Doveva essere una guerra lampo, due mesi o poco più, con Vladimir Putin a mostrare i muscoli in Ucraina, a stabilizzare Donbass e Crimea e poi ciao, parola ai diplomatici. Sono passati nove mesi e le armi continuano a sparare, tra i russi che un po’ avanzano e un po’ ripiegano, gli ucraini che riconquistano e poi si arroccano in difesa. Doveva essere un conflitto circoscritto ancorché alle porte dell’Europa, è diventato il simbolo di distopiche visioni che arrivano, va da sè, fino all’apocalisse nucleare. E a qul punto, chi ha iniziato, ha davvero poca importanza quando tutto sta finendo. La dimensione internazionale del conflitto in Ucraina è al centro dell’ultimo approfondito saggio di Giulio Sapelli, economista e docente universitario che ha insegnato Storia economica ed Economia politica nelle principali università europee e delle due Americhe e ha lavorato come consulente e consigliere d’amministrazione in importanti gruppi industriali e finanziari. Titolo del libro pubblicato da Guerini e Associati, Ucraina anno zero. Sottotitolo: Una guerra tra mondi. Perché quello che sta succedendo in Ucraina va ben al di là di una guerra alle porte dell’Europa, combattuta solo con le armi, di cui dovremmo sentirci tutti, partecipi come ci spiega in questo libro Giulio Sapelli: «L’aggressione russa all’Ucraina è la manifestazione esterna del “revanscismo grande russo” che persegue un nuovo disegno imperiale territoriale. Tale disegno si è via via delineato come reazione alle politiche di ampliamento della potenza nordamericana e nordeuropea ai confini della Russia, un Paese ormai ridimensionato al ruolo di esportatore di materie prime fossili e alimentari. La guerra in corso non può però essere fermata dalle sole sanzioni economiche, catastrofiche per la Russia e anche per l’Occidente. Solo il ritorno a una realistica politica di relazioni internazionali e a un nuovo Trattato di Helsinki potrebbero far tacere le armi». Fabio Poletti
Giulio Sapelli Ucraina anno zero Una guerra tra mondi 2022 Guerini e Associati pagine 155 euro 15,50Per gentile concessione dell’autore Giulio Sapelli e dell’editore Guerini e Associati pubblichiamo un estratto dal libro Ucraina anno zero
SENZA LA RUSSIA? Il rispetto dell’Accordo di Minsk sull’Ucraina del 2014, che riguardava il cessate il fuoco, il disarmo delle bande armate e la ripresa dei negoziati, sarebbe stato il punto archetipale per riprendere ogni serio rapporto con la Russia. Su questo non ci sono dubbi e si era certi che lo stesso Putin fosse d’accordo. Nel corso della sua visita in Italia nell’ottobre del 2014 ebbe importanti incontri; primo tra tutti, oltre ai colloqui con l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi e con Paolo Gentiloni, ministro degli Affari Esteri, quello con il Santo Padre in Vaticano. Sembrava allora che fossero scaturite conseguenze positive per la continuità di una politica estera italiana che Renzi aveva inaugurato e Gentiloni condotto sin da subito con grande intelligenza. Il problema vero era, già allora, capire se Putin medesimo, per tornare all’Ucraina, fosse in grado di controllare il terreno, in una guerra non solo asimmetrica, ma altresì ibrida, ossia esercitata anche secondo le regole della guerriglia, anziché della sola guerra di posizione. Era una sorta di metafora, l’Ucraina, di ciò che accadeva sulla scacchiera internazionale, dove le pedine stavano disegnando figure prima inconsuete e ad alta pericolosità di frantumazione della stessa scacchiera. È vero: Putin in Ucraina doveva fare un passo indietro e invece non lo fece. È vero: sarebbe stato opportuno non fare manovre militari nel Mar Baltico, e le manovre russo-cinesi nel Mediterraneo hanno invece suscitato apprensione e tensione: non lo si ricorda mai abbastanza. È indiscutibile. Ma proviamo ad assumere il punto di vista russo e, prima di farlo, mi si permetta un paragone storico. Torniamo a quando Napoleone fu sconfitto a Waterloo, e il Mostro – così appariva l’Empereur dinanzi agli occhi non solo degli Stati assoluti (Prussia, Austria-Ungheria e la miriade di staterelli tedeschi), ma anche della sublime Inghilterra, sulle cui terre il sommo Edmund Burke aveva scritto nel 1790 l’indimenticabile Reflections on the Revolution in France – fu segregato a Sant’Elena. Archiviato Napoleone, l’Inghilterra stessa, con quel composito «concerto» delle grandi potenze del tempo, aveva risollevato il ruolo della Francia, ponendola come punto di equilibrio geo- politico nei confronti di Prussia e Russia. Soprattutto, aveva reinserito – nonostante la sconfitta – un’immensa nazione dall’immensa cultura nel gioco degli equilibri mondiali. Ebbene, lo stesso vale con la Russia – e non l’Unione Sovietica, che è stata una regressione asiatica dell’europea Russia zarista – che è un’altra immensa cultura di cui l’Occidente non può fare a meno. Ma attenzione: il ruolo storico euroasiatico della Russia si tiene solo se essa, la Russia, ha ben piantati i piedi in Europa. E invece dalla fine dell’Unione Sovietica in poi l’Europa ha cercato di sradicare le radici europee della Russia, calpestando accordi, lanciando provocazioni e alimentando il timore dell’isolamento. L’intesa tra Reagan e Gorbacˇëv era fondata sulla promessa che nessuno Stato confinante avrebbe dovuto far parte né della Nato né dell’Ue. Invece tutto è andato a rovescio: si è iniziato sin da subito a non rispettare le condizioni di un patto tra gentiluomini che avrebbe potuto riscrivere la storia. Abbiamo ancora davanti agli occhi le immagini della fine di Ševardnadze, quando era primo ministro della sua amata Georgia, quasi morente sotto le bombe di una «rivoluzione arancione» che si è compiuta in forme similari a quelle ucraine e in una caricatura anticipatoria di quelle che sarebbero poi divenute le famose «primavere arabe», i cui frutti velenosi sono sotto gli occhi di ogni osservatore spassionato. La Russia – soprattutto dopo l’integrazione europea dei suoi ex satelliti, animati da un rancore sordo, non solo politico ma altresì etnico e culturale contro la Russia copia saggio e non contro lo stalinismo – ha visto crescere a dismisura il suo senso di isolamento, insieme al risorgere del nazionalismo. Putin ne è stato, per troppo breve tempo, l’interprete più genuino e intelligente. Da militare, ha tutti i limiti ma anche tutti i pregi di questa formazione: unisce alla visione della guerra e dell’onore quella dell’intelligence, una miscela idonea a misurare strategicamente ogni passo tattico. Ebbene, il Putin di allora trasforma il conflitto con l’Europa e con la Nato sull’Ucraina e sulla Crimea e sull’Artico in una partita di equilibri globali, stando attento al ruolo euroasiatico della Russia nel lungo periodo e, soprattutto, in relazione con il gioco di potenza globale dove l’Europa è solo uno degli scenari, pur se importantissimo. E allora la sua conclusione è che il terreno che si perde a Occidente deve essere riconquistato a Oriente, stringendo i rapporti con la Cina, con cui guarda con favore alla divisione – terribile e foriera di immenso danno per l’Occidente – provocata dall’arrivo a Londra della Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), strumento nelle mani di Pechino che si pone come alternativa al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale e alla Banca Asiatica di Sviluppo, quest’ultima con sede a Manila. Come è noto, queste tre istituzioni sono dominate dagli Usa e dal Giappone, unitamente a un ruolo secondario, ma importante, degli europei. Ebbene, nonostante l’incauto divieto ad alta voce gridato dagli Stati Uniti, i sauditi del Golfo hanno subito aderito. Questa contro- mossa minaccia i pur benefici disegni imperiali americani più di qualsiasi accordo trans-pacifico, che non si riesce a siglare da anni. Ecco allora lo scacchiere che si frantuma. Da un lato c’è l’Europa che di fatto si divide tra gli Stati a ex dominazione sovietica e tutti gli altri. Da un altro lato l’Europa che si divide sulla faglia dell’economia: la Germania, la Francia e l’Italia in primis non possono vedere di buon occhio l’intensificarsi delle sanzioni economiche, richieste da Obama al termine del G7 che si svolse a Elmau nel 2015. Il problema economico è importantissimo, ma non è centrale. Quello centrale era ed è, sempre, quello strategico di lungo periodo, perché suggerisce come potrebbe divenire l’ordine mondiale se si spinge la Russia verso la deriva dell’accordo con la Cina. E non si frena questa deriva costringendo il Giappone alle sanzioni contro la Russia, come si fece già nel G7 prima richiamato. © 2022 Edizioni Angelo Guerini e Associati srl