Tirare in ballo Enrico Mattei è stata una grande furbata di Giorgia Meloni. Chiamare così, col nome del manager che ha reso moderno il nostro Paese in campo energetico alla base del boom economico, il piano di aiuto e sviluppo del continente africano, è stata per ora una grande operazione di marketing. L’eterno problema dei migranti che si affacciano alle nostre coste, ha provocato per ora solo un grande scontro tra l’esecutivo e la magistratura sulla regolarità delle deportazioni di massa sul modello danese o australiano. Comunque lo si voglia chiamare, un piano di relazioni economiche imprenditoriali e sociali tra l’Italia e l’Africa è comunque una buona occasione, profittevole per entrambi. Su questi temi si interrogano svariati esperti anche internazionali coordinati da Mario Giro, in questo Piano Mattei pubblicato da Guerini & Associati. Mario Giro è membro della Comunità di Sant’Egidio e amministratore di Dante Lab. È stato sottosegretario agli Esteri nel Governo Letta e viceministro degli Esteri nei governi Renzi e Gentiloni (2013-2018). Ha insegnato relazioni internazionali all’Università per Stranieri di Perugia. È uno dei massimi esperti di Africa. Innumerevoli i saggi pubblicati con Guerini & Associati: Algeria in Ostaggio (assieme a Marco Impagliazzo, 1997); Gli occhi di un bambino ebreo (2005); Noi terroristi. Storie vere dal Nordafrica a Charlie Hebdo (2015); Global Africa. Il volto di un continente in movimento (2019); Guerre Nere. Guida ai conflitti dell’Africa contemporanea (2020).
Da almeno quindici anni l’Italia cerca un modo efficace per stare in un continente che cambia velocemente, a partire dai flussi migratori e da una solida tradizione di cooperazione allo sviluppo. Di fronte ai mutamenti indotti dalla deglobalizzazione e dalle guerre in corso, l’Africa è alla ricerca di un’autonomia che le permetta di fare le proprie scelte in maniera indipendente. Ciò non concerne solo l’economia, ma anche la posizione nelle crisi internazionali. L’Italia ha le carte in regola per diventare un vero partner in tale nuova sfida continentale. Ma solo se saprà cogliere tutte le occasioni, superando preconcetti e chiusure, che fino ad ora hanno portato solo isterismi in campo politico, una legislazione sempre più rigida se non inopportuna e un nulla di fatto rispetto alla soluzione di un problema destinato a trascinarsi ancora per decenni. Almeno fino a quando un giovane africano non avrà le stesse prospettive di sviluppo e benessere anche nel suo Paese, piuttosto che andare alla ricerca di un tozzo di pane pagato a caro prezzo in Europa. Una prospettiva a cui si deve preparare anche il nostro Paese, debitore di manodopera e in futuro si spera di know-how verso il continente africano. Fabio Poletti
a cura di Mario Giro
Piano Mattei
Come l’Italia torna in Africa
2024 Guerini & Associati
pagine 184 euro 18,50
Per gentile concessione del dell’editore Guerini & Associati e del curatore Mario Giro pubblichiamo il suo contributo al libro Piano Mattei
Cosa deve esserci nel Piano Mattei per reagire a tutte queste sfide? Per ottenere un impatto reale non può che basarsi sul lungo termine e – come detto – accettare la sfida del grande problema dei giovani, della loro sicurezza e del loro futuro. Dobbiamo essere consapevoli che l’Africa produrrà ancora per lungo tempo migranti, almeno fino a che non potrà disporre di una produzione locale fruibile per il proprio mercato interno. Il Piano Mattei dovrebbe prevedere lo spostamento progressivo verso l’Africa di una parte delle produzioni, della manifattura o delle industrie di trasformazione europee, in specie nel settore agroalimentare. L’Italia può dare l’esempio. È la sola strada per ottenere una dinamica di sviluppo virtuosa. Non basta un piano di aiuti di emergenza, pur sempre necessari: ci vuole un progetto sociale ed economico a lungo termine. Qui si innesta la seconda condizione: negoziare con gli africani stessi. Non farlo sarebbe proseguire sulla strada seguita fino ad ora dall’Europa che – giusta o sbagliata – non ha portato a buoni risultati. Non si tratta solo di una questione morale, etica o di diritti: è un tema squisitamente politico. Anche ammettendo che le nostre idee siano migliori e che il nostro approccio sia più equo, non è più il tempo per imposizioni, paternalismo o anche semplicemente indicazioni. Gli africani non lo accetterebbero in nessun caso, nel bene o nel male. Per tali ragioni occorre trattare e trovare convenienze e convergenze comuni.
Quali sono le sfide più evidenti per l’Italia e l’Africa?
Innanzi tutto c’è un tema strutturale: la tenuta degli Stati. All’Italia (come all’Europa tutta) serve che in Africa vi siano Stati resilienti, in pieno controllo del proprio territorio. L’esperienza libica ha fatto comprendere sin troppo bene quanto sia complicato accordarsi con milizie, gruppi armati e altri fattori simili. Va evitato il caos gestito da soggetti armati senza alcuna legittimità e dediti a traffici di ogni tipo e ciò non vale solo per l’Italia o l’Europa ma anche per l’Africa. La privatizzazione della violenza uccide le nazioni. Occorre difendere la tenuta degli Stati subsahariani perché senza di essi non ci sarebbe nessuno con cui accordarsi, né alcuna possibilità di progettare lo sviluppo. Certamente sarebbe meglio avere a che fare con Stati democratici. Tuttavia anche Stati in transizione o ancora in- dietro su tale terreno sono comunque degli interlocutori necessari. Serve una politica di cooperazione e sicurezza che l’Italia non può svolgere in solitaria: in Africa è necessario un accordo europeo a cui aggiungere intese con altri, per esempio Turchia, Paesi del Golfo ecc. La politica italiana con il Niger è un esempio di cooperazione sulla sicurezza italo-africana in cui i nigerini sono certi che li stiamo aiutando senza approfittarne. A tali condizioni il Piano Mattei può puntare a gestire i flussi incontrollati di emigrazione, evitando anche molte morti in mare o nel deserto. Se si vuole ottenere la collaborazione degli Stati di origine e transito occorre offrire in cambio qualcosa di concreto come la fine delle doppie imposizioni, i trasferimenti pensionistici, la cooperazione tecnologica, lo spo- stamento delle produzioni, in particolare agricole, e così via. L’Africa deve poter produrre e trasformare in loco: è questa la chiave. Come già detto, l’economia della rendita da materie prime non è più sufficiente ed è invisa alle popolazioni locali che la leggono come sfruttamento, paternalismo o neocolonialismo. È essenziale sostenere il settore educativo e sanitario: se i giovani africani pensano di non potersi istruire né curare, se ne vanno.
Esperienze italiane in Africa già esistono e se ne può aumentare la magnitudine e l’impatto. Oltre a quello pubblico, cioè sanità, educazione e formazione, è nel settore agricolo che l’Italia può fare di più, mediante un partenariato tecnologicamente innovativo e la trasformazione dei prodotti in loco. Possiamo dare un grosso contributo alla nascita di un’industria agroalimentare africana mediante le nostre PMI, anche se questo ci costerà il dover cedere su qualcosa. L’Italia ha il know-how necessario e migliaia di produttori piccoli e medi che possono trasmetterlo. Un grande piano Italia-Africa sull’agribusiness andrebbe a incidere davvero sulla realtà africana rurale intercettando molti giovani e aiutandoli a fissarsi sul territorio con politiche di modernizzazione agricola. Vi sono anche altri settori importanti del Piano Mattei come l’energia, il turismo, l’edilizia ecc. L’agribusiness resta tuttavia strategico dal punto di vista occupazionale. È evidente che servono tem- po e pazienza. Infine un ulteriore componente per il Piano Mattei sono le opere infrastrutturali. Non bisogna solo immaginare grandi opere: in Africa mancano le opere medie, le strade intermedie di collegamento, i porti e gli aeroporti medi, i corridoi secondari, gli snodi intermodali e la logistica afferente. Ciò vale anche per l’energia: mini o micro-grid e altri sistemi localizzati per fornire energia laddove l’alta tensione non può arrivare perché antieconomica. Sono necessari i grandi varchi per collegare l’Africa atlantica a quella dell’Oceano Indiano, oppure la dorsale Nord-Sud o anche la grande strada costiera dell’Africa occidentale e centrale. Se ne stanno già occupando i cinesi ma anche la UE con il programma Global Gateway. Lanciato nel 2021, quest’ultimo vuole essere la risposta europea all’aggressività strategica di Pechino. Il Gateway è ben finanziato e mobilita il settore privato. Con il Piano Mattei, l’Italia può entrare nel Global Gateway mediante le proprie grandi imprese private di trasporto e grandi opere. Potremmo anche creare un programma parallelo per aggiungere le linee secondarie: proprio quelle che riguardano le aree interne dei Paesi africani. Ciò che già si sta facendo è inventare e mettere in pratica il tanto atteso sistema circolare delle migrazioni: la possibilità di venire a formarsi in Italia e anche a lavorarci per un periodo, per poi rientrare (disseminando così know-how) e avere la possibilità – dopo un congruo numero di anni – di ritornare per riciclaggio o specializzazione e così via. È il modo per non rassegnarsi all’irregolarità e ai trafficanti privilegiando vie legali e sicure. Un sistema circolare che permetta un fruttuoso scambio, basato sull’esperienza dei corridoi umanitari ideati dalla Comunità di Sant’Egidio e dei successivi corridoi lavorativi, che sono l’esempio di canali sicuri e legali per giungere in Italia. Tali corridoi rispondono a quell’esigenza di manodopera che abbiamo nel nostro Paese e che esiste in tutta Europa. Su questo modello si può costruire una risposta non solo emergenziale.© 2024 Edizioni Angelo Guerini e Associati srl