Sulla storia del Black Panther Party è stato scritto un mare di parole. Dal programma di welfare, con un capillare sostegno alimentare e non solo, all’uso delle armi come autodifesa, fino alla violenta e molto spesso illegale repressione dell’FBI, il Partito delle Pantere Nere è iscritto a lettere cubitali nell’immaginario dell’altra america, quella nemmeno sfiorata dall’american dream. Ma c’è una parte, in questo libro di Bruno Walter Renato Toscano, Pantere Nere, America bianca, pubblicato dalle edizioni Ombre Corte, che merita di essere segnalato nel long read che pubblichiamo più sotto. A pochi giorni dalle elezioni americane che vedono contrapposti il tycoon ed ex presidente Donald Trump e Kamala Harris, vice di Joe Biden, uno degli interrogativi è legato a quello che faranno gli elettori afroamericani. In un Paese dove la minoranza nera ne ha subite di tutti i colori, val la pena ricordare che non c’è mai stato un candidato che la rappresentasse davvero. Il trombettista jazz Dizzy Gillespie si candidò tra il serio e il faceto nel 1963 – voleva Miles Davis a capo della Cia – perdendo ovviamente l’anno successivo contro Lyndon Johnson. Bisognerà aspettare decenni prima che l’afroamericano Barack Obama entrasse alla Casa Bianca. A fine del doppio mandato il gradimento dei black per lui era ai minimi storici. Contestavano al presidente una politica molto pallida in tema di welfare, a partire dal rivoluzionario ma mai attuato Obamacare che voleva estendere il diritto garantito alla salute anche ai meno abbienti. Oggi lo scenario è tutt’altro che chiaro. Kamala Harris, madre indiana e padre di origini giamaicane, che da procuratrice della California si schierò sempre a fianco della polizia anche nei peggiori episodi di violenza razzista, non è amatissima. Il suo grido «stay at home», ai migranti che premono al confine del New Mexico, è piaciuto molto poco perché ritenuto “salviniano” diremmo dalle nostre parti. Il proletariato bianco dell’America che non si affaccia sulle due coste, pensiamo agli hillbilly, i cafoni dei Monti Appalachi da cui arriva J.D. Vance il vice di Donald Trump, trova facile sponda negli afroamericani che vivono nei ghetti o lavorano a Motor City, il distretto delle auto di Detroit, in caduta economica libera da anni, e che da tempo non si riconoscono nelle politiche dei democratici ma anzi sono stati il motore propulsore della prima vittoria di Trump. La partita è aperta, scopriremo cone andrà a finire tra pochissimo, di sicuro il Black Panther Party non avrebbe fatto sconti a nessuno. Ma il bel libro di Bruno Walter Renato Toscano guarda a 360 gradi alla storia delle Pantere Nere. Bruno Walter Renato Toscano è studente di dottorato in Storia contemporanea presso l’Università di Pisa e cultore della materia in “Studi intersezionali di genere” presso il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere della medesima università. Ha pubblicato articoli scientifici per le riviste “Diacronie. Studi di storia contemporanea”, “Sémata. Ciencias sociais e humanidades” e “JAm it! (Journal of American Studies in Italy)”. Ha poi condotto ricerche presso numerosi centri di ricerca negli Stati Uniti e in Europa e dal 2018 collabora al programma televisivo Passato e Presente Rai Storia su Rai Tre. Pantere nere, America bianca ripercorre la storia e l’ideologia del Black Panther Party a partire dai suoi protagonisti, facendo ricorso a fonti statunitensi e introducendo nella storiografia italiana un nuovo punto di vista sulla sua formazione e dissoluzione.
Il Partito delle Pantere nere, celebre per la difesa in armi della comunità afroamericana dalla violenza della polizia e simbolo del Sessantotto, per molto tempo è stato considerato dai media e dalle autorità statunitensi al pari di un gruppo terroristico o criminale. Esso fu invece un’organizzazione dalle numerose sfaccettature, capace di mobilitare attivisti contro i paradossi del sistema capitalista statunitense e di denunciare l’emarginazione delle minoranze. Diviso tra istanze rivoluzionarie e riformiste, il Black Panther Party cambiò ideologia senza soluzione di continuità, adattandosi a scenari politici in continua evoluzione. Fu una realtà politica in grado di dialogare con le organizzazioni della nuova sinistra così come con il movimento per i diritti civili e i nazionalisti neri. Il rapporto tra classe, razza e genere si impose così al centro dell’attivismo dell’organizzazione, in quanto fondamento di una rivoluzione sociale che avrebbe dovuto soddisfare i bisogni più profondi degli emarginati in una nazione tuttora divisa dalla linea del colore. Fabio Poletti
Bruno Walter Renato Toscano
Pantere Nere, America bianca
Storia e politica del Black Panther Party
2024 Ombre Corte
pagine 293 euro 23
Per gentile concessione dell’autore Bruno Walter Renato Toscano e dell’editore Ombre Corte pubblichiamo un estratto dal libro Pantere Nere, America Bianca
Le elezioni presidenziali e l’inizio dei servizi comunitari
Nonostante il coinvolgimento del Partito in molteplici attività e manifestazioni, la campagna elettorale di Cleaver con il Peace and Freedom Movement continuò lungo tutto il 1968. A marzo il BPP spinse non solo per l’elezione di Cleaver a Presidente degli Stati Uniti e di Huey P. Newton al Congresso, ma anche di Bobby Seale e Kathleen Cleaver all’assemblea legislativa della California in rappresentanza rispettivamente del 17° e 18° distretto della Contea di Alameda in California. Cleaver non fu l’unico candidato Nero. Alcuni attivisti del PFP di tre stati, non convinti della figura di Cleaver, candidarono il comico afroamericano Dick Gregory per un nuovo terzo partito, il Freedom and Peace Party. Il Cpusa, invece, candidò la comunista Charlene Mitchell, fondatrice del Che-Lumumba Club, collettivo all-Black dei comunisti di Los Angeles a cui prese parte anche Angela Davis. Per Cleaver era comunque impossibile vincere le elezioni: alle spalle aveva un passato da ex-galeotto e il linguaggio violento non avrebbe mai convinto l’elettorato moderato a votarlo. Come se non bastasse, Cleaver in realtà era ineleggibile perché non avrebbe compiuto 35 anni entro il giorno della possibile proclamazione a Presidente.
Ideologicamente la campagna elettorale servì a supportare l’idea che per il BPP il voto fosse uno strumento importante per gli afroamericani. Pragmaticamente, essa ebbe come scopo quello di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sul Partito, tanto che Cleaver ne approfittò per presenziare a vari incontri pubblici finalizzati a favorire la liberazione di Newton, rafforzare la presenza delle Pantere nei campus e a incoraggiare la circolazione delle petizioni per la decentralizzazione della polizia – ovvero, come suggerito da Seale, dipartimenti di polizia Neri per la comunità Nera, dipartimenti bianchi per la comunità bianca, e così via. È interessante notare come nonostante il Cpusa avesse supportato il BPP – tanto che anche nel 1968 Mitchell aderì a una manifestazione il 16 luglio a Oakland per il rilascio di Huey Newton – il giornale del BPP non menziona la candidatura della comunista afroamericana, concentrandosi sulla campagna elettorale di Cleaver. Tale silenzio dimostra innanzitutto che la campagna elettorale fosse strumentale per il Partito, ritenendo probabilmente irrilevante una eventuale spaccatura dell’elettorato afroamericano di orientamento marxista che avrebbe dovuto decidere se votare Cleaver o la Mitchell. In secondo luogo, l’attivismo della prima candidata afroamericana a favore del BPP durante la campagna elettorale e l’assenza di attriti tre le due organizzazioni in tema di corsa alla Casa Bianca, spiega come entrambi sapessero di non avere nessun margine per una significativa affermazione elettorale.
Agli inizi di settembre, lo stesso mese in cui le Pantere attendevano il verdetto del processo Newton, il Comitato Centrale iniziò a organizzare una forma di attivismo differente concentrato sul bisogno di servire la comunità Nera. Come suggerito da Newton in agosto, il secondo punto dell’elaborazione teorica e politica del nazionalismo rivoluzionario prevedeva di far diventare il Black Panther Party un partito che avrebbe dovuto sostenere e servire la propria comunità, ricollegandosi al self-help espresso dal BPP nella Platform e ai primi pattugliamenti di Seale e Newton.
Questo, probabilmente, fu uno dei punti più importanti della storia delle Pantere Nere a partire soprattutto dall’anno successivo. Il Black Panther Party pubblicò nel proprio bollettino un comunicato firmato da Seale, Newton e dai coniugi Cleaver circa l’inizio di un programma che avrebbe coinvolto la comunità afroamericana nei quartieri nord e ovest di Oakland. Il progetto prevedeva di servire ogni giorno colazioni gratuite ai bambini afroamericani in due chiese vicine alle scuole di quartiere. Nel comunicato vennero chiesti aiuti soprattutto alle madri della comunità Nera, rendendo esplicita una specifica considerazione da parte del BPP del ruolo delle donne. Da quelle due chiese, che si attivarono in tal senso soltanto nel dicembre del 1968, le Pantere Nere diedero inizio a una serie di iniziative di assistenza per i più poveri – non soltanto afroamericani – per fornire colazioni ai bambini, ma anche vestiti, cure mediche e tanti altri servizi che furono poi forniti da tutte le sezioni del Partito e che divennero il mezzo attraverso cui il bpp attirò le simpatie dell’opinione pubblica. Allo stesso tempo, dal 1969 le colazioni gratuite divennero l’elemento considerato maggiormente pericoloso dall’FBI, data la loro diffusione e per il supporto dimostrato da una parte considerevole della società statunitense.
Alla fine del 1968 le cose però si complicarono sia per Newton che per Cleaver. A settembre Newton venne accusato di omicidio volontario e condannato a scontare una pena dai due ai quindici anni. Cleaver, che sarebbe dovuto andare in carcere alla fine di novembre a causa del ritiro della libertà vigilata, scappò a Cuba passando per il Canada. Come Fidel Castro nel 1955, si leggeva in un editoriale delle Pantere, anche Cleaver dovette darsi alla fuga, scegliendo così di continuare la rivoluzione in esilio.
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