Negli Anni Venti a Parigi furoreggiava l’afroamericana Joséphine Baker, coperta solo da un gonnellino di banane mentre si lanciava in danze scatenate. Alla fine degli Anni Ottanta l’inglese Naomi Campbell appare sulla copertina di Vogue, prima modella non bianca nella storia della rivista. Entrambe hanno rappresentato un modello di donna nera libera anche sessualmente, che ha fatto breccia pure in un mondo bianco che non ha mai rinnegato la propria ideologia razzista. In questo terreno si muove il libro Sguardi neri Black looks Nerezza e rappresentazione, scritto dalla studiosa ed attivista bell hooks (rigorosamente minuscolo), pubblicato da Meltemi. bell hooks, pseudonimo di Gloria Jean Watkins, nata nel 1952 e morta nel 2021, è stata una insegnante universitaria, femminista e scrittrice afroamericana. Il suo lavoro militante esamina l’intersezionalità di razza, capitalismo e genere e il modo in cui questa contribuisce a perpetuare i sistemi di oppressione e divisione sociale. Nei saggi critici raccolti in Sguardi neri Black Looks, bell hooks mette in discussione le rappresentazioni della nerezza e propone modi alternativi di considerare la soggettività nera e la bianchezza. Esiste infatti un legame diretto tra il persistere del patriarcato suprematista bianco e l’istituzionalizzazione per via mediatica di immagini specifiche della nerezza, le quali non fanno altro che sostenere e perpetuare l’oppressione, lo sfruttamento e il dominio sulle persone nere. Il volume si focalizza sul mondo dell’arte e dello spettacolo, in particolare su come la nerezza e le persone nere sono state e sono ancora rappresentate nell’ambito della letteratura, della musica e dei film, con l’obiettivo di scardinare il modo in cui ne parliamo. L’autrice invita pertanto chi legge a proporre interventi critici inediti e a trasformare le immagini prodotte nell’ambito dei movimenti politici di liberazione e autodeterminazione (siano essi antimperialisti, femministi, queer o antirazzisti), perché cambiare il tipo di immagini che produciamo e il modo in cui ne scriviamo e parliamo criticamente è cruciale per produrre un intervento radicale nel presente. Fabio Poletti
bell hooks
Sguardi neri Black looks
Nerezza e rappresentazione
traduzione di feminoska
2024 Meltemi
pagine 272 euro 20
Per gentile concessione dell’editore Meltemi pubblichiamo un estratto dal libro Sguardi neri Black looks Nerezza e rappresentazione
Anche se la riflessione contemporanea sul corpo femminile nero non legge il corpo come un segno “naturale” di inferiorità razziale, la fascinazione per i “culi” neri persiste. Nell’iconografia sessuale dell’immaginario pornografico nero tradizionale, il sedere sporgente è indicativo di una sessualità debordante. La musica pop contemporanea è uno dei luoghi culturali principali di discussione della sessualità nera. Nei testi delle canzoni, “il culo” viene menzionato sfidando i luoghi comuni razzisti che lo descrivono come uno sgradevole segno di inferiorità, anche se rimane un segno sessualizzato. La famosa canzone Doin’ da Butt ha favorito la diffusione di un nuovo ballo molto sensuale, una sorta di gara a chi riesce a spingere più in fuori le natiche, con orgoglio e allegria. Una scena del film Aule turbolente di Spike Lee mostra una festa di soli neri in cui tutti ballano questa canzone in costume da bagno, muovendo il culo. È uno dei momenti più esaltanti del film. I “culi” neri in mostra sono indisciplinati e oltraggiosi, non sono il corpo immobile della schiava trasformata in manichino. Non sono corpi repressi, ma vengono esibiti come forma di gioiosa resistenza culturale e nazionalistica, sfidando l’idea che il corpo nero, il suo colore e la sua forma, porti con sé un destino di vergogna. Indubbiamente il momento più trasgressivo e provocatorio di Aule turbolente, ovvero questa celebrazione dei glutei, è coinciso con l’enfasi posta sui glutei, in particolare femminili, dalle riviste di moda. Il potenziale del film di sovvertire e sfidare i pregiudizi esistenti sui corpi neri, in particolare quelli delle donne, risulta però vanificato dall’umiliazione sessuale e dall’abuso con cui il film tratta le donne nere. Molte persone non hanno visto il film, dunque è stata proprio la canzone Doin’ da Butt a sfidare quei preconcetti duri a morire che ci incoraggiano a ignorare il didietro perché associato ad atti indesiderabili e impuri. Rivelato, il “fondoschiena” può nuovamente essere venerato come sede erotica di piacere ed eccitazione.
Richiamando l’attenzione sul corpo in modo tale da invitare lo sguardo dell’osservatore a mutilare, ancora una volta, i corpi delle donne nere, concentrandosi esclusivamente sul “culo”, le moderne celebrazioni di questa parte anatomica non sono in grado di sovvertire gli stereotipi sessisti e razzi- sti. Proprio come le rappresentazioni ottocentesche dei corpi femminili neri avevano lo scopo di sottolinearne la sacrificabilità, anche le immagini contemporanee (incluse quelle create nell’ambito della produzione culturale nera) trasmettono un simile messaggio. Quando il romanzo di denuncia Ragazzo nero di Richard Wright è stato trasformato in un film negli anni ’80, l’omicidio di Bessie, la ragazza nera di Bigger, non viene mostrato. Il che è doppiamente ironico, dal momento che nel romanzo viene uccisa, e nel film viene del tutto eliminata. Nel XIX secolo, i pittori che fecero della razza il proprio soggetto artistico spesso crearono immagini in cui mettevano a contrasto corpi femminili bianchi e neri, per sottolineare il maggior valore dell’icona bianca. Il saggio di Gilman collude con questo progetto critico poiché si concentra sull’analisi della sessualità delle donne bianche.
Una strategia simile è impiegata sia nel romanzo di Wright che nella sua versione cinematografica. Nel romanzo, Bessie è sacrificabile perché Bigger si è già macchiato del crimine più atroce, ovvero l’uccisione di una bianca. Il primo, e più importante, omicidio sussume il secondo. Tutti si preoccupano per Mary Dalton, la figlia bianca della classe dirigente; a nessuno importa di Bessie. Paradossalmente, proprio nel momento in cui Bigger decide che il corpo di Bessie è sacrificabile, che dunque la ucciderà, continua a chiederle di aiutarlo, di “fare la cosa giusta”. Bigger intende usarla per poi gettarla via, un gesto che sottolinea la sacrificabilità del suo corpo. Se per distruggere il corpo di una bianca è costretto a trasgredire confini pericolosi, l’invasione e la violazione di un corpo femminile nero non portano con sé alcun timore di ritorsioni e vendette.
Nera e femminile, dotata di una sessualità esuberante che esprime al di fuori del contesto del matrimonio, Bessie rappresenta la “donna perduta”. Nessuno la protegge, e neanche il sistema legale difenderà i suoi diritti. Implorando Bigger di non ucciderla, chiede riconoscimento e compassione per la sua situazione.
Bigger, ti prego! Non farmi questo. Ti prego! Non faccio che lavorare, lavorare come un cane! Dalla mattina alla sera. Non sono felice. Non lo sono mai stata. Non ho avuto nulla, e tu mi fai questo…
Le sue parole, che descrivono in modo acuto il destino delle povere donne nere proletarie degli anni ’40, riecheggiano quelle della poeta Nikki Giovanni sulla condizione delle donne nere alla fine degli anni ’60. I versi di apertura di Woman Poem recitano: “Vedi, tutta la mia vita è un nodo di infelicità”. Tuttavia, c’è una differenza radicale: negli anni ’60, la donna nera nomina la sua infelicità per chiedere di essere ascoltata, di riconoscere la sua amara situazione per poterla cambiare. Questa poesia afferma il desiderio delle donne nere di costruirsi una sessualità diversa da quella che è stata loro imposta da una cultura razzista e sessista, richiamando l’attenzione sui modi in cui finiamo intrappolate dalle idee convenzionali di sessualità e desiderabilità:
[…] oggetto sessuale se sei carina e niente amore o amore e niente sesso se sei grassa fatti da parte cicciona nera sii madre nonna cosa forte ma non donna, giocatrice donna romantica donna bisognosa d’amore a caccia di uomini mangiacazzi e mangiauomini donna in cerca di sesso alla ricerca dell’amore.
Woman Poem è un grido di resistenza, che esorta coloro che sfruttano e opprimono le donne nere, che le trasformano in oggetti e le disumanizzano, ad affrontare le conseguenze delle proprie azioni. Messa di fronte a sé stessa, la donna nera si rende conto di tutte le cose contro cui deve lottare per riuscire a realizzarsi, come la rappresentazione di sé, del suo corpo e del suo essere come sacrificabile.
Bombardate da immagini che rappresentano i propri corpi come sacrificabili, le donne nere hanno assorbito passivamente questo modo di pensare o vi hanno resistito con veemenza. La cultura popolare offre innumerevoli esempi di appropriazione e sfruttamento degli “stereotipi negativi” da parte delle donne nere, al fine di esercitare una qualche forma di controllo su questa rappresentazione, o almeno per trarne dei benefici. Poiché nell’iconografia razzista e sessista la sessualità delle donne nere è stata rappresentata come più libera ed emancipata, molte cantanti nere, indipendentemente dalle loro capacità canore, hanno coltivato un’immagine che suggerisce una certa disponibilità sessuale e un desiderio strabordante. Se, secondo il senso comune, la bellezza e la sessualità sono desiderabili solo nella misura in cui sono idealizzate e irraggiungibili, il corpo femminile nero, indesiderabile secondo quei canoni, attira l’attenzione solo quando è sinonimo di accessibilità, disponibilità, quando è sessualmente deviante.
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