianchi. “Se gli spariamo un missile, a questi ayatollah, gli stronzi dei russi ci cancelleranno dalla faccia della terra! Sono capacissimi di farlo!” “E allora lasciamoli crepare, ’sti ostaggi, non me ne frega proprio un cazzo!” tuonò la voce baritonale di un grassone con un accento europeo che non riuscivo a riconoscere. Poi si rivolse a me con quell’aria di complicità che, come avevo già notato, i ciccioni mostrano spesso l’un l’altro. “Dovrebbero ammazzarlo, quel bastardo di scià, tu che ne pensi, amico?” Risposi che secondo me dovevamo stare dalla parte dei nostri amici. “Ma quali cazzo di amici?” ruggì il grassone, roteando le braccia e sventolando le volute di fumo con le maniche aperte del suo camice bianco. “Quel tipo là è un gran pezzo di merda! Tortura la sua gente e le ruba i soldi!” “Non voglio dire che è una brava persona” risposi, pentendomi di non aver tenuto la bocca chiusa. “Ma non penso che dovremmo piantare in asso i nostri, come abbiamo fatto con i ribelli ungheresi…” “Ah! Sta parlando dei magiari, il nostro amico professore, vuole parlarmi di Budapest… E da dove credi che vengo?” “E da dove, dall’Ungheria?” “No!… Io sono un profugo dell’Elvezia!” “L’Elvezia? E dov’è?” “È la cazzuta Svizzera, no? Mi hanno cacciato fuori perché lavoravo in una fabbrica di formaggio e infilavo merda dentro i buchi! Allora vorresti farmi lezione di storia, vero? Come ti chiami?” “Chuck Deckle, e tu?” “Se tu sei Chuckie Deckle, io sono Black & Decker.” “Ma da dove vieni, veramente?” “Dalla pancia di mia madre, da dove credevi?” Tutti risero, una risata asciutta, frusciante, senz’allegria, sotto il lucernario scuro, e sbuffi di fumo salirono nell’aria. “Mia madre è una zingara francese che vive in Finlandia, e mio padre è un rabbino cinese che insegna il turco agli studenti iraniani nella cazzo di università di Roma. E adesso fammi una bella lezione, amico.” Ero stato stupido a farmi trascinare in una discussione come quella, specialmente il primo giorno di lavoro. Serio e impegnato, deciso a far valere il mio punto di vista: tutto ciò faceva parte di un’altra epoca della mia vita, ai tempi del Quinnipiac College, quand’ero magro e sapevo molte cose indiscutibili e andavo alle manifestazioni con una camicia blu da operaio. Era divertente, esaltante, intonare insieme gli slogan, marciare insieme alla cadenza della rabbia. Un giorno d’aprile noleggiammo due pullman Greyhound per andare a Boston alla manifestazione ‘Portiamo la guerra in casa’, e mentre marciavamo al ritmo dei fischietti del servizio d’ordine incontrammo un vecchio che indossava una divisa cachi con la scritta combattente per la libertà in Polonia sulla camicia. Portava una bandiera americana, e sull’asta era appeso un cartello: schiacciamo il comunismo dovunque appaia. Alcuni gli gridarono insulti, altri gli sputarono addosso; scoppiò una rissa. Gli diedi un violento pugno in faccia e mentre cadeva sull’asfalto con la sua bandiera la dentiera gli scivolò di bocca. Intorno, tutti scandivano: ‘Uno-dieci-cento-mille!’. Ricordo ancora com’era lucida, bianca e rosea quella dentiera sull’asfalto di Tremont Street nel pomeriggio primaverile. Da allora, quando sento voci che intonano slogan vedo sempre quel vecchio disteso per terra. Ero diventato un eroe, i miei amici mi davano pacche sulle spalle. Ogni volta che sento intonare slogan, vedo ancora la dentiera che scintilla al sole. Doveva tenerla molto pulita. Quella primavera vidi un’altra volta gli stessi colori. Cheryl Bergman, la mia ragazza delle scuole superiori, era venuta a farmi visita per il fine settimana, mentre il mio compagno di stanza era a New York. Bevevamo birra mescolata con Ripple, un intruglio non così cattivo come può sembrare. Tutte le lampade erano accese, e i colori che lei mi fece vedere quella notte, alla cruda luce della mia camera spoglia, mi ricordarono quella dentiera che cadeva in terra, e allora ebbi qualche problema. Da allora ho sempre provato una sorta di solidarietà per chiunque sia bersaglio di slogan, ho sempre pensato che chiunque sia così disprezzato da chi li lancia non può essere tanto cattivo da meritarli. “Fammi una bella lezione, dunque, professor Chuckie” ripeté il grassone che non voleva dirmi di quale paese era profugo. “Dimmi che cosa pensi di un tale che prende soldi dalla OA per far applicare macchine da elettroshock ai coglioni di qualche poveretto! Eh, che ne pensi?” “Penso che sia un eroe, per quanto mi riguarda.” “Ah, ah! Vedrai che cosa faranno di quel tuo eroe del cazzo!” La sua faccia raggiante sembrava diventare ancora più grossa. Era quasi ora di scendere al lavoro. “Gli taglieranno le palle, lo porteranno in strada legato dietro alla sua schifosa Cadillac, ecco che cosa gli faranno! Il tuo eroe sembrerà un hamburger della Denny Pack, vedrai! Il tuo eroe del cazzo…” © Edward Allen 1989 © 2022, Mattioli 1885