È una storia che parte da lontano quella che divide Kiev e Mosca, Ucraina e Russia. Un’analisi assai approfondita la fa Giorgio Cella in questo Storia e geopolitica della crisi ucraina, pubblicato da Carocci editore. Giorgio Cella è dottore di ricerca in Istituzioni e Politiche all’Università Cattolica di Milano, dove svolge attività di docenza nell’ambito del corso Storia e politiche: Russia ed Europa orientale. Come analista geopolitico ha all’attivo decine di articoli, saggi e pubblicazioni scientifiche di politica internazionale, ed è stato osservatore elettorale per l’OSCE nelle elezioni in Ucraina del 2019 e in Georgia nel 2021.Il suo è un libro attuale, che analizza la storia dell’Ucraina dall’antichità fino alla crisi con Mosca degli ultimi anni, prodromici della guerra in corso che sta sconvolgendo l’Europa e il mondo intero, con lo spettro di un possibile conflitto nucleare. Dopo essere stata la più importante repubblica sovietica dopo quella russa, l’Ucraina indipendente è diventata terreno di uno scontro sovranazionale che contrappone Usa e Russia, la Nato e l’ex capitale dell’impero sovietico. Uno scontro iniziato con la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e ancora di più con la dissoluzione del Patto di Varsavia. Quando, come se la Guerra Fredda non fosse davvero mai finita, la Nato ha iniziato ad allargarsi ad Est nei territori dell’ex Urss e Mosca ha iniziato a denunciare l’espansione atlantica come ingerenza militare e politica nonché violazione di accordi, che forse non sono mai esistiti. Fabio PolettiGiorgio CellaStoria e geopolitica della crisi ucrainaDalla Rus’ di Kiev a oggi2021 Carocci Editorepagine 352 euro 36

Per gentile concessione dell’autore Giorgio Cella e dell’editore Carocci pubblichiamo un estratto dal libro Storia e geopolitica della crisi ucraina.Nel marzo 2014, all’apice della crisi ucraina, dopo che il parlamento russo aveva proceduto alla ratifica dell’annessione della Crimea, Putin, nel frattempo di nuovo insediatosi al Cremlino grazie alla vittoria nelle consultazioni presidenziali tenutesi nel 2012, espresse recriminazioni esplicite all’indirizzo dei leader occidentali colpevoli a suo dire di avere mentito alla Russia: «Many times, made decisions behind our backs, placed us before an accomplished fact. This happened with Nato’s expansion to the East, as well as the deployment of military infrastructure at our borders».Queste ultime esternazioni, in particolare, sono state oggetto di quello che potrebbe essere definito come una sorta di ennesimo capitolo in un contenzioso che si trascina da anni senza che si possa intravedere uno sbocco dirimente, vedendo opposti, sul piano dialettico, la Nato e la Federazione Russa. Attraverso il suo sito internet l’Alleanza atlantica nel 2014 riprendeva nuovamente l’argomento tramite un suo documento intitolato Nato Enlargement and Russia: Myths and Realities. Questo documento, citando esplicitamente l’espressione broken promise, riportava come:In his address to the Russian Parliament on 15 April 2014, in which President Putin justified the annexation of the Crimea, he stressed the humiliation Russia had suffered due to many broken promises by the West, including the alleged promise not to enlarge nato beyond the borders of a reunited Germany […]. For more than 20 years the narrative of the alleged “broken promise” of not enlarging nato eastward is part and parcel of Russia’s post-Soviet identity.Il testo proseguiva suggerendo un interrogativo: «It is hardly surprising, therefore, that this narrative has resurfaced in the context of the Ukraine crisis. Dwelling on the past remains the most convenient tool to distract from the present» e continuava ponendo storia e geopolitica della crisi ucrainanelle righe successive una domanda diretta: «is there any truth to these claims?». È convenzionalmente ritenuto da più parti come negli ultimi anni la risposta a un quesito così fondamentale sia stata maggiormente facilitata grazie soprattutto al fatto che molti archivi e materiali inerenti a tale tematica sono stati resi di pubblico dominio, quindi disponibili agli studiosi. Lo stesso documento della Nato riconosceva infatti che:Over recent years countless records and other archival material has become available, allowing historians to go beyond the interviews or autographies of those political leaders who were in power during the crucial developments between the fall of the Berlin Wall in November 1989 and the Soviet acceptance of a reunified Germany in nato in July 1990.La narrativa dell’Alleanza atlantica si spingeva a sostenere che: «Yet even these additional sources do not change the fundamental conclusion: there have never been political or legally binding commitments of the West not to extend nato beyond the borders of a reunified Germany».Per la Nato, l’aspetto fondamentale riguarda quanto discusso nel corso dei negoziati che ebbero luogo nel 1990, ovvero l’esclusivo futuro status dei territori della Rdt e non il possibile allargamento del blocco atlantico a est. Il quadro veniva così riassunto dal documento in questione:Some statements of Western politicians – particularly German Foreign Minister Hans Dietrich Genscher and his American counterpart James A. Baker – can indeed be interpreted as a general rejection of any Nato enlargement beyond East Germany. However, these statements were made in the context of the negotiations on German reunification, and the Soviet interlocutors never specified their concerns. In the crucial […] negotiations, which finally led Gorbačëv to accept a unified Germany in nato in July 1990, the issue was never raised. As former Soviet Foreign Minister Eduard Shevardnadze later put it, the idea of the Soviet Union and the Warsaw Pact dissolving and Nato taking in former Warsaw Pact members was beyond the imagination of the protagonist at the time.In realtà qualsiasi ipotesi di veto da parte dell’Unione Sovietica o della sua erede diretta (la Federazione Russa) all’ingresso nella Nato di paesi dell’Europa centro-orientale o di qualcuna delle repubbliche ex sovietiche sarebbe stata considerata un’illecita ingerenza, ovvero violazione delle norme internazionali. Infatti il documento della Nato ribadisce: «The right to choose one’s alliance, enshrined in the 1975 Helsinki Charter, would have been denied – an approach that the West could never have sustained, neither politically nor morally».È tuttavia altrettanto interessante notare come la Nato ponesse, quantomeno nel documento qui citato, i seguenti quesiti: «Does the absence of a promise not to en- large nato mean that the West never had any obligations vis-à-vis Russia? Did the enlargement policy of Western institutions therefore proceed without taking Russian interests into account?». La questione non era e non è peregrina. Soprattutto per via del fatto che sin dal 1993, ovvero quando iniziò sempre più ad apparire concreta la possibilità che paesi dell’ex patto di Varsavia fossero in procinto di entrare nella Nato, il dibattito in merito alimentò, sin da subito, una «considerable controversy». In particolare: «academic observers […] opposed admitting new members into nato, as this would inevitable antagonise Russia and risk undermining the positive achievements since the end of the Cold War».Per scongiurare tale perniciosa eventualità, sin dall’inizio del processo di allargamento post-Guerra fredda fu attuata, come si è già tratteggiato in precedenza, una strategia diplomatica avente come finalità quella di conciliare «this process with Russian interests. Hence nato sought early on to create a cooperative environment that was conducive for enlargement while at the same time building special relations with Russia».Come è noto, tale sforzo diplomatico ebbe il suo momento apicale nel 1997 con la firma del Nato-Russia Founding Act. Quel documento fu anche la risposta alla necessità di affrontare il delicato tema degli equilibri strategici in Europa, in particolare nel campo degli armamenti sia nucleari che convenzionali.© copyright 2021 by Carocci editore S.p.A., Roma